“In biologia, l’esuvia (in latino Exuvia) è il resto dell’esoscheletro dopo la muta di un artropode (insetto, crostaceo o aracnide) … Non essendo sempre pratico studiare gli insetti direttamente, le esuvie, che possono essere raccolte abbastanza facilmente, hanno un ruolo molto importante nell’aiutare a determinare alcuni aspetti generali del ciclo vitale di una specie…” (Wikipedia).

Sull’enorme palco di Maiano si aggiravano strane creature dei boschi con caduceo con il simbolo triskell di Exuvia in una sorta di danza sciamanica.

Da un intrico di rami, quasi un nido, emergeva Michele Salvemini in arte Caparezza che cominciava a cantare con sullo sfondo uno schermo circolare, quasi una finestra su una foresta psichedelica.

Il pubblico che aveva davanti era fatto in gran parte di ex “campioni dei ‘90” con mogli a carico e bambini sulle spalle.

Una voce, parafrasando Kafka, raccontava del “Capa” che, dopo una notte tormentata, si svegliò in forma di lumaca in fuga dal suo disco precedente, mentre una terrificante macchina di scena in forma di mano fatta di rami cercava di ghermire il cantante che si portava la sua casetta a chiocciola sulle spalle.

Come si è capito, il concerto di Caparezza al Festival di Maiano non è stato uno come tanti, si è trattato di un vero complesso spettacolo multimediale totale che univa la musica alla rappresentazione teatrale e le parole ai suoni e alle immagini proiettate.

È stata l’ultima data delle 20 dell’Exuvia tour che ha girato per le città italiane lungo questa estate incandescente per temperature e cronaca quotidiana. Erano quattro anni che Caparezza non si esibiva dal vivo e da allora, ha dichiarato, è cambiato tutto, si sentiva proprio un uomo-lumaca perché gli sembrava che il mondo andasse molto più veloce di lui ed è in questa apparente lentezza che ha concepito la Exuvia Experience che, oltre ad un disco doppio e alla tournée, si è concretizzata anche in un sito internet pieno di tutti i materiali di cui si è servito per scolpire nella musica la sua opera.

Tra un brano e l’altro Caparezza non ha resistito ad ammannire al proprio pubblico tante piccole “lezioni” sui vari profondi concetti che ha voluto sviluppare e mettere in scena. Il tono è stato sempre ironico ma si capiva subito che il suo intento era pedagogico e che l’artista crede davvero che l’arte serva a qualcosa e cioè ad educare e convincere le persone che vogliono prestare attenzione.

Il “passaggio al bosco” che descrive nel disco, è quindi una sorta di rito iniziatico che unisce tutta l’umanità, da quella più arcaica, che sancisce l’iniziazione alla vita adulta attraverso il dolore fisico di una prova contro gli elementi naturali, passando per l’umanità nuova di Dante e Shakespeare, che lo considera come un superamento di un’angoscia esistenziale (Selva oscura, foresta di Puck ecc) fino alla attuale istanza di rispetto e di convivenza con la parte più oscura di noi, quella tenebrosa e inconscia che ci spaventa ma della quale non possiamo di certo fare a meno.

“Capa”, nella sua foresta interiore, qualche anno fa, incontrò la propria nemesi sotto forma dell’uccellino Larsen che si è visto prendere posto come maschera sul palco in mezzo agli altri ballerini.

È decisamente un bell’animaletto ma il suo fischio è fastidioso e continuo da farci un’ossessione. È la metafora della scoperta dell’acufene, la malattia cui il cantante ha cominciato a soffrire nel 2015, una sorta di contrappasso per chi si occupa di musica e che limita le sue possibilità. Grande rumore sui media ha suscitato, infatti, la decisione di limitare le esibizioni della tournée al solo periodo estivo nonostante le grandi richieste. Lo sforzo avrebbe potuto compromettere ancora di più la salute del cantante, perciò si è deciso di dar retta all’uccellino: “E sono contento della scelta che ho fatto nemmeno un rimorso, nemmeno un rimpianto. Si, sono contento, che bella scoperta…questa è la mia vita non dimenticarlo”.

Durante lo spettacolo, uno strano aneddoto ci dice di Caparezza da ragazzo alla stazione di Milano. Era ad inizio carriera e aveva fatto solamente una fallimentare estemporanea apparizione al Festival di Castrocaro ma gli erano “passati sopra in retromarcia”. Tra treni e bagagli un discografico lo riconobbe e volle da lui una demo con le sue canzoni. Da quel momento ci fu la svolta della sua carriera. Sul palcoscenico ha fatto la sua comparsa un’enorme musicassetta che è diventata la gogna che da allora lo ha imprigionato. È stata tutta una riuscita e piacevole pantomima per il brano “Campione dei ‘90” che per l’appunto racconta le disavventure iniziali della sua carriera.

Straordinaria anche la scenografia e la coreografia della canzone “Contronatura” con le comparse che muovevano un’enorme anaconda di cartapesta, stoffa e paillettes come i draghi del capodanno cinese. La natura sa essere anche cattiva matrigna come diceva Leopardi, parlandone con il proprio pubblico il cantante ha propinato un’altra interessante “lezioncina” questa volta di storia dell’arte.

Il tema era prevedibile e sorprendente allo stesso tempo: l’analisi del dipinto “La ragazza in bianco in un bosco” di Vincent van Gogh. Il pittore, in un faggeto dell’Aia, dipingendo sulla propria tela le foglie intorno ai tronchi, s’accorse che i due elementi si fondevano in un tutt’uno attraverso il colore; fu questa la sua illuminazione, da quel momento a ventotto anni diventò un artista materico e incompreso avviandosi verso il manicomio ha detto sarcastico il “Capa”. C’è sempre tempo per fallire ed essere disperati ma in questo caso si salta tutti cantando: “Tu sei pazzo Mica Van Gogh, Mica Van Gogh”.

Il racconto biografico-artistico è continuato con “Eyes Wide Shout” la canzone che nell’ultimo album sviluppa l’idea che attraverso l’arte sia possibile creare qualcosa di assolutamente diverso dalla realtà migliorandola. “Art is better than life!”

Attraverso la creatività è possibile, per ognuno di noi, passare ad un’altra dimensione dove essere liberi e consapevoli e “non è vero che non siamo capaci, che non c’è una chiave”. Sullo schermo alle spalle del cantante si vedeva una grande porta chiusa su un prato verde che a poco a poco si apriva permettendogli di passarci attraverso.

Naturalmente, sbucava nel paese di Alice ma, tra lo Stanconiglio e Caparezza vestito da cappellaio, matto qualcosa era cambiato anche lì e come da noi non ci si meraviglia più di niente; è la disillusione e il disincanto del brano “Il mondo dopo Lewis Carrol”. Anche in questo caso era stupenda la coreografia, tra ballerini vestiti da fungo con tanto di ombrello, carte da gioco e tutto l’immaginario di Wonderland da sempre straniante con o senza quello che si fuma il “brucaliffo”.

In realtà, però, non c’è molto da ridere, la nostra dimensione è soprattutto quella di “Malincònia” dalla quale se ne vanno tutti perché non riescono a capire come si è ridotta in questo “Stato”. E pensare che per Dante questo era il bel paese dove ‘l si sona.

Caparezza ha continuato ancora ad alternare riflessioni colte ai suoi brani con grandissima ironia e divertimento, trattando temi molto profondi con una leggerezza che è tipica di chi crede veramente in quello che dice e nella funzione pedagogica della musica autenticamente popolare che diverte e fa ballare ma non spegne i neuroni e anzi aiuta a farli meglio funzionare.

Molta parte del suo pubblico ha imparato molto di più sulla letteratura e sulla poesia italiana da Dante ad Ariosto, con i suoi brani che durante le barbose, inutili lezioni scolastiche. E’ proprio grazie agli artisti come lui se la cultura italiana più autentica continua a vivere nonostante il generale “naufragio” del nostro paese.

Si è così riflettuto piacevolmente e in musica sul significato della scrittura nella società della comunicazione “Altro che Freud, ho un foglio bianco, per volare alto, lo macchio come l’ala di un Albatro” (China Town); dell’ineluttabilità della morte “Non chiamarmi prostituta perché tutti giacciono con me” (La certa); della trasformazione del concetto di temporalità “Non pensavo tu invecchiassi come tutto il resto” (Zeit!); di coloro che “camminano” sui sentieri della speranza “Non ho mai lasciato la Nigeria con i miei risparmi chiusi dentro il palmo” (El Sendero) e molto altro.

Davvero memorabile è stata la “lezione” sull’Orlando Furioso, spiritosa, godibile ma anche di grande intensità, un momento di vero e proprio teatro canzone come del resto tutto lo spettacolo che è una versione moderna e attualizzata di quella grande tradizione teatrale italiana che nel ‘900 si è incarnata, tra gli altri, in Dario Fo e Giorgio Gaber.

Caparezza ha tenuto a spiegare anche la grande differenza tra fede e fiducia che è diventata assolutamente cruciale nel nostro tempo. Ci sono le persone che credono incrollabilmente nelle proprie convinzioni e pregiudizi che scambiano per valori e altri che prima ragionano e, caso per caso, prendono le loro decisioni e fondano le proprie convinzioni. Orlando non vuole credere, nemmeno davanti all’evidenza, che Angelica sia innamorata di un altro, non ammette che esistano altri modi di pensare diversi dal suo e piuttosto di accettare la “versione degli altri” diventa violento, pazzo furioso, e allora è il caso di gridare: “Basta fede! Solo fiducia!”

Il ragionamento che è sfociato nel fantastico beat di “Io vengo dalla luna” è stato preceduto da un’altra meravigliosa canzone dell’ultimo album: “Come Pripyat”, il riferimento è ad una città vicina alla centrale di Chernobyl che dopo la fuga radioattiva è stata completamente abbandonata. Il significato del brano nell’economia dell’opera è talmente importante che lo lasciamo spiegare dalle parole stesse di Caparezza:

“Questo pezzo rappresenta il passaggio da realtà ferma a realtà trasformata. Nel bel mezzo della boscaglia mi imbatto nei resti di una città fantasma in cui tutto è mutato a causa della radioattività. Tante le mutazioni in atto: il rap è diventato l’esaltazione dell’opulenza, la criminalità è diventata un’ambizione sociale, i meridionali sono diventati leghisti, le persone e le categorie che ho difeso nelle mie canzoni hanno un pensiero ormai opposto al mio ed ho la sensazione fortissima di parlare a vuoto, di parlare “al vuoto”, come Mastorna nel film incompiuto di Fellini, come se vivessi nella città fantasma di Pripyat.”

Non è certo una bella situazione, ma è esattamente quello che viene da pensare osservando i tantissimi nostri concittadini che ai concerti e alle manifestazioni urlano tutta la loro voglia di libertà e democrazia, saltando con i figli piccoli sulle spalle e tenendo per mano il proprio cuore, ma che poi, appena si spengono le luci del varietà, nella vita quotidiana o nel segreto dell’urna, si comportano molto peggio del povero Orlando con cui condividono soltanto il fatto di essere mentecatti.

Forse siamo tutti un po’ così, chi lo sa, solo il dio-cicala ci può salvare. Sul finire del vero e proprio musical di Caparezza, ha fatto la propria comparsa sul palcoscenico un enorme statua del divino insetto alla quale con molte facezie sono stati tributati tutti gli onori. In conclusione, lasciamoci spiegare l’arcano ancora dalle parole stesse del cantante:

“Exuvia è un’ode al cambiamento, al dio-cicala del cambiamento, che lascia la sua vecchia pelle per diventare qualcos’altro. Questo sono io. Ogni album che ho fatto è la fotografia del Michele di quel preciso momento, che non è lo stesso di oggi…e comincio a cantare il mio disco nuovo come queste cicale dal sottobosco”.

Scaletta: Canthology, Fugadà, Larsen, Campione dei Novanta, Contronatura, Mica Van Gogh, Eyes Wide Shut, Una chiave, Il mondo dopo Lewis Carroll, Goodbye Melancòlia, China Town. La certa, El sendero, Ghost Memo (skit), Come Pripyat, Vengo dalla Luna, Abiura di me, Zeit!, La scelta, Ti fa stare bene, Exuvia, Vieni a ballare in Puglia, Fuori dal tunnel, Eterno Paradosso (registrata)

Flaviano Bosco – instArt 2022 ©

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