Pordenone, 18/09/2021 – Pordenonelegge 2021 – Auditorium PAFF! Parco Galvani – Mingus: la vita, le battaglie, la musica – Incontro con Flavio Massarutto e Squaz (Pasquale Todisco). Modera Stefano Zenni – A cura di PAFF! Palazzo Arti Fumetto Friuli – in collaborazione con Circolo Controtempo, nell’ambito della rassegna Il Volo del Jazz – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021

Pordenonelegge anche in questa ultima edizione si è confermato come un evento culturale di primo piano per la nostra regione e a livello internazionale. Certo non è più una novità, ormai la manifestazione è consolidata da decenni di successi e promesse mantenute e procede a grandi falcate verso un futuro ancora migliore senza proporsi più come un semplice contenitore temporaneo di eventi ma come un vero laboratorio di produzione culturale che dura tutto l’anno avvalendosi e valorizzando ancor di più le tante realtà artistiche del territorio.

Tra queste il Palazzo Arti Fumetto Friuli (PAFF!) luogo d’incanti presso il parco Galvani e il suo laghetto delle rose nel centro storico della città di Pordenone. In nome del fumetto in quel luogo si tengono presentazioni, esposizioni, eventi e masterclasses con i più importanti artisti del settore. Non poteva esserci luogo migliore per presentare un volume fresco di stampa dedicato a Charles Mingus (Coconino Press, 2021) pensato da Flavio Massarutto, uno dei migliori critici “agitatori” italiani di Jazz, e tradotto in splendide immagini disegnate da Squaz (Pasquale Todisco). A presentare il duo il massimo esperto nel nostro paese della musica di Mingus, giornalista e cultore della musica afroamericana Stefano Zenni. Nelle sale del museo del fumetto era allestita una preziosa mostra delle tavole originali che sono servite a confezionare la graphic Novel.

L’incontro, come è stato ribadito più volte, voleva essere solo una breve conversazione, seguita da un breve momento musicale, da concludersi con qualche momento per il firma copie. Tanta urgenza non sembrava necessaria ma si sa gli orari vanno rispettati e a Pordenonelegge su questo proprio non si transige come in una fabbrica di orologi svizzeri o in una stazione ferroviaria giapponese, altro che jazz.

Il grande contrabbassista afroamericano non amava particolarmente le definizioni in musica come ha ricordato nella sua breve prolusione Zenni, era un autentico improvvisatore che utilizzava la musica come espressione autobiografica della sua vulcanica, proteiforme, a volte caotica creatività. Per la sua arte prediligeva la dimensione collettiva della sovrapposizione di più voci, strumenti, sensibilità. Nel calderone sonoro così creato sapeva cucinare la propria emotività contrapposta agli impulsi ferini che a volte lo squassavano.

Lo stesso Mingus è accreditato come autore di una propria fantastica autobiografia che, in realtà, è stata tratta ordinando alla bell’e meglio una piccola parte dei migliaia di appunti del suo zibaldone privato. Da questi scritti tutt’altro che cronologici e affidabili anzi del tutto mitobiografici si comprende ancor meglio la genialità di un artista davvero inarrivabile.

Proprio per questo Zenni ha detto di essere rimasto favorevolmente colpito dal fatto che Massarutto non avesse voluto fare un racconto biografico del jazzista di stampo tradizionale ma sacrificando la linearità narrativa concentrarsi sull’espressione delle emozioni. Massarutto non poteva fare altro con un soggetto magmatico come Mingus che non è proprio comprensibile se gli ci si accosta troppo razionalmente. Il racconto è plausibile, tutto quello che si narra è documentato o verosimile ma è costruito anche attraverso divagazioni, salti temporali, ritorni, ricordi, flussi di coscienza che si ispirano alla sua musica magmatica e visionaria.

La stessa tecnica e lo stile dei disegni adottati da Squaz che di certo si è ispirato all’immenso materiale iconografico e fotografico che riguarda il musicista ma che ha dovuto, giocoforza, interpretarne la figura per non rischiare di venire travolto da una personalità emotivamente così gigantesca. Nel nostro paese mancava un fumetto su Mingus, perciò la sfida è stata ancora più stimolante. Squaz con malcelata modestia dice che il contrabbassista lo affascina da sempre perché aveva un carattere indomabile come il suo e come lui non è un uomo dalle scelte facili ma testardo e cocciuto, per questo si è immedesimato completamente. Con tutto il rispetto, in questo caso, come diceva Celine, per dimensioni è come parlare dell’elefante di fronte alla formica e Mingus non fa certo la parte dell’insetto. Squaz ha anche confessato che alcuni elementi del suo pregevole lavoro sono del tutto casuali “buoni alla prima” come le scelte cromatiche, gli crediamo sulla parola.

Da par suo Massarutto ha risposto con grande affabilità e intelligenza ad una piccola provocazione del giornalista che giocava sulla difficoltà di rappresentare la musica jazz con un medium muto per definizione come il fumetto. Massarutto, dopo aver trattato a fondo l’argomento nei sui due primi saggi (Assoli di china e Il Jazz dentro) della storia e della cultura nel fumetto a ritmo di jazz, dell’argomento di certo deve essersi fatto un’idea. Infatti, riconosce che è sempre molto difficile evocare un linguaggio con un altro linguaggio ma che non possiamo proprio fare altrimenti. Possiamo aggiungere che la nostra stessa esistenza è interpretazione di interpretazioni, dal biblico Nimrod, il destino dell’uomo è proprio quello di sovrapporre linguaggi a linguaggi cercando di venirne a capo.

Il suo impegno è stato quello di de-costruire il solito stereotipo dell’angelo caduto, il musicista jazz maledetto che vive costantemente di jam sessions in locali angusti e fumosi. Quello che voleva era il ritratto di un artista a tutto tondo, un vero intellettuale, un poeta della musica che sapeva comporre e scrivere. Misconosciuta è, per esempio, l’attività di Mingus come paroliere.

Nella Graphic novel, oltre alla rielaborazione di alcune significative copertine degli album del musicista, si condensa la sua poetica e filosofia della musica in due momenti significativi. Il primo è nella “piccola suite in quattro movimenti (evoluzione, complesso di superiorità, declino e distruzione)” da Pitecantropus Erectus (1956) nel quale si traccia il futuro del jazz rappresentando la bestialità umana dallo stato di primate fino all’arma di distruzione di massa. A questo segue la resa grafica della celeberrima esibizione di Mingus affiancato da Eric Dolphy al Festival di Antibes del 1960. Sostenuto dalle idee e dalla sceneggiatura di Massarutto, Squaz ha saputo rendere con grande eleganza questi due momenti fondamentali della musica contemporanea evocando le note senza le solite onomatopee del fumetto; nel silenzio della pagina le sue linee e i suoi pennelli sono diventati sonori senza troppa invadenza e in perfetto equilibrio con il resto della narrazione.

Il disegnatore è stato in grado di far affiorare al di sotto della solita immagine di Mingus “larger than life”, spigoloso, beffardo, sopra le righe, logorroico, l’uomo, in fondo, vulnerabile e sentimentale, dal cuore ferito; ci è riuscito perfettamente con uno stile grafico rotondo e morbido, forse non filologico ma di certo efficace.

E’ possibile che chi si accosti a questo fumetto senza conoscere minimamente la musica del contrabbassista provi qualche difficoltà e resti spiazzato, disorientato, spaesato di fronte a molti enigmi esistenziali e alla non linearità della narrazione. Ma è proprio così che deve essere, l’enigma serve a sollecitare, stimolare il nostro interesse verso qualcosa che non conosciamo.

Massarutto spiega raccontando della sua prima esperienza con il Jazz. Il suo primo concerto fu a Vittorio Veneto nel 1981 dove suonava la Sun Ra orchestra capitanata proprio dal faraone nero in persona che allora faceva ancora parte della nostra dimensione spazio-temporale. La scaletta prevedeva a parti alternate, swing tradizionale e furore free jazz assolutamente estremo. Frastornato, alla fine scoprì che era stato proprio il non capirci nulla a stimolare la sua insanabile curiosità. A questo punto anche Zenni si lascia andare a dei nostalgici ricordi che collimano con quelli di Massaruto. Nel 1976 con grande gioia, ma senza la giusta preparazione, vide Sun Ra allo stadio di Pescara restandone sbalordito; solo l’anno prima aveva visto proprio Charles Mingus con il suo fantastico quintetto.

Finita la presentazione del volume, dopo i ringraziamenti di Paola Martini dell’Associazione Culturale Controtempo che ha patrocinato il libro e l’evento, è stata la volta della musica di Daniele D’Agaro e Alessandro Turchet (sax tenore+contrabbasso), che hanno scelto tre brani nella sterminata discografia Mingusiana, rileggendo con equilibrio quella musica così densa, polifonica e orgiastica, così refrattaria ad essere riproposta da due soli strumenti.

In “Duke Ellington’s Sound of Love” Turchet con l’archetto fa cambiare prospettiva a chi lo ascolta sul fatto che il contrabbasso sia essenzialmente uno strumento ritmico almeno per quanto riguarda il jazz. Possiamo chiamarle dolci armonie sulle quali il sax, sempre sui registri più gravi fino ad essere soffiati, intesse ricordi e costruisce memorie.

E’ seguita un’intensa interpretazione dei due sui temi di “Orange Was the Color of Her Dress Then Blue Silk”che è un brano di per se notturno, felpato e felino ma allo stesso tempo urbano e segreto. Turchet domina egregiamente una potente energia ritmica che non minaccia però mai di sovrastarlo prendendo il sopravvento. Alle ultime battute, quando l’atmosfera sta per sciogliersi, uno dei fantastici ma irremovibili angeli del festival ricorda a tutti i presenti che mancano cinque minuti alla chiusura della sala conferenze e del museo del fumetto. I ragazzi sono efficientissimi ma ogni tanto la loro precisione asburgica è sottilmente inquietante.

Non poteva mancare “Goodbye pork Pie Hat head”. Il brano tra i più noti del contrabbassista che lo dedicò all’amico scomparso Lester Young fu rielaborato da Joni Mitchell per il suo fondamentale album “Mingus”.

Nel giugno 1978, Charles Mingus, cui era stata diagnosticata ufficialmente la SLA, si trasferì a Cuernavaca in Messico. L’amico sassofonista Gerry Mulligan gli aveva consigliato le cure di una curandera india di nome Pachita. La Bruja lo sottopose a trance ipnotica, gli fece assumere erbe allucinogene, pozioni magiche, lo sottopose a fangosi bagni termali, gli fece bere il sangue ancora caldo di un iguana, lo operò chirurgicamente a mani nude senza lasciargli alcuna cicatrice.

Barbara Guerrero detta Pachita è stata probabilmente la più famosa curandera dell’epoca moderna, scrive di lei Carlos Castaneda in The power of silence, (pag 64): “Ciò di cui ero stato testimone era stata un’operazione chirurgica eseguita da una famosa guaritrice psichica…La guaritrice era una donna che entrava in una trance molto accentuata al momento di operare. Fui in grado di osservare come, usando un coltello da cucina, aprì l’addome del mio amico all’altezza dell’ombelico, gli estrasse il fegato malato, lo mise in una boccetta d’alcool, poi lo rimise al suo posto e richiuse la ferita che non sanguinava, con la semplice pressione delle mani”.

Naturalmente Casteneda sapeva bene che gli effetti della cosiddetta operazione chirurgica altro non erano che suggestione ipnotica con cui paziente e testimoni s’illudevano di guarire. Ma che importa, se funziona, il metodo è paragonabile a quello delle cure palliative, proprio come sostiene anche Alejandro Jodorowsky che di Pachita fu assistente e discepolo e che a lei si ispirò per la sua psicomagia.

La suggestione certo non cura “materialmente” un bel niente ma se abbiamo la forza di trattenere la nostra sicumera razionalista dobbiamo pur ammettere che in qualche caso aiuta, le terapie del dolore che ricorrono a tecniche di rilassamento e di immaginazione, per esempio, a volte valgono di più di quelle medico invasive chemio o radioterapiche.

La moglie Sue Graham Mingus ha dichiarato: “Abbiamo fatto un sacco di tentativi, di cose pazzesche che però, fortunatamente, hanno dato un sacco di vitalità a Mingus in quegli ultimi sei mesi di vita perché quella strega gli aveva dato una speranza. Lui si lasciava fare tutto, sopportava tutto. Malgrado tutto, senza quei tentativi la vita sarebbe stata per Mingus e per tutti noi assai più pesante.” (in Mario Luzzi, Charles Mingus, Lato Side ed, Roma 1983)

Stefano Zenni nel suo Charles Mingus, Polifonie dell’universo musicale afroamericano scrive nelle primissime pagine del suo saggio che Mingus si interessò molto precocemente alle tecniche di registrazioni soprattutto per quanto riguarda la sovra incisione e il montaggio del nastro. Ciò gli permetteva di “navigare” molto più libero con la fantasia e sovra-incidere i tanti strumenti che lui stesso suonava. Come in un montaggio cinematografico prese a “incollare” tra loro anche a distanza di mesi due session distinte creandone una o più del tutto nuove.

La storia del sangue dell’iguana ha colpito a fondo l’immaginario di Massarutto che l’aveva usata nel soggetto di un’altra splendida storia a fumetti nata per uno spettacolo, disegnata da Davide Toffolo e pubblicata nel suo primo ottimo volume, Assoli di China (Stampa Alternativa 2011). Val la pena di riportare cosa scriveva l’autore allora nella piccola prefazione a quelle tavole: “Esistono visioni persistenti e visioni fuggevoli. Mi interessano quelle che chiamo visioni multiple cioè visioni che a loro volta ne generano altre e così via. Come quei sassi piatti che si scagliano sulla superficie dell’acqua dei fiumi o del mare facendogli fare dei salti. Se li tiri a pelo d’acqua con la giusta forza e inclinazione possono fare molti salti…visioni raccontate, ascoltate, scritte, lette, suonate, disegnate, guardate, di nuovo suonate, ascoltate…La musica prima di essere un suono è visione.”

Genialità, caso, alchimia, stregoneria, visionarietà e anche un pizzico di ciarlataneria sono gli elementi che costruiscono la straordinaria sensibilità di uno dei musicisti più importanti di ogni tempo. La Graphic Novel di Massarutto e Squaz gli rende finalmente giustizia anche nel nostro paese guardandosi dall’esprimere le solite chiacchiere ma regalando emozioni e disegnando sentimenti, nient’altro.

Flaviano Bosco © instArt