Sono passati trent’anni dalla prima edizione di Udin&Jazz ed è davvero difficile da credere tanta è la freschezza che dimostra la manifestazione che continua a rilanciare, progettare, costruire un futuro luminoso anche in un disastro come quello dal quale stiamo faticosamente uscendo. “Una selva oscura … che nel pensier si rinnova la paura! Tant’è amara che poco è più morte” Tanto per ricordarsi che siamo ancora nel centenario dantesco.

La nuova scommessa è Udine&Jazz Winter, appuntamento annuale, che ha preso il via nel capoluogo friulano dove la manifestazione ritorna dopo alcuni anni di orgoglioso dissidente esilio. I rapporti con l’amministrazione comunale si erano guastati irrimediabilmente a causa dell’infiltrazione in quest’ultima di elementi del tutto antidemocratici e reazionari con i quali il festival si è sempre giustamente rifiutato di collaborare. Come diceva Fela Kuti: “Nessuna trattativa, nessun compromesso, mai!”.

Come ha tenuto a specificare l’ideatore della rassegna il “partigiano” Velliscig questo ritorno non significa minimamente un cedimento, anzi Udine&Jazz torna casa da vincitore e a testa alta, pagando di tasca propria l’affitto della sala del Palamostre e rifiutando qualunque patrocinio da coloro che dovrebbero essere considerati fuori dall’ambito costituzionale e democratico e che invece continuano impuniti nelle loro vergognose apologie.

Udine, 28/05/2021 – Teatro Palamostre – Udin&Jazz Winter 2021 – Sala Carmelo Bene – Inaugurazione della mostra fotografica “Jazz Portraits – 30 anni di Udin&Jazz inj 30 scatti d’autore – in collaborazione con AFIJ – Presentazione del libro di Valerio Marchi “Un amore supremo – Musica fra terra e cielo” (KappaVu Ed. – in collaborazione con Euritmica) – Foto Luca A. d’Agostino © 2021

Jazz Portraits. 30 anni di Udin&Jazz in 30 scatti d’autore.
Una straordinaria serie d’immagini scattate da Luca A. d’Agostino e dagli altri artisti dell’ Associazione Fotografi italiani di Jazz, fa bella mostra di se nella sala inferiore del Teatro Palamostre come delizioso biglietto da visita per tutti quegli appassionati che assisteranno alle quattro serate della rassegna, tutte già praticamente sold-out.

Una emozionante conversazione con i giornalisti e il pubblico ha dato il via alla manifestazione ed è stata l’occasione per fare il punto sulla sua storia in questi tre decenni di musica e di emozioni d’altissimo livello. Giancarlo Vellisig Deus ex machina fin dagli esordi di Udin&Jazz, visibilmente emozionato e con la voce spesso rotta dai sospiri, ha ricordato le vicissitudini che portarono all’organizzazione dei primi concerti, raccontando molti gustosi aneddoti sul prima e sul dopo.

Al suo fianco oltre al grande fotografo, anche un altro ottimo amico del festival, Fabio Turchini. “Ogni scatto ha una storia e un aneddoto da raccontare” dice d’Agostino che ha scelto tra le sue migliaia di scatti quelli simbolicamente più significativi, uno per edizione, da Elvin Jones a James Brown, Ornette Coleman, John Zorn, B.B.King, Ron Carter, Joe Zawinul, Amiri Baraka e molti altri. “Da Udine è passata la storia del Jazz” ripete e non si sbaglia per niente. Basta scorrere l’elenco dei concerti e delle esibizioni tenutisi nel corso degli anni, pubblicato nel grazioso catalogo della mostra, per restare sbalorditi. Non a caso il festival è considerato uno dei più prestigiosi del nostro paese con una risonanza e visibilità internazionale di tutto rispetto.

All’inizio, sul finire degli anni ‘80, fu una Steak House alle porte di Udine che per la prima volta cominciò a organizzare serate Jazz con giovani musicisti locali e poi via via nomi più prestigiosi e noti.

Quella del Cadillac del compianto Vincenzo Marzilli fu un’esperienza breve ma di straordinaria portata culturale che dimostrò che era possibile scommettere su una musica d’avanguardia lontana dai circuiti commerciali.

Come ha sostenuto Turchini fin da subito l’idea era stata quella di coniugare l’impegno civile e autenticamente democratico con l’ascolto e l’approfondimento di una cultura e tradizione musicale che costitutivamente portava con se istanze di libertà, di fratellanza e di uguaglianza. Tutto questo in un contesto di imperante disimpegno, di edonismo e di pieno riflusso dopo l’esplosione libertaria del “gioioso maggio” del 1968.

Udine, 28/05/2021 – Teatro Palamostre – Udin&Jazz Winter 2021 – Sala Carmelo Bene – Inaugurazione della mostra fotografica “Jazz Portraits – 30 anni di Udin&Jazz inj 30 scatti d’autore – in collaborazione con AFIJ – Presentazione del libro di Valerio Marchi “Un amore supremo – Musica fra terra e cielo” (KappaVu Ed. – in collaborazione con Euritmica) – Foto Luca A. d’Agostino © 2021

La scommessa è stata vinta, non c’è ombra di dubbio, grazie alla manifestazione hanno avuto la possibilità di crescere generazioni di giovani musicisti che si sono affermati a livello internazionale, la cultura del jazz si è profondamente radicata in regione tanto che sulla sua scia sono sorte sale di incisione, case discografiche indipendenti, maestranze, studiosi, giornalisti, associazioni e perfino un importante circuito turistico legato al jazz e ai concerti. E’ stato uno splendido romanzo di formazione per tanti giovani sognatori con molti capitoli ancora da scrivere.

Udin&Jazz continua a far germogliare e crescere i fiori dell’avvenire mentre si gode i frutti di tutti i passati raccolti in musica.

La conferenza continua con una breve, intensa presentazione del volume di Valerio Marchi, John Coltrane. Un amore supremo. Musica fra terra e cielo, edito dalla prestigiosa Kappa Vu che inaugura così una nuova collana dedicata a Teatro & Musica.

Il testo è servito come riferimento per lo spettacolo concerto che ha aperto la rassegna. L’autore è un noto storico regionale con alle spalle documentati lavori sulla cultura ebraica in Friuli Venezia Giulia e una serie di interessanti biografie, l’ultima delle quali dedicata al grande sassofonista americano.

Alessandra Kersevan, a sua volta pregevolissima storica e direttrice della casa editrice, ha creduto fortemente in questo progetto che è d’auspicio per altri autori e appassionati locali. Nonostante il grande fermento musicale in regione degli ultimi anni, ancora mancava una casa editrice che stimolasse e attizzasse la letteratura e la critica d’approfondimento che cova sotto la cenere.

L’incontro finisce giusto in tempo per dare spazio al concerto di apertura nella sala principale del Palamostre.

John Coltrane – Un amore supremo. Una musica tra terra e cielo.
Una produzione Euritmica
drammaturgia e regia di Valerio Marchi
Francesco Bearzatti,sax tenore
Gianpaolo Rinaldi, pianoforte
Luca Colussi, Batteria.

A Valerio Marchi piacciono le storie che si raccontano da sole, quelle che sono già talmente avvincenti di per se che è necessario coglierne solamente alcuni snodi narrativi e poi lasciare che i personaggi si raccontino da soli. Naturalmente, è tutt’altro che facile, l’operazione riesce solo ai narratori di razza, quelli che sanno mettersi al completo servizio delle vicende che raccontano senza per forza volerle piegare alla propria volontà e prospettiva.

Marchi sa il fatto suo da questo punto di vista, la sua matura passione per il jazz è priva di tutti quegli slanci giovanilistici e adolescenziali che inquinano il gusto di chi ha cominciato ad ascoltare i ritmi sincopati prima d’avere l’equilibrio e il gusto per poterli comprendere pienamente.

Il drammaturgo ha scelto di raccontare la storia di John Coltrane lasciando parlare le donne della sua vita: la madre, la cugina amatissima, le due mogli e la figlia adottiva. È attraverso le loro voci e il loro amore che, sul palcoscenico, nell’interpretazione dell’attrice Nicoletta Oscuro che ha sostituito all’ultimo momento Claudia Grimaz, si è rappresentata la vita del musicista che pur morendo giovanissimo (41 anni da compiere) ha lasciato una traccia indelebile non solo nella storia della musica.

Il racconto, sostenuto dagli interventi dello stesso autore che ha un’ottima presenza scenica e una grande padronanza della voce e del gesto, è cronologico e piano concentrato sulla carriera e sulla ricerca spirituale e religiosa di Coltrane attraverso la musica.

Giustamente, Marchi ha seguito una linea interpretativa del tutto personale, altrimenti sarebbe stato impossibile concentrare in uno spettacolo teatrale che ha dichiaratamente lo scopo di invogliare all’ascolto di tanta grazia di dio, un pubblico non necessariamente di appassionati di Jazz che già conoscono l’oceano di creatività di Trane o almeno così credono.

Dopo aver dedicato il giusto tributo al creatore ed interprete dello spettacolo è ora di concentrarsi su quella che è stata l’autentica meraviglia di questo spettacolo e cioè il commento musicale di Francesco Bearzatti e del suo trio. Il sassofonista friulano ha dato ancora una volta prova del suo raggiunto stato di grazia. Per un tenor sassofonista il confronto con Coltrane può essere implacabile, ingeneroso e ingiusto ma Bearzatti non si è fatto intrappolare nel solito clichè dell’imitatore o del clone.

Il suo sax non ci pensa nemmeno ad imitare, Bearzatti è un artista maturo che ha saputo trovare una sua personale strada alla musica di Coltrane. Oggi non è più un semplice esecutore di musica meravigliosa come tanti, è un jazzista che suona degli standard con una dinamica e un timbro che gli sono propri, con un’autorevolezza e una maestria che lasciano sbalorditi.

Non è nemmeno il caso di entrare nello specifico delle singole esecuzioni che spesso sono state compresse in un semplice commento alle letture dello spettacolo. Quello che ha comunque dimostrato Bearzatti sostenuto di suoi ottimi musicisti è un gusto superiore per la musica.

In alcuni momenti della sua meditazione in musica, il sassofonista ha saputo comunicare quelle stesse sensazioni che si hanno ascoltando le incisioni di Coltrane senza mai essere pedissequo o nostalgico e tanto meno sguaiato. E’ stato fin dalle prime note potente e autorevole, rubando immediatamente la scena e surclassando tutti gli altri. Lo si è visto e sentito a tratti irraggiungibile e intangibile, perfetto nella stratosferica altezza della sua emozione liquida. E’ davvero raro sentire note così ispirate fino all’astrazione.

La sua è stata una manifestazione di forza assoluta, rivelando, con un profluvio di sovracuti e salti di tonalità impensabili e continui, una versatilità notevolissima. Bearzatti ha ormai raggiunto la statura del grande musicista che non ha più bisogno di nascondersi dietro definizioni che appartengono ad altri; non ha più bisogno di essere paragonato o confrontato.

D’ora in poi Bearzatti fa scuola a se, è definitivamente un nuovo profeta del suo strumento. Anche i suoi ormai sono “passi da gigante” nelle “regioni stellari” del jazz. Udine ha salutato con un mare di applausi uno dei suoi figli più geniali che sa regalare con le note delle sue dita la felicità e la gioia più autentiche.

“Mi piacerebbe dare alla gente qualcosa di simile alla felicità. Scoprire un sistema per far si che quando voglio che piova, si metta a piovere all’istante. Quando uno dei miei amici è malato, suonargli una certa musica che lo guarisca; e quando è al verde, suonargliene un’altra che gli faccia trovare subito tutti i soldi che gli servono. Ma quali siano questi brani e quale la strada da percorrere per impararli, nonlo so. I veri poteri della musica sono ancora ignoti. Essere in grado di controllarli dovrebbe essere, credo,lo scopo di ogni musicista” (John Coltrane)

Di certo Bearzatti, in questo senso, è un “mago della pioggia”.

A Love Supreme, A Love Supreme, A Love Supreme, A Love Supreme…

© Flaviano Bosco per instArt

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