Appena riaccese le luci del teatro Verdi, concluse le proiezioni anche di questa 38° edizione delle Giornate del cinema muto di Pordenone, è già quasi tempo di stilare un primo bilancio e sbirciare tra le anticipazioni delle future edizioni. Teniamo per un attimo a freno la nostra curiosità di cinefili, per gettare ancora uno sguardo su qualcun altro dei film passati in sala.

Non è stato difficile emozionarsi con le serate di apertura e di chiusura, rispettivamente The Kid di Charlie Chaplin (USA 1921) e The Lodger di Alfred Hitchcock (GB 1927) accompagnati dalle partiture originali eseguite dal vivo dall’Orchestra San Marco di Pordenone a teatro esaurito, sarebbero in grado di stendere chiunque. Grande afflato anche per la proiezione speciale di uno degli ultimi capolavori sovietici dell’epoca del muto Oblomok Imperii di Fridrikh Ermler (URSS 1929) anch’esso sostenuto dalle note della medesima orchestra. Tanto bello da essere quasi scontato, un pane angelico sia per i palati più raffinati dei cinefili, sia per gli stomaci più robusti del grande pubblico.

Più sottile ed imprevisto il piacere suscitato dalla consueta cerimonia del premio Jean Mitry attribuito annualmente dalle Giornate a coloro che si siano distinti nella conservazione e promozione dei Silent films. Paolo Cherchi Usai, con voce che tradiva grande partecipazione e turbamento emotivo, ha spiegato il motivo del premio a Donald Crafton. Il fondatore delle Giornate ha raccontato che la prima edizione della rassegna vide una scarsa partecipazione da parte del pubblico. Solo pochi, felici spettatori poterono gustarsi quelle deliziose primizie cinematografiche.

Già allora, però, i ragazzi delle Giornate, in quel di Gemona, scampati quasi per miracolo alla terribile ferocia del grande terremoto del 1976, avevano come linee guida ipercinefile, le innovative tesi sul restauro e la conservazione delle vecchie pellicole di un giovane ricercatore americano squattrinato, per l’appunto, Donald Crafton che diventò, in seguito, uno degli amici più antichi e cari delle Giornate

Il suo saggio: Before Mickey. The animated film (1898-1928) è a lungo stato il testo di riferimento della manifestazione, il suo vademecum essenziale. Crafton non ha mancato un’edizione della rassegna fin dalla sua prima partecipazione nel 1987. Riempiva il cuore vederlo sul palcoscenico, certo un po’ invecchiato con tanto argento in testa e diversi chili di troppo sotto il maglione, ma ancora perfettamente attivo e prolifico. Un premio sentito, necessario, condiviso da tutti.

Tra le piccole meraviglie che il Silent film festival ha saputo regalare quest’anno, vanno annoverate di sicuro le brevissime intense sequenze ricavate dall’animazione delle foto presenti nei flipbooks di fine ‘800.

Nel lungo processo di sperimentazione che accompagnò la nascita del cinematografo dei Lumiere ci furono molti tentativi paralleli di mettere le immagini in movimento o meglio di suscitarne l’illusione. Tra i più ingenui ed elementari ma, proprio per questo geniali, ci fu quello dei piccoli libretti da sfogliare molto velocemente tra pollice e indice le cui immagini scorrendo regalano l’illusione del movimento. Alcuni di quelli della fine del XIXsec. contengono una successione di centinaia di piccole fotografie dalle quali sono state ricavati piccoli sketchs con la tecnica della stop motion. Le immagini erano stampate a partire dai fotogrammi di brevi frammenti di film molto noti all’epoca che, purtroppo, risultano oggi in gran parte oggi perduti. A volte i flipbooks sono l’unica traccia che ci rimane del girato e perciò possono essere considerati non solo frammenti significativi ma addirittura sinossi che ne riassumono i contenuti. Il risultato è non solo accettabile ma anche straordinariamente divertente.

-Flipbooks

La Méprise (Francia 189?) immagini attribuite a Georges Méliès. Sorprendente scenetta nella quale un personaggio in tonaca, il cui volto e’ coperto da un ombrellino molto vezzoso, si avvicina ad ammirare una vetrina; un altro personaggio piuttosto equivoco, scambiandolo per una fanciulla, gli palpeggia indecentemente le natiche. Questi, che è un prete in abito talare, si gira inorridito e sta per mollargli un ceffone. Come dice Caparezza: “Tutto molto interessante”.

Le Voyeur (Francia 189?) immagini attribuite a Georges Méliès. La prova che gli sporcaccioni non sono una novità; chi si portava in tasca un librettino del genere o era un vizioso oppure aveva un umorismo piuttosto greve. Una signora s’accoscia dietro un basso muretto per espletare i suoi bisogni fisiologici e il solito guardone s’accomoda al suo buco d’osservazione. Tutto un filo squallido ma si è visto ben di peggio.

-Pubblicità scandinava

The Restless One (Norvegia 1927) davvero singolare questa pubblicità di sigarette norvegesi confezionate con tabacco turco d’alta qualità. Un giovin, ricco signore è così insoddisfatto che s’annoia ai party sul terrazzo della sua villa al lago, non gli basta la gita sul suo yatch e nemmeno lo scivolare velocissimo del suo motoscafo sulle onde e allora via sulle strade spericolate con unpazzo bolide bolide. Un guasto al motore interrompe il crescendo, dalla tasca posteriore del meccanico curvo sul motore imballato spunta un pacchetto di sigarette; l’annoiato signore lo sfila senza che l’altro se n’accorga, s’accende di nascosto una sigaretta ed ecco il vero piacere che placa la sua smania, adesso si che può godersi la vita. Un messaggio pubblicitario talmente semplice, elementare e diretto da funzionare ancora a distanza di cento anni. Gran parte degli spot contemporanei utilizzano ancora le medesime leve psicologiche. Quello di cui ci si vuole convincere è che il vero senso dell’esistenza, la vera ricchezza è quel tale prodotto che ci vogliono vendere. Dobbiamo, in ogni caso, essere costretti a pensare che sia necessario fare l’amore con il sapore, proprio come recita uno degli slogan più perversi ed efficaci mai inventati dai diavoli del marketing

The Vasa Race (SE 1923) Si promuovono le virtù nutritive e la bontà della cioccolata di marca, durante una vera maratona di sci di fondo sulle nevi svedesi. A differenza dello spot precedente qui tutto appare molto più genuino e strapaesano. Il target di riferimento è decisamente diverso. I destinatari del messaggio sono le mamme e i bambini a cui si vuol vendere la cioccolata più buona e nutriente del mondo, una vera riserva di energia in grado di far crescere bene i piccoli e deliziare i più grandi. Gli scalmanati sciatori si fermano ai controlli lungo il percorso di 93 chilometri e si rifocillano con la succulenta cioccolata calda in tazza o divorando le tavolette per poi ripartire con rinnovato vigore. Anche in questo caso, il messaggio non avrebbe potuto essere più semplice, infatti, funziona ancora; basta dare un’occhiata a uno dei tanti spot commerciali televisivi in cui le solite mammine premurose spalmano cioccolata sul pane ai loro piccoli sempre pronti in seguito a lanciarsi in mirabolanti avventure sul divano di casa tra un oleandro e un baobab.

-Lungometraggi

Sally, Irene and Mary di Edmund Goulding (Usa 1925) Tre stupende ragazze che più diverse non potrebbero essere e il medesimo sogno di calcare i palcoscenici della rivista a Broadway, tra luci, lustrini, tradimenti e inganni. Naturalmente per una di loro finirà in tragedia morirà schiantandosi contro un treno mentre fila a tutta velocità sulla potente automobile del ricco fidanzato verso un’improbabile felicità. Un’altra si perderà nell’illusione di un amore sincero che le luci della ribalta non possono concedere, perché è un mondo spietato e cannibale. Si salva solamente quella che sembrava la più ingenua e sprovveduta che invece è stata capace di mantenere puro il suo cuore rinunciando per tempo alle seduzioni della gloria, abbandonando le scene prima di esserne fagocitata. Finisce sul tetto di casa abbracciata al suo uomo mentre nella notte ammira le uniche stelle che meritano in eterno di splendere sfavillanti sul palcoscenico del mondo, quelle del firmamento. Si sarà ben capito, a questo punto, che la sceneggiatura è melensa e caramellata come lo zucchero filato con episodi dolciastri e appiccicaticci; salvano il film gli splendidi costumi con le ballerine abbigliate in modo futuristico ed esotico tanto da sembrare il personaggio di Maria in una memorabile scena di Metropolis di Fritz Lang.

The retourn of Draw Egan di William S.Hart (Usa 1916) Grande western, a tratti cupo e sanguigno, sul tradimento vigliacco dell’antagonista e sulla redenzione dell’eroe. Draw Egan è l’indomabile capo di una posse che vede tra i banditi anche Arizona Junior. I rappresentanti della legge li inseguono implacabili fino ad assediarli in un capanno, per il rotto della cuffia i banditi riescono a scamparla ma decidono di dividersi: ognun per se e dio o il diavolo per tutti. Drawn Egan vagabondando finisce in un piccolo villaggio dove per alcuni fraintendimenti viene scambiato per un uomo integro e incorruttibile e gli viene offerta la stella di sceriffo. La cosa è talmente paradossale che l’ex feroce bandito comincia davvero a far rispettare la legge calandosi nei panni dell’uomo probo. Smette persino di frequentare i saloon con annesse le solite prostitute preferendo la giovane putibonda figlia di una specie di predicatore. Sotto il nome di William Blake si crea una nuova vita ma il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Mentre tutto sembra andare per il meglio, il suo ex compagno di merende Arizona junior capita in paese finendo per smascherarlo di fronte a tutti. Nella sparatoria finale si dimostra chi ha torto e chi ragione. Arizona Junior soccombe e il bandito sceriffo ha modo di redimersi ed accasarsi con la virginale figlia del predicatore. William S. Heart oltre che magnifico protagonista di questa pellicola ne è anche il regista tra lunghe cavalcate in fuga nella prateria, rapine, epiche scazzottate, duelli a schipppettate. Un western canonico che fonda uno stile con una storia non troppo lontana da quella di Pat Garret e Billy the kid: Mama take this badge from me/I can’t use it anymore/ it’s getting dark too dark to see/ feels like I’m knockin’on heaven’s door, proprio come cantava Bob Dylan.

Skinner’s dress suit di William A. Seiter (Usa 1926) Commedia screwball con il divo più brillante degli anni venti, quel Reginald Denny cui le Giornate hanno dedicato una corposa divertente retrospettiva. Il film racconta di un semplice impiegato della provincia americana, che per una serie di coincidenze, riesce nella scalata sociale ed economica. Quella che si vede nella pellicola è un’America spensierata, ricca di contraddizioni e in piena sbornia da età del Jazz. I capitalisti sono buoni ed è possibile contare su di loro, perfino sui banchieri e sui capitani d’industria. Nella pellicola non c’è la benchè minima contezza della catastrofe imminente che sta per abbattersi su tutto quel mondo di soldi facili e di case ordinate piccolo borghesi. La grande depressione era dietro l’angolo ma loro potevano ancora ballare placidi sull’orlo dell’abisso facendo finta che niente, di quello che succedeva, li riguardasse o potesse distoglierli dall’orgia del consumismo. Nessuno dei personaggi ha il sospetto che il giocattolo possa rompersi da un momento all’altro. Lo farà ma non è ancora questo il caso. Qui i capitalisti sono ancora tutti buoni e democratici, sempre aperti al dialogo e prodighi verso i loro sottoposti. Una pia divertente illusione che sarebbe venuta meno di li a poco ma non ancora.

Arrivederci Pordenone alla prossima edizione delle Giornate e come diceva Chaplin: Il silenzio è un dono universale che pochi sanno apprezzare. Forse perché non può essere comprato. I ricchi comprano rumore. L’animo umano si diletta nel silenzio della natura, che si rivela solo a chi lo cerca.

© Flaviano Bosco per instArt

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