Si è conclusa con un concerto fuori dal comune questa, altrettanto straordinaria, edizione di Grado Jazz by Udin&Jazz. Un plauso è doveroso ad Euritmica che, con passione e competenza, seppur tra mille difficoltà, sa concepire, costruire e realizzare una rassegna unica con esibizioni d’altissima qualità e interesse con i migliori musicisti della scena internazionale. Non serve nemmeno ricordare le stelle di prima grandezza che ne hanno calcato le tavole: King Crimson, Rubalcaba, Fresu, Ford, Snarky Puppy.

Serve sottolineare, invece, la nutrita presenza alla manifestazione di quei musicisti che rappresentano il futuro del jazz (The Shape of Jazz to Come). Nei cuori di tutti inequivocabilmente l’eccezionale esibizione dello sciamano brasiliano del pianoforte Amaro Freitas, dallo strabordante talento, del quale sentiremo parlare a lungo.

Naturalmente, non tutte le ciambelle riescono con il buco, infatti, in quest’ultima serata, un sortilegio maligno del meteo non ha voluto che si esibissero i meravigliosi Maistaph Aphrica. Il maltempo pervicace, cattivo e spietato con il festival, ha privato il pubblico dell’esibizione dello splendido combo di musicisti friulafricani che con i loro suoni esplorano il continente Matrice.

Gli otto partigiani bianchi dal cuore nero ma dal sangue rosso come le più belle bandiere, sono un altro esempio della straordinaria vitalità del jazz in terra friulana, punta di diamante di una giovane generazione di musicisti d’eccezionale qualità e valore che si stanno facendo strada con un pubblico parimenti giovane che li sa seguire e apprezzare.

Davvero un peccato, ma ci saranno di sicuro altre occasioni per ascoltarli e apprezzarli.

Ore 21,47: Snarky Puppy.

Michael League è il bassista e band leader del gruppo di musicisti americani. Quando il fratello lo sentì suonare la prima volta con il suo allora scalcinato ensemble per canzonarlo gli disse che il sound gli sembrava il berciare di un fastidioso cagnolino, per l’appunto, uno Snarky Puppy, da qui l’ironico nome della band. Come dice Gadda nel suo Pasticciaccio: Una canina pechinese che abbaiava con molta stizza. La vitalità di questi mostriciattoli è una cosa incredibile verrebbe voglia di accarezzarli, poi di acciaccarli.

A parte la pretenziosa colta citazione che però fa sempre colore, è certo che il fratello di League si stava sbagliando e non sapeva di quanto. Il collettivo americano è diventato una delle band più interessanti e celebrate degli ultimi anni con un sound travolgente ed innovativo.

Un pubblico delle grandi occasioni, infatti, ha affollato e riempito in ogni ordine di posti, in piedi e poltrone, fino a scoppiare, la pur capiente tensostruttura del Parco delle rose, sede della manifestazioni. Tra loro moltissimi ragazzi di ogni età, da quelli con i capelli bianchi e i baffoni ma dal cuore bambino, a quelli che giovanissimi lo sono davvero e che vanno appena scoprendo le gioie dei tempi dispari.

Per capire quale supernova ha illuminato i cieli di Grado Jazz è necessario fare qualche considerazione retrospettiva altrimenti il rischio è quello di pensarli solo come una delle tante meteore nel firmamento estivo.

Formatasi nel 2003 in Texas ma stabilmente insediatasi a Brooklin, la band a mietuto consensi di critica e di pubblico fino a vincere tre grammy awards; i loro video sono diventati virali sui social network con milioni di contatti, vero e proprio fenomeno di culto della scena musicale contemporanea. Uno dei più ardenti sostenitori del gruppo e suo fan accanito è, nientemeno, che l’immenso David Crosby che ha voluto alcuni di loro come musicisti per uno dei suoi ultimi capolavori Lighthouse (2016) tour compreso.

Gli Snarky Puppy sono una sorta di comune formata da due dozzine di musicisti (Full Line Up) che gravitano attorno alla figura centrale del bassista Michael League, straordinario polistrumentista e compositore. La band è decisamente Guitar bass centred ma, per fortuna, non ego riferita; ogni musicista, pertanto, ha la propria dimensione e libertà, anche se basta ascoltarli e si capisce subito chi è infallibilmente al timone del vascello e chi ha il privilegio non solo di studiare i portolani ma anche l’abilità di tracciare nuove rotte.

L’assoluto merito dell’Irascibile cagnolino è quello di aver riportato al centro della scena musicale il concetto di Fusion che sembrava come sospeso e mummificato dopo le glorie postreme degli ultimi anni ‘80. Ci eravamo perfino quasi dimenticati quanto ci piacesse quella fantasmagorica mescola di Jazz, Rock, Funky, R&B, tradizioni etniche, folklore e world music.

Quello che hanno fatto questi musicisti americani non è stato solamente riesumare uno stile in coma vegetativo da un pezzo ma, soprattutto, averne riscoperto gli autentici valori morali e il significato che possono avere per il nostro presente.

In origine, infatti, la Fusion non era stata generata semplicemente da una qualche motivazione ludica o di intrattenimento, ma pretendeva ben di più dai propri musicisti e, di conseguenza, dal pubblico.

Uno spirito di protesta legato alla lotta per i diritti civili degli afroamericani animava Bitches Brew e In a Silent Way di Miles Davis che poi, a cascata, diedero origine ad una miriade di gruppi in tutto il mondo. Un afflato religioso guidava, invece, la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin ricolma di Divina passione, di potere e di giustizia.

E ancora una democratica bellezza trascinava le composizioni dei mirabolanti Weather Report, per non parlare dell’anarcomusicologia di Frank Zappa.

Lanciando questo tour mondiale che sostiene la pubblicazione nuovo album Immigrance, eseguito live quasi integralmente con la minima aggiunta di qualche vecchio brano, Michael League ha dichiarato che il titolo dell’album è da intendersi come Stato di Immigrazione, nel senso che con esso si vogliono stigmatizzare tutte le brutte cose che si sono viste nel mondo negli ultimi anni, soprattutto riguardo a quella marea nera che sta diffondendo un pericoloso sentimento antimmigrazione e xenofobo.

All’origine di tutto ciò vi è una distorta, bizzarra considerazione del concetto di identità: “Loro non sono come me, io provengo da questo posto, questa è la mia terra, la mia nazione, vengo prima degli altri per il mio diritto di nascita”.

E’ proprio questa la torbida sorgente di tutte quelle spregevoli azioni e provvedimenti legislativi restrittivi che sono sotto gli occhi di tutti. In realtà, nessuno di noi appartiene davvero ad un luogo e ognuno di noi ha moltissime provenienze, disparate origini e imprevedibili ascendenze.

E’ proprio una questione di tempo e di luogo e di come utilizziamo le informazioni e la conoscenza a nostra disposizione per contrapporci o in modo ignorante verso gli altri o per creare una prospettiva dinamica di collaborazione tra tutte le persone. Attraverso la musica può essere più facile capirlo. Ogni musicista sa che solo attraverso l’armonia tra i diversi strumenti è possibile quel miracolo al quale è così piacevole partecipare anche solo come spettatori che si chiama musica. E’ più agevole comprendere così la fluidità dei linguaggi, delle culture, dei suoni, empatizzare con la diversità e capire che niente ci appartiene ma che è sempre condiviso come la musica che ha mille origini e influenze. Solo nell’accoglienza e nel riconoscimento positivo delle diversità è possibile la vera bellezza.

Si scuserà la lunga citazione da un intervista rilasciata alla trasmissione radiofonica on line World cafe il 09/05/2019. Senza questa dichiarazione di intenti è proprio impossibile comprendere il vero significato del lavoro della band che è eminentemente e dichiaratamente politico e militante a favore dei diritti civili inalienabili di ogni persona nel mondo.

I recenti fatti che riguardano il nostro disgraziato paese possono far ben comprendere quanto sia urgente porre rimedio al dramma in atto che qualcuno si ostina a voler risolvere chiudendo i porti, costruendo lager e innalzando ancora altri muri della vergogna.

Gli Snarky Puppy si sono presentati in scena a Grado Jazz in una delle formazioni ridotte nelle quali si alternano tutti i componenti della line up, una decina per volta, praticamente con la sola eccezione del leader che rimane fisso: due trombe, sax, basso, chitarra, batteria, percussioni, due tastiere.

A farla da padrone in questa declinazione dell’ensemble sono decisamente le tastiere e il Jazz Rock venato di psichedelia e di Progressive. L’incedere ossessivo del basso viene impreziosito dagli ottoni, in un’intensa galoppata di colori e di suoni ipnotici fino alla vertigine dell’improvvisazione più selvaggia, al tribalismo e alle miracolose architetture dello psich-prog più ispirato.

Lo stile è maestoso, sinfonico e magniloquente ma mai pretenzioso, anzi sempre calibratissimo ed equilibrato. In alcune composizioni, si percepiscono nettamente i ritmi, il calore del Maghreb e i sapori d’Oriente, elementi che influenzano fortemente la band insieme al colore latino e ad un certo retaggio anglosassone.

In un brano (Xavi) Michael League ha chiesto l’aiuto del pubblico istruendolo a battere le mani, in due sezioni distinte a ritmi diversi, creando un ideale tappeto sonoro sul quale la band ha potuto ricamare le sue trame. Tutto questo, s’intuisce, è stato fatto a scopo quasi didattico. Sempre per i motivi di cui sopra, si è dimostrato così, in modo pratico ed efficace, che un concerto è partecipazione e piacere nella condivisione come la vita; l’importante è comprendere che solo tutti insieme, liberi delle nostre miserie ed egoismi del particolare, possiamo capire e ascoltare con il cuore e con il cervello la figura complessiva che i nostri diversi ritmi sanno immaginare e creare.

Punto di fuga e definitiva prospettiva, in senso pittorico, di questa esibizione è stato il glorioso organo Moog di Bobby Sparks il cui suono valvolare e modulato ha evocato in un attimo l’atmosfera di un’intera epoca dimostrando che quella stagione non è per niente tramontata ma che ha ancora moltissimo da dire, basta saperla interpretare e ascoltare.

Dopo due ore serrate di scariche adrenaliniche il concerto si è concluso con un fragoroso bis e un’interminabile, delirante ovazione del pubblico tutto in piedi.

Prima che calasse il sipario sull’ultimo brano, si è visto anche il prode Giancarlo Vellisig ballare contento in mezzo al pubblico scaricando la tensione accumulata nelle intense giornate di questo fantastico festival pieno di gioia e rivoluzione.

Ancora un grazie di cuore e un arrivederci a Euritmica per il coraggio, la determinazione ma anche per il grande piacere che da decenni dona al suo affezionato pubblico e per tutto quello che ancora ci regalerà. Beauty is a rare thing!

© Flaviano Bosco per instArt

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