Nell’ambito della XIV edizione del Piccolo festival dell’animazione, appena conclusasi, si è tenuto nell’Auditorium di San Vito al Tagliamento (PN) un immaginifico spettacolo dal vivo di musica, parole e disegni.

L’artista pordenonese Davide Toffolo, in veste di storyteller con la chitarra e la matita, ha portato sulle scene: “L’ultimo vecchio sulla terra live” per promuovere la sua ultima, omonima fatica d’eclettico fumettista (Rizzoli Lizard 2021).

Non è stata una semplice presentazione di Graphic Novel, come tante se ne vedono, ma uno spettacolo compiuto con il quale il disegnatore-musicista sta girando l’Italia cucendo e cucinando, insieme al pubblico, ricordi, progetti, provocazioni, canzoni e musiche con il pretesto di raccontare con i fumetti le Memorie di un maniaco sessuale di sinistra (Nobus ed 1996) come scherzosamente si definiva Remo Remotti (1924-2015) che “è stato poeta, attore e umorista italiano, nonché pittore, scultore, cantante e drammaturgo” come recitano le fonti più accreditate.

E’ fuori di ogni dubbio che una delle più grandi passioni di Remo Remotti, urlatore e vate underground, fossero le donne oltre che l’arte contemporanea e Sigmund Freud, tutte cose che facilmente si possono coniugare anzi copulare.

In una lettera all’amico Rodolfo Roberti, compresa nelle sue memorie di un matto di successo (Remo Remotti, Diventiamo Angeli, Derive Approdi, 2001) scrive:

“Per noi esistono solo i begli occhi, i bei colli, i bei denti, le belle ciglia, le belle carnagioni, i bei capelli, i bei seni, i bei ventri, le belle gambe, le belle cosce, le belle caviglie, i bei culi, le belle mani, le belle unghie, le belle braccia, le belle schiene, le belle spalle…A Rodò, per noi esistono soltanto le belle fiche. “

Con il suo tipico stile narrativo per accumulazione e una folgorante, sagace ironia, anche nel resto della missiva, Remotti ammetteva il suo “peccato originale” verso l’universo femminile, origine del mondo, autentico prodigio che a volte si spalanca davanti agli occhi del desiderio.

Davide Toffolo ha voluto ben sottolineare questo aspetto della creatività e delle passioni di Remotti tra i tanti altri dedicando ampio spazio durante lo spettacolo alla sacrosanta glorificazione della donna ed in particolare del suo organo genitale. Tra le immagini con cui il fumettista interagiva sul grande schermo cinematografico dell’Auditorium ad un certo punto troneggiava imperiosa e in primo piano un’Origine du monde di Gustave Courbet del tutta contemporanea, perfettamente depilata e sfacciatamente fotografica. Toffolo invitava il pubblico a suggerirgli il nomignolo locale o dialettale che tradizionalmente si assegna a tanta meraviglia dispiegata.

La porta delle percezioni è diventata allora, dopo alcune proposte scartate tra il divertimento generale, la “Farsora” che letteralmente nella Destra Tagliamento, è la padella bucata con la quale si cucinano le castagne trasformata in una sottile metafora insinuante.

Quello sfruttato da Toffolo è un clichè umoristico vecchio come il mondo che però funziona sempre. Basta ricordare lo sketch classico della televisione italiana nel quale un irrefrenabile Benigni affiancato da una glitteratissima Raffaella Carrà nel 1991 elencava una teoria di definizioni vernacolari da antologia: “Ognuno gli ha messo il nome suo, la piccimida, la gattina, la chitarrina, la passerottina, la fisarmonica, la picchia, la crepaccia, la pucchiacca, la patonza, la bernarda, la sorca…”

Ma nel Nord Est d’Italia il nome della rosa più evocativo è di certo: la Mona che ha avuto la sua consacrazione poetica-cinematografica nel Casanova di Fellini alla cui sceneggiatura collaborò anche il poeta di Pieve di Soligo, Andrea Zanzotto. Nel film, ad un certo punto un circense imbonitore di strada nei cui panni la nostra interpretazione vede benissimo Toffolo o lo stesso Remotti, invita il pubblico ad entrare in un mostro marino:

“The Great Mona! La regina delle balene! Il leviatano di Giona! Tutti quanti possono entrare, il ventre è ancora caldo: è una balena femmina. Guardate la sua bocca vi invita ad entrare. Avete paura? Chi non entra nel ventre della balena non troverà mai il suo tesoro: così dice l’antico libro della saggezza. Entrate e vedrete, giù per la gola e ancora più in fondo, nella pancia della grande Mona. La Mona è una porta che conduce chissà dove, un muro che devi buttare giù, La Mona è una ragnatela, un imbuto di seta. La Mona è una montagna bianca di zucchero, una foresta dove passano i lupi, è una carrozza che tira i cavalli. La Mona è una balena vuota, piena d’aria nera e di lucciole, un forno che brucia tutto, La Mona, quando è ora, è la faccia del Signore; è la sua bocca. E’ dalla Mona che è venuto fuori il mondo con gli alberi, le nuvole, gli uomini, uno alla volta, di tutte le razze: dalla Mona è venuta fuori anche la donna… (dalla Mona è venuta fuori anche la Mona) Evviva la Mona, la Mona, la Mona.”

Toffolo è uno showman davvero poliedrico e completo come pochi nel nostro paese, sa tenere il palco e riempirlo da solo con estrema naturalezza, sia quando canta le sue canzoni, sia nei momenti in cui si racconta. Possiede una verve unica che gli viene di certo dal suo “spiritaccio brillante” dal suo essere un vero istrione, un animale peloso da palcoscenico, non è scelto a caso il suo costume da Yeti, che in realtà è una mimetica militare da tiratore scelto, durante i concerti dei Tre Allegri ragazzi morti.

E Toffolo è propriamente un cecchino della parola disegnata, scritta e cantata. Lo spettacolo nella sua semplicità drammaturgica è un esempio paradigmatico di cosa deve essere il rispetto dei tempi comici; il cantante con pochi tratti della sua voce zingara, in punta di penna, disegna sensazioni ed evoca situazioni; è proprio la sua arte di fumettista e di storyteller che gli permette di creare piccoli universi che immergono gli spettatori in mondi altri dalle prospettive sempre nuove.

Tutto questo a partire da semplici parole quotidiane e minimi gesti lontani dal solito clamore e dalla retorica di palcoscenico. Naturalmente, ogni dettaglio è studiato nei minimi particolari, anche se alcune scelte sceniche sembrano casuali, tutto è preciso e geometrico, non c’è un solo istante che non sia previsto e voluto, ma Toffolo da grande illusionista sa non farlo pesare e non farsene accorgere. Si ride di gusto seguendo le sue riflessioni estemporanee e bizzarre che riguardano la sua visione del mondo a partire da quello che ha “dentro le scarpe”.

Toffolo, coadiuvato anche da Adriano Viterbini, uno dei più straordinari chitarristi della scena europea, ha intonato grandi classici del suo repertorio che non sono per niente nostalgici ma che, a distanza di tanti anni, sanno ancora graffiare ed emozionare: La ballata delle ossa, Occhi bassi, Puoi dirlo a tutti, Alle anime perse, ecc.

Gustoso anche il siparietto comico che ha visto salire sul palcoscenico il grande esperto delle musiche afroamericane Flavio Massarutto con un suo divertente brano in rima che metteva alla berlina vizi e comportamenti dei Sanvitesi in pieno stile Remotti: “San Vito Rasaerba e trattori…San Vito dove sono tutti poeti soprattutto i matti…San Vito, non ci lasceremo mica così come cani?”.

E’ il caso di ricordare anche in questa sede l’eccezionale Graphic Novel che lo stesso Massarutto ha dedicato ultimamente al genio del jazz Charles Mingus, un’opera d’assoluto rilievo piena di musica e di stati d’immaginazione (Massarutto, Squaz, Mingus, Coconino Press 2021).

Non serve, invece, ricordare che l’arte poliedrica di Toffolo è stata determinante per la produzione della nuova cultura italiana almeno degli ultimi vent’anni; senza di lui non avrebbe nemmeno senso parlare della nascita della musica indipendente, della rinnovata attenzione verso il fumetto in tutte le sue forme nel nostro paese; l’artista pordenonese è propriamente un “creatore di mondi” e di prospettive originali che gli appartengono totalmente com’è per i maestri che gli sono stati d’ispirazione e che omaggia anche in questo spettacolo. La sua creatività da sempre straborda i margini delle tavole che disegna, i frames e le nuvole non sono sufficienti a contenere il suo estro, e la sua matita continua a tracciare le immagini della sua mente anche fuori scena.

Le sue linee si trasformano e diventano voce, ironia, svolazzo, carpiatura, salto mortale; nemmeno il pentagramma lo contiene, così come le assi del palcoscenico, ad ogni sua esibizione si ha la sensazione che lui sia già da un’altra parte, parafrasando una performance di Marina Abramovich: “The Artist is not present”.

Quello che di Toffolo vediamo sempre nelle sue varie epifanie di fumettista, musicista, cantante, attore è sempre la sua opera multiforme, propriamente una maschera attoriale e sappiamo bene quanto sappia giocarci.

Quando si toglie platealmente la faccia da teschio che è stata uno dei veicoli del successo iniziale dei Tre allegri ragazzi morti ed è ancora loro segno e cifra stilistica, quello che gli spettatori vedono naturalmente non è il suo viso ma la maschera autentica che, brandello dopo brandello, si è cucito addosso durante tutta la vita, senza ancora averne terminato il complesso ricamo e cosmesi. Lo stesso si può dire di Remo Remotti che mise sempre in scena la propria mitobiografia, costruendo se stesso a partire dalla propria quotidianità, trasformandola, come fa ogni vero artista, in un oggetto di rappresentazione singolare e unico.

E’ proprio il caso di insistere in conclusione, con un altra dichiarazione d’intenti del poeta Remotti che contiene davvero tutto il suo mondo e la sua poetica:

“Qual’è stato il vostro ideale, qual è stata la cosa per cui avete combattuto tutta la vita… è presto detto: la fica”.

Amen.

Flaviano Bosco © instArt

Share This