Ore 19,35 Teatro Nuovo Giovanni da Udine

Intimate Strangers (Intimi sconosciuti) di Lee Jae-kyoo (Corea del sud 2018)

Remake del dimenticabile, Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese (Ita 2016), questo film è la prova che anche a partire da ingredienti non di primissima qualità è possibile ottenere un piatto delizioso. Non capita di frequente di vedere una pellicola recente italiana rifatta all’aroma di Kimchi, quindi l’hype per la proiezione era piuttosto alto da parte degli appassionati.

La versione coreana in quanto a trama e personaggi è filologicamente pressoché identica a quella nostrana, la vera differenza è nello stile molto più raffinato del regista orientale che non calca mai la mano, sorvegliando soprattutto la recitazione dei propri attori che non sono mai sopra le righe evitando ogni sguaiatezza anche nei momenti più drammatici della vicenda. Le risate, i silenzi, le lacrime del pubblico e gli applausi a scena aperta durante la proiezione l’hanno ampiamente dimostrato.

La trama della commedia a sfondo drammatico è molto semplice e nota: un gruppo di amici d’infanzia con mogli al seguito, e un single, si ritrova a cena in casa durante un’eclissi di Luna esattamente 34 anni dopo la volta nella quale da piccoli l’avevano vista tutti insieme. Una serata speciale , insomma. Durante la cena viene proposto un gioco: visto che tra amici non bisogna avere segreti ognuno deve mettere sul tavolo il proprio smartphone e, senza eccezioni per nessuno, ogni messaggio ricevuto sarà letto ad alta voce ed ogni chiamata in viva-voce.

Naturalmente, i segreti ci sono eccome e in un susseguirsi molto ben calibrato di colpi di scena, a volte divertenti, altre proprio per niente, emergono tutta una serie di tradimenti, menzogne, truffe, meschinità che trasformano quella che sembravano rapporti dai sentimenti specchiati in un girone d’inferno d’ipocrisia e pusillanimità. Si dimostra che una delle battute iniziali dei dialoghi è del tutto falsa e cioè che spesso non è vero che gli uomini sono inaffidabili come telefoni Android e le donne preziose come Iphone.

La realtà è che tutti mentono a se stessi e agli altri e che con un’altra frase del film: Tutti vivono almeno tre vite, una pubblica, una privata e una segreta. Ma anche le menzogne servono a poco perché la natura umana è come un’eclissi puoi nasconderla quando vuoi ma alla fine viene svelata. Parafrasando il celebre poemetto satirico di Mandeville quello di cui si racconta sono Vizi privati e pubbliche virtù, i primi certi, le seconde del tutto presunte.

Nel finale quando lo spettatore ha creduto ormai di essersi calato davvero nella vita di un gruppo di amici che sono riusciti finalmente, anche se in modo doloroso, a dirsi vicendevolmente la verità, ci viene spiegato che era tutto uno scherzo e che, in realtà, non è successo niente, anche quello che abbiamo visto era un inganno e un’illusione narrativa; nessuno aveva accettato di stare al gioco e che i segreti erano rimasti tali.

Ognuno, durante la cena, aveva recitato ancora una volta la propria parte e l’inganno continua. La luce della Luna, ingannevole per definizione, ci ha giocato un brutto tiro ancora una volta ma, dopo il cono d’ombra che sembrava aver sconfitto tutte le menzogne, la luce riflessa del satellite è ritornata per confonderci.

Rispetto all’originale quello che si fa notare è soprattutto una maggiore eleganza e delicatezza nel raccontare la storia e una maggiore coralità nell’intreccio. Lo stesso paragone è possibile tra i cibi succulenti ma ipercalorici consumati dai commensali italiani e quelli raffinatissimi dei cinesi. In fondo, molto meglio la zuppa di pesce lumaca dei soliti gnocchi e polpettone

Ore 21,45

Master Z. The Ip Man Legacy di Yuen Woo-ping (Hong Kong 2018)

La vita di Ip Man (1893-1972) maestro assoluto di arti marziali cinesi (Wing Chun) è stata celebrata dal cinema del suo paese in modo da farlo diventare un eroe nazionale-popolare. I sette film che fino ad ora ne raccontano la biografia ne hanno fatto il personaggio portavoce del nuovo sentimento nazional-popolare cinese che rispecchia la rinnovata volontà imperiale degli apparati del partito comunista-turbocapitalista.

Master Z è il primo spin-off della saga. Racconta la vita di Cheung, giovane maestro di Wing Chung che, sconfitto da Ip Man in leale combattimento e ferito nell’orgoglio, decide di abbandonare le arti marziali per diventare un semplice bottegaio ad Hong Kong. I guai, però, lo cercano e non gli è possibile starsene lontano da risse e scazzottate, sempre a fin di bene naturalmente.

I suoi calci volanti e i suoi sganassoni sono al servizio dei più deboli. Nello specifico le persone di Bar street, la via dei locali equivoci e dei piaceri proibiti. La città è sottoposta alla corrotta amministrazione inglese e inquinata dalle droghe che gli occidentali introducono nel paese clandestinamente anche servendosi delle potenti gang mafiose locali. Cheung diventa il paladino dei deboli e il moralizzatore dei costumi. Dopo mille combattimenti riesce a sconfiggere i perfidi stranieri e a ridare serenità al suo quartiere, non è il caso nemmeno di dirlo.

Il film è godibilissimo dal punto di vista delle coreografie e del ritmo, è un prodotto molto costoso e raffinato per scenografie e ambientazioni completamente ricostruite in modo maniacale e meticoloso in studio; ripercorre tutte le scene classiche del genere e in buona sostanza non dice proprio niente di nuovo rispetto alle decine di migliaia di film di genere praticamente identici a livello estetico e narrativo, eppure è straordinariamente avvincente anche se i personaggio sono poco più che comparse e maschere e le psicologie tagliate con l’accetta, anzi, letteralmente con lo spadone cinese.

Meravigliosi i riferimenti alla cultura pop (il pipistrello nero, gli abiti sgargianti, le pettinature impomatate o cotonate, i colori sempre saturi) un vero e proprio carnevale per lo sguardo. Tutto è finto e posticcio ma assolutamente affascinante com’è uno spettacolo circense per un bambino. Indimenticabili alcuni dialoghi nella loro sbruffoneria da epica guerresca: Qual è il più veloce il tuo pugno o la mia pistola? Oppure:Voi cinesi non avete scelta! Risposta in mezzo agli sberloni, Ognuno ha il diritto di scegliere! E ancora: Voi cinesi vi sopravvalutate troppo. Vi credete degli eroi. Non sapete che gli eroi muoiono presto?

Memorabili alcune sequenze di combattimento, su tutte quella sospesa sulle insegne luminose dei locali di Bar Street che ricorda un’altrettanto spericolata scena di Chocolate. La furia di Prachya Pinkaew (Thai 2008) con Yannin Jeeja. Straordinaria come una danza delle mani anche quella che vede il rimpallo di un bicchiere colmo di Whiskey tra due contendenti senza che se ne versi nemmeno una goccia.

È vero, tutto sembra posticcio, fasullo e pretestuoso, dai costumi, alla trama, ai personaggi, alle scenografie ma non si resiste al genuino divertimento che la pellicola regala. Si esce dalla sala con un sorriso ebete a trentadue denti, pasciuti e soddisfatti, certi di aver provato ancora una volta la magia e il piacere più autentico del cinema di arti marziali, ancora una volta dalla Cina con furore!

© Flaviano Bosco per instArt

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