Tra le più interessanti iniziative che hanno caratterizzato la XXXIII edizione del festival udinese ci sono stati di certo gli incontri meridiani tra esperti e appassionati all’osteria Alla Ghiacciaia di Udine.
Attorno ad un tavolo imbandito con succulenti stuzzichini al prosciutto di San Daniele accompagnati da freschi calici di quello buono, giornalisti e addetti ai lavori hanno discusso in forma conviviale sugli argomenti del giorno a partire dalle proposte e dagli eventi in cartellone.

Si è trattato così di Steward Copeland e della storia dei Police con Andrea Ioime, del futuro del jazz con Marcello Lorrai, delle Donne nel Jazz con Gerlando Gatto e della storia del Pat Metheny Group.
Con il conduttore radiofonico Max de Tomassi, una delle anime del festival, si è discusso naturalmente dei Miti e delle leggende della musica brasiliana e non poteva esserci anfitrione migliore. In quella giornata erano programmati, infatti, i concerti dello spericolato pianista Amaro Freitas e della Regina del Samba Eliane Elias.
A De Tomassi va l’indiscutibile merito di aver diffuso anche tra il grande pubblico italiano la musica e la cultura brasiliana attraverso i suoi programmi Brasil e Rai-StereoNotte. Le sue competenze sull’argomento sono davvero inarrivabili. Per di più unisce alla sua grandissima conoscenza della cultura carioca, ai limiti dell’erudizione, un grande senso della relazione umana e dell’accoglienza che ne fanno uno squisito conversatore con i suoi mille aneddoti ed esperienze dirette.
Così, degustando preziosi salumi e sorseggiando il sole delle vigne friulane, ha amabilmente raccontato dei suoi primi approcci con il continente della musica brasiliana non prima di aver ricordato con un brindisi il rimpianto Gianni Minà che ritiene giustamente un maestro del giornalismo e un uomo con la schiena dritta in senso assoluto.
De Tomassi ha dichiarato di essersi formato inizialmente ascoltando come tutti i ragazzi della sua generazione i Genesis, la PFM, i Pink Floyd ma che è stato Santana a traghettarlo verso la musica latina.
Sia detto solo per inciso e per segnalare la coincidenza che, negli stessi giorni del festival, a poca distanza da Udine si sono esibiti nell’ordine: Steve Hackett con il suo omaggio ai 50 anni dell’album Foxtrot, la PFM con Di Cioccio e Djivas in splendida forma e l’immenso Nick Mason con la sua band “Saucerful of Secrets”.
De Tomassi ha rivelato che l’artista che lo ha affascinato fin da subito è stato Jeorge Ben da noi misconosciuto e ricordato solo per il “trenino di capodanno” ma autore, tra l’altro, di “Mas que Nada”. Naturalmente, sono seguiti moltissimi altri più o meno famosi anche in patria, ma sempre straordinari artisticamente e in grado di trarre il meglio dalle tante influenze culturali di quel paese talmente grande da poter essere considerato un continente.
De Tomassi ha confidato che per entrare in relazione amichevole con i musicisti brasiliani bisogna privilegiare il rapporto umano a quello professionale “Prima le persone e poi il lavoro”. Per un italiano è più facile oltrepassare certe diffidenze e ritrosie perché i brasiliani generalmente sono molto attratti dallo stile di vita italiano, condividendo con noi un certo gusto per la bellezza, il buon cibo, il gioco del calcio e altro; c’è un filo diretto che ci lega a quel popolo che vive al di là dell’Atlantico e che forse un po’ ci somiglia; anche perché, secondo le stime più caute gli oriundi italiani in Brasile sarebbero almeno 10 milioni, per altri tre volte tanto.
Sicuramente la radice comune è quella dell’accoglienza che i popoli latini a tutte le latitudini conservano. Nel mondo dello show business molti artisti vengono trattati come prodotti e venduti sul mercato alla stregua di bibite, merendine e pannolini, sarebbe necessario riportare al centro dell’attenzione le persone che in realtà vivono di riti e condivisione, prima che di scambi commerciali.
D’un tratto arriva all’osteria il pianista Amaro Freitas in persona con una camicia improbabile verde acido con stilizzate delle donnine piuttosto procaci e una gran voglia di socializzare. Gli viene chiesto cosa vorrebbe che i giornalisti gli chiedessero e lui dice che preferirebbe che si concentrassero di più sugli aspetti del processo creativo che caratterizza la sua musica piuttosto che invariabilmente sui temi relativi al contesto sociale alquanto disagiato nel quale è cresciuto. Vi è sempre della bassa sociologia o un eccessivo interesse per la vita personale dell’artista che di certo influisce sulla sua arte, ma non ne è la parte preponderante per quanto lo riguarda.
Di certo rispetto alla cultura degli afro-discendenti è un effetto degli stereotipi del nostro subdolo pensiero “coloniale”. Abbiamo sempre un occhio di commiserazione verso i non europei o assimilabili che consideriamo sempre dei poverini con tanta buona volontà che nonostante tutto sono riusciti a realizzarsi. Concentrandosi troppo sulle condizioni sociali, sulla provenienza e sull’etnia, si finisce per perdere di vista, come nel caso del musicista Amaro Freitas, il processo creativo attraverso il quale crea la propria arte e la sua altissima formazione e preparazione.
Freitas, per esemplificare la necessità di un cambio di prospettiva, ha raccontato ai suoi nuovi compagni d’osteria una leggenda relativa alla propria cultura che lo ha molto colpito e ispirato.
Il Quilombo di Palmares è stato un regno tra gli odierni stati dell’Alagoas e Pernambuco formato da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni a partire dal 1580. La leggenda dice che fu fondato da Imbangala Aqualtune, una principessa africana fatta schiava in Congo e poi fuggita insieme a molti altri nel folto della foresta amazzonica.
Palmares da quel piccolo nucleo di fuggiaschi si sviluppò fino a circa trentamila persone divise in molti piccoli villaggi che controllavano 250000 chilometri quadrati di foresta. Tra varie peripezie gli ex-schiavi e i loro discendenti riuscirono a rimanere indipendenti per oltre due secoli, regalando alle popolazioni di quei territori una cultura e un carattere del tutto particolari lontani dalla condizione di schiavitù.
Freitas racconta ancora che nel Pernambuco si narra che, combattendo, si impossessavano delle armi da fuoco dei bianchi per trasformarle in padelle e altri oggetti di uso quotidiano che ritenevano molto più utili. Negli afro-discendenti brasiliani del Pernambuco lo stato dal quale viene Freitas e in altri con una storia simile, si conserva quell’antica fierezza di ribelli indomabili che ricrearono la cultura africana nel folto della foresta emancipandosi dalla schiavitù con le proprie forze.

Brazilian Night – Amaro Freitas (piano e percussioni)
L’artista pernambucano nell’ultimo album “Sankofa” riflette sulle proprie origini africane e sul complesso della cultura brasiliana anche a partire dalla sua fascinazione per la polifonia, isofonia, armonia non funzionale e per tutte quelle tecniche pianistiche non tradizionali che gravitano attorno al pianoforte preparato.
La sua ricerca è rivolta a far esprimere tutti gli “Amaro” che sono in lui, testimoni delle culture, influenze e stimoli che compongono, decostruiscono, frammentano e ancora una volta riassemblano la sua identità che vuole sempre sia intesa come processo di elaborazione così come la propria arte è un fluire costante verso la trasformazione.
Freitas era reduce da un concerto a Tokio davanti a tremila appassionati; sul piazzale del Castello di Udine ce n’erano, purtroppo, molti di meno, ma altrettanto curiosi, entusiasti e rapiti da una performance pianistica come poche se ne vedono.
Il giovane pianista è un creativo che regala al proprio strumento una nuova prospettiva con ritmi ipnotici, una violenza percussiva selvaggia e belluina, a volte a stento trattenuta, ma sempre del tutto espressiva talmente bizzarra da risultare destabilizzante, senza mai essere astratta ma sempre davvero distante dai canoni consueti anche della musica d’arte.
Possiede la carica eversiva di un certo pianismo contemporaneo che si ispira al magistero di John Cage, senza mai essere auto referenziale, solipsistico, sofistico o astruso.
E’ un fenomeno di virtuosismo che si guarda bene dal farlo pesare, non è mai supponente o tronfio. La sua musica arriva direttamente, colpisce forte e perfino stordisce, ma sa rimanere onesta e concreta. Si percepisce distintamente la sua volontà e l’urgenza di comunicare ed esprimersi fino a esplodere sulla tastiera; possiede una straordinaria energia vitale dentro di se e non può fare altro che esprimerla nel modo più efficace.
Freitas ha la candida irruenza di un fanciullo che ride per una cosa che gli è riuscita e vuole che tutti siano felici con lui.
Lavora sia sulla tastiera, sia su tutte le altre parti accessibili del pianoforte. Naturalmente, agisce sulla cassa e la tavola armonica, ma poi ancora sulla meccanica, martelletti e pedali compresi. Tutto questo fino a far gemere il pianoforte con degli effetti piuttosto sinistri ai quali unisce ritmiche bizzarre con i sonagli fino a suggerire un ricordo del samba che distorce con colpi sordi sull’intelaiatura.

Il suo piano preparato è davvero uno strumento a percussione che restituisce alla musica la sua primaria ancestrale funzione apotropaica di medium che intercede tra l’uomo e le forze spirituali della natura. Come un moderno sciamano è spesso ossessivo, ripetitivo, straniante, ma sempre esplosivo, estremo e senza compromessi con, incredibilmente, una nota di dolcezza sempre distintamente percepibile sotto la travolgente, drammatica e fin anche eccessiva irruenza che permette di distrarsi dal capire quello che tecnicamente esegue solo per goderne.
Scompagina così ogni aspettativa e riprende un lontano discorso che il free jazz e l’avant-garde sembravano aver abbandonato dopo i furori del finire degli anni ’70.
Ad un certo punto dell’esecuzione ha utilizzato quasi come estensione della tastiera un piccolo “Steel pan” brasiliano ottenendo i fantastici suoni del Toy Piano di Cage che la superba pianista Agnese Toniutti, anch’essa presente nel cartellone di Udin&Jazz, conosce molto bene.
Il furioso set modellato su riscritture e disintegrazioni di irriconoscibili standard come “Giant Steps” di Coltrane o “Footprints” di Shorter ha avuto momenti di assoluta placida tenerezza con il brano dedicato dal pianista alla propria madre e poi con i sentiti omaggi a Milton Nascimento e Tom Jobim.
L’arte di Amaro Freitas trasporta in un’altra dimensione “Verde spettacolo in corsa da inseguire, da inseguire sempre, da inseguire ancora…fino ai laghi bianchi del silenzio”.

Brazilian Night – Eliane Elias Qrt Marc Johnson (contrabbasso) Leandro pellegrino (chitarra) Rafael Barata (batteria) Eliane Elias (piano e voce)
Eliane Elias, la regina della Bossa Nova capricciosa e bizzosa come tutte le grandi star, ha una grande capacità interpretativa, intrattiene perfettamente il pubblico con la sua voce suadente e i suoi continui ringraziamenti; sa prendersi gli applausi e sa come suscitarli. Un pettegolezzo vuole che, tra le altre cose, nel suo camerino di diva non debba mai mancare una gustosa papaya.
La sua compassatissima esibizione ha riguardato l’esecuzione di un certo numero di brani originali che le hanno garantito ben quattro Grammy Awards come ha tenuto a sottolineare più volte e un “potpourri” di classici della canzone brasiliana, in un Brazilian Songbook non di spiacevole ascolto, ma cristallizzato dagli stereotipi del genere alla metà del secolo scorso.

Gli altri musicisti sul palco erano assolutamente dei comprimari, quasi delle comparse senza arte né parte, certo ottimi accompagnatori ma sempre un tono sotto la leader che non ha concesso loro il minimo spazio al di fuori di quello che si avvertiva essere un programma rigido e insindacabile. Anche musicalmente i riflettori erano metaforicamente sempre puntati su di lei.
Molto poco spazio è stato riservato anche al marito Marc Johnson che lei ha definito una leggenda vivente del Jazz. Effettivamente guardando il suo curriculum e le tantissime collaborazioni in 50 anni sudati di carriera verrebbe quasi da osannarlo, ma dopo averlo ascoltato ci si rende conto che i suoi anni più belli sono passati da un pezzo.
In ogni caso, il concerto è stato molto godibile senza essere entusiasmante, suoni puliti, grandi sorrisi e quel misto di “Felicidade e Tristeza” che è l’essenza di un certo spirito brasileiro come cantava il grandissimo Antonio Carlos Jobim cui la pianista deve moltissimo.
La tristezza non ha fine, la felicità sì. La felicità è come una goccia di rugiada su un petalo di fiore: splendore silenzioso. Dopo una leggera oscillazione, cade come una lacrima d’amore”.
A questo proposito il concerto ha riservato una luminosa e preziosa perla proprio nell’omaggio finale al padre della Bossa Nova, con una versione davvero notevole di “Desafinado” che Jobim dedicò a tutti i cantanti stonati nel 1958 e che in Italia Gino Paoli trasformò nella celebre “Un cuore stonato: E’ il più grande amore che tu possa incontrare mai. Tu con la tua musica non hai capito che c’è un cuore in fondo allo stonato. Quando è veramente innamorato c’è un cuore che può far cantare uno stonato come me”.

© Flaviano Bosco – instArt 2023

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