Pubblico trepidante da grande evento al Teatro Nuovo Giovanni da Udine per il concerto del più gigione e acclamato dei pianisti italiani. Stefano Bollani si è ormai conquistato una fama tutta italiana e un’audience di entusiasti oriundi sempre pronti all’applauso e alla risata scrosciante.

L’atmosfera che si respirava al Teatro Nuovo Giovanni da Udine era elettrica con tutto un vociare della sala gremita in ogni ordine di posti che precedeva e corrispondeva all’intonarsi dell’orchestra giovanile filarmonici friulani.

Quest’ultima è un ensemble musicale nato nel 2015 gestito, coordinato e curato da persone under 35, anche se l’età anagrafica non è per forza un merito. Nel nostro paese ai giovani molto spesso è preclusa una carriera che invece grazie ai loro talenti, se ci sono, gli spetterebbe di diritto. Molti musicisti dopo anni di “gavetta” ormai non più giovani cambiano i loro progetti e virano verso altri orizzonti oppure si spostano in altri paesi limitrofi dove la carriera di musicista è possibile o quanto meno più praticabile dal conservatorio alla pensione. Ben vengano quindi iniziative che coinvolgono e sostengono gli esordi dei giovani musicisti del nostro territorio.

Che fosse un’orchestra non convenzionale lo si capiva subito anche dall’abito piuttosto insolito che il loro direttore vestiva per la serata: uno spezzato sartoriale con giacca bianco perla giusto per non farsi notare. La sua indiscutibile preparazione e l’energia della sua bacchetta però sono quello che contano e la sua orchestra ha risposto perfettamente ai suoi comandi come uno strumento cui lui stesso a curato l’intonazione.

Il programma prevedeva una composizione in un prologo e tre movimenti di Stefano Bollani dal titolo “Concerto Azzurro”. Chiamarla sinfonia è forse troppo così come sarebbe denigratorio chiamarla collage di materiali eterogenei che sottolineano il funambolismo sulla tastiera dell’autore e la sua altrettanto composita ispirazione.

Il “Concerto Azzurro” per pianoforte e orchestra come dice lo stesso Bollani sul suo sito è ispirato al

“quinto chakra dell’udito. L’azzurro ci dice: “Ascoltate voi stessi e gli altri. Create! Disobbedite!” – ci dice ancora l’azzurro. Non tace mai, l’azzurro. Ci ricorda continuamente che “c’è una chiave per ogni portone (Robert Musil) e che ogni porta è una possibilità, non un ostacolo (Charlie Chaplin) ma anche che azzurro è un colore, questo vi basti (Giulio Cesare)”.

Anche in queste presunte citazioni “un tanto al chilo” traspare l’ironia tutta toscana del nostro “Stefanaccio” che una ne pensa e cento ne fa, l’importante è mettere le parole una dietro l’altra convinti, come si fa con le note senza fare troppe pause che lascino il tempo di pensare, senza tacere mai come l’azzurro.

A metà strada tra l’ispirazione classica e il jazz troviamo Bollani con i suoi attrezzi da giocoleria fatti di clave leggere da lanciare in alto, palline, nastri colorati e piatti in equilibrio su bacchette, tutto evocato dalla tastiera 88 tasti del meraviglioso piano Fazioli sul proscenio del teatro.

Naturalmente anche l’orchestra schierata in pompa magna faceva la sua bella figura pressoché completa in tutte le sue sezioni dai legni alle trombe lucidate, dai contrabbassi all’ottavino.

Nel prologo i timpani facevano notare l’ossessività tribale dell’impianto che sembrava riferirsi alle misteriose presenze nascoste nell’intrico della foresta africana nella quale ad un certo punto si scorge una sorgente alla quale s’abbeverano gli animali. Sono solo impressioni, ma si capisce subito che Bollani da par suo conosce bene le opere dei grandi compositori jazz americani come Duke Ellington.

Dal primo movimento si passa in rapida successione ai ritmi tropicali scoppiettanti, solari e sincopati, a suggestioni “tropicaliste”, fusion, melodiche, classiche e chi più ne ha più ne metta senza che sia possibile cogliere un filo conduttore, un senso o una direzione, ma si sa che in musica non è del tutto necessario. Il pianista lieto, agile nei movimenti e “con la faccia un po’ così” appare fin troppo lezioso nel suo inarrestabile, continuo virtuosismo e sembra rilanciare il suo inseguimento di tappa in progressive accelerazioni e stacchi davvero irrefrenabili e a ritmi vertiginosi in una rassegna di citazioni, improvvisazioni, illuminazioni e soprattutto fuochi artificiali e scherzi durante i quali la forza dell’orchestra è completamente asservita all’acrobatico esibizionismo del pianista.

Al pubblico piace moltissimo questa forma sontuosa di continua iperstimolazione sensoriale che tiene sempre ben desta l’attenzione, magistralmente calcolata sui ritmi dello spettacolo televisivo, tanto che nella tessitura musicale di tanto in tanto si riconoscono dei gingle. E’ un mondo in tecnicolor, molto colorato e sgargiante di lustrini e paillettes, trasmette tanta allegria, gioia, voglia di vivere, sorrisi a 88 denti, buonumore, spensieratezza, questo nei primi 5 minuti “tutto il resto è noia” come diceva il Maestro Califano.

L’importante però è convincere il grande pubblico, vendere un sacco di dischi, avere un ottimo share televisivo e un mucchio di followers sui social. Lo diceva sempre anche Glenn Gould..o mi sbaglio?

Esce il pianista Bollani e l’orchestra si prepara all’esecuzione di quello che è considerato a ragione uno dei massimi capolavori dell’arte contemporanea.

George Gershwin Un americano a Parigi (1928)

Composto dall’autore dopo un viaggio in Europa alla scoperta degli autori che ammirava, primo fra tutti Maurice Ravel, esprime un vagabondaggio sentimentale e fisico per le strade di Parigi che il poema sinfonico evoca attraverso gli strumenti e i ritmi, facendoci sentire il rumore dei passi, del traffico, le discussioni, le esplosioni di gioia, la tenerezza dell’amore e la sensualità della notte.

Quindi i clarinetti, le trombe, le percussioni ci fanno sentire il traffico di Parigi con i claxson e la folla sui boulevards. E’ una musica volutamente fracassona e divertente, allegra ed incalzante che vuole descrivere i mille volti e le sensazioni che si possono trovare solo in una metropoli. Gershwin ce le vuole presentare tutte assieme riproducendo anche il loro eccesso e la difficoltà di trovare un angolo di silenzio proprio come in quegli anni stavano facendo le avanguardie cinematografiche con il montaggio frenetico d’immagini magmatiche che avevano la stessa intenzione: Berlino: sinfonia di una grande città di Walter Ruttmann (1927), A Proposito di Nizza di Jean Vigo (1930) giusto per fare due esempi.

Quel pensiero di immagini-movimento era diventato talmente consueto e familiare che era negli occhi dello stesso Gershwin nel suo soggiorno nella ville Lumière che vide con occhi cinematografici in un montaggio di sensazioni diverse nel quale cita perfino se stesso accennando il tema della Rapsodia in blu.

L’orchestra giovanile filarmonici friulani con il suo direttore ha fatto faville regalando al pubblico tutta la brillantezza e lo splendore di una partitura che da quasi un secolo sembra ringiovanire diventando sempre più contemporanea e attuale ad ogni esecuzione. In orchestra colpivano molto anche i sorrisi e gli sguardi complici d’intesa.

Conclusa la gita a Parigi, è rientrato in scena il nostro Fred Astaire del pianoforte a coda lunga che a volte sa essere caricaturale con i propri atteggiamenti eccessivi e caramellati e con la sua pretesa di essere sempre sorprendente ed imprevedibile. Non è difficile immaginarlo mentre, baciato dal sole, saltella sui marciapiedi di Parigi o anche di Catanzaro.

Bollani si rimette al piano e finalmente è il momento di:

George Gershwin, Rapsodia in Blue (1924)

Mentre il clarinetto chiama a raccolta l’emozione di cui è preludio, Bollani sembra voler improvvisare su Gershwin e non si lascia sfuggire nessuna occasione per enfatizzare teatralmente il suo gesto atletico sulla tastiera. Rischia molto spesso l’auto-parodismo fin quasi ad oscurare con la sua esuberanza il suo indubitabile talento.

La Rapsodia “ti innamora” e conquista senza possibilità di resisterle, è davvero una danza che ti fa volteggiare come le velocissime dita di Bollani sulla tastiera. Il brano è fatto per suscitare entusiasmi e strappare applausi. E’ stata concepita per l’orchestra da ballo di Paul Whiteman che furoreggiava all’epoca come una delle più famose big jazz band ed eseguita la prima volta a New York con al piano lo stesso Gershwin anche lui vero funambolico virtuoso del pianoforte alla presenza di autentici geni della musica come Kreisler, Stravinsky, Rachmaninov, Stokowski quasi come a Udine qualche sera fa e si perdoni l’ironia.

L’autore dichiarò che per lui era come: “Una sorta di multicroma fantasia, caleidoscopio musicale dell’America, col nostro miscuglio di razze, il nostro incomparabile brio nazionale, i nostri blues, la nostra pazzia metropolitana”.

Bravi sono stati i Filarmonici friulani a riproporre tanta energia guidati e sostenuti dalla bacchetta del loro direttore.

Naturalmente, l’estro di Bollani, che francamente a volte appare fuori luogo, ha sostenuto l’intera serata. Il suo virtuosismo sa anche regalare momenti di altissima intensità ed emozione ed è stato proprio questo il caso.

Infine non potevano mancare i bis d’avanspettacolo che Bollani regala sempre al proprio pubblico che non aspetta altro. Sembra proprio che non riesca a resistere a interpretare il personaggio che prima alla radio e poi in tv si è cucito addosso, quello del pianista con qualche rotella fuori posto ma tanto simpatico che sembra sempre cadere dalle nuvole. L’orchestra ha avuto la destrezza di seguirlo ancora nelle sue improvvisazioni sudamericane in pieno stile Rai tv 1960 tipo Studio Uno. Tutto ottimamente eseguito e suonato con i modi di un Jerry Lewis alla macchina da scrivere. E’ una comicità da domenica pomeriggio che estasia e diverte il pubblico pagante, come al bar tra un chinotto e un’orzata per i più temerari, sempre in attesa dei risultati di “Tutto il calcio minuto per minuto.”

Bollani esce di scena ma viene richiamato a furor di popolo per il quarto bis che è un sentito omaggio a Nino Rota con un’improvvisazione sul tema di 8 e ½ di Fellini sul quale scatta quasi un battimano generale che per fortuna qualcuno zittisce. Improvvisamente su quelle note tutto è diventato chiaro: tutti noi siamo solo delle comparse in una sceneggiatura del genio di Rimini, compreso Bollani, l’orchestra, il pubblico, le maschere, tutti infine ci teniamo per mano in un grande girotondo circense per poi seguire il Direttore a passo di danza e sparire dietro le quinte dell’orizzonte.

© Flaviano Bosco – instArt 2023

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