Ares Tavolazzi, Daniele di Bonaventura, Elias Nardi hanno proposto, in un vibrante concerto, su uno dei palcoscenici di Musica in Villa 2020, “Ghimel” il loro ultimo lavoro tra folklore mediorientale, etno-jazz e suggestioni latine. Il progetto e il disco prendono il nome dalla terza lettera dell’alfabeto ebraico che ha grande consonanza con alfabeti del mondo antico. Il suo significato simbolico e cabalistico nella disciplina della Ghematria è quello di indicare la ricerca, l’evoluzione e la rivoluzione ma anche l’accoglienza e lo spirito di carità tra gli uomini. La lettera Ghimel è preceduta dalla Bet, commentando il modo in cui vengono scritte e il loro significato, il grande Otiot Rabbi Akiva diceva “Bet rappresenta la Bayt (casa) aperta a tutti. La Ghimel, rappresenta il Ghever (uomo) che vede una persona bisognosa sull’uscio e si volge verso di essa per prestarle aiuto”.

Può capitare che in un piccolo paese del medio Friuli, in una fredda, piovosa sera d’autunno, in un vecchio asilo riattato a teatrino, senza nemmeno le quinte e un camerino per gli artisti, si possa ascoltare uno dei progetti musicali, punta di diamante dello sperimentalismo e della contaminazione musicale italiana.

E’ possibile che, arrivando ad uno dei tanti eventi di Musica in Villa 2020, s’incontri, vis à vis, uno dei musicisti più eccelsi della scena musicale italiana degli ultimi dieci lustri, così senza tanti preamboli. In modo del tutto informale, nella semplicità più assoluta, ogni barriera tra l’artista e il suo pubblico viene meno. Ogni liturgia, ogni distanza cade, esistono solo le persone, la musica e il piacere di incontrarsi e di stare assieme ancora nonostante le paure più o meno razionali, i D.P.C.M e i protocolli.

Credo che anche ai musicisti non sia del tutto dispiaciuta una situazione così raccolta e forse anche anomala. Causa avverse condizioni meteorologiche l’evento non si è potuto svolgere nella splendida Villa Occhialini di Villaorba di Basiliano (UD) ed è un altro dei grandi meriti dell’organizzatrice della rassegna Gabriella Cecotti aver previsto sempre un luogo sostitutivo per occasioni come queste.

Anche perché la cultura non è per niente un orpello o qualcosa al quale si può rinunciare a cuor leggero com’è stato purtroppo negli ultimi tempi per molte manifestazioni. Proprio in questi terribili mesi di epidemia ci siamo tutti quanti resi conto di quanto indispensabili siano i momenti di riflessione, di creatività e di astrazione. Chiusi nelle nostre case durante il Lockdown abbiamo forse capito quanto sia necessario viaggiare anche con la fantasia e nutrire il nostro spirito e non solo abbuffarci di tristezza e carboidrati. “Sposare la musica e i luoghi che hanno un cuore e un’anima”, dice la splendida padrona di casa, ci permette di abitare davvero le nostre case e i nostri paesi mettendo assieme i più prosaici bisogni materiali con le ben più elevate esigenze spirituali; non viviamo di sola economia, non siamo solamente macchine di consumo ma cuori che pensano e il nostro vero companatico sono le emozioni, il resto è solo transito intestinale.

Il concerto si è aperto con il brano Fosforo di Elias Nardi. Il musicista toscano ha approfondito lo studio del liuto arabo, perfezionandolo anche con il virtuoso palestinese Adel Salameh. Batte semplicemente sulla tastiera del proprio strumento il compositore-arrangiatore, pianista-bandoneista, Daniele di Bonaventura, una breve frase ritmica seguita dal basso mentre l’oud ci trasporta lontano sulle strade d’Oriente. Le figure e i ritmi si complicano trasformandosi in una melodia di una bellezza antica e suadente piena di dolcezza e languore e, immediatamente, non siamo più solo nel vecchio asilo di Blessano ma anche in viaggio verso Levante che apre i propri orizzonti.

L’idea di questo trio nasce una decina d’anni fa; la sua essenza era spostare il bandoneon, strumento che associamo immediatamente all’Argentina, in area mediterranea facendolo incontrare con la voce più autentica dei popoli che si affacciano sul grande mare interno che è quella dell’Oud, il liuto arabo; Oriente e Occidente hanno vibrato sulle sue corde, cui sono parenti anche quelle del basso elettrico che invece sembrano sempre così urbane e stradaiole.

Bassideas, sempre di Elias Nardi, inizia con un assolo di basso languido con le note lunghe, trascinate, rotonde e morbide, setose e avvolgenti; l’amplificazione e l’accordatura permettono di sentire i polpastrelli che scivolano sulle corde. E’ lo stesso per l’Oud che interviene quasi in risonanza. L’intervento del bandoneon sposta il baricentro di una musica che ha molte direzioni ma di certo nessun padrone e che sembra voler evocare distanze e sensazioni che sanno affascinare e divertire ma che portano con se anche un filo di nostalgia e d’abbandono.

In Danza n°3 composta da Daniele di Bonaventura, si corre a pelo d’acqua come un rondone che beve per poi spingersi in verticale verso il cielo e poi guardare giù senza alcuna vertigine gli stormi che in lunghissime formazioni se ne vanno verso le linee dell’orizzonte dove si perdono, senza soste, in una pianura sterminata nell’afa di pomeriggi “affocati” o peggio di notte verso un mistero di scambi e carovane lungo millenni.

Elias Nardi, Oud

Da un album di Tavolazzi dedicato a canzoni per bambini in collaborazione con Francesco De Gregori, La Luna e il dito inizia con un lungo assolo di Oud che ci regala tutta la grazia in una dimensione che sembra d’alterità radicale ma che in realtà ci è familiare così come il pigiare dei tasti del bandoneon, fino a rendere naturale l’intervento del basso felpato e tiepido del basso elettrico.

Qualche anno fa, è il caso di dirlo, anche per ribadire la caratura assoluta dell’artista, insieme al musicoterapeuta Carlo Sinigaglia e al pianista Michele Federigotti, Tavolazzi si impegnò nella realizzazione di una serie di brani originali che avevano lo scopo di educare i bambini alla musica. All’operazione prestarono la loro voce e i propri versi anche Guccini, Battiato, Moni Ovadia e per l’appunto De Gregori. Anche se non centra musicalmente molto con il brano in questione, non dimentichiamo che tra le glorie di Tavolazzi c’è anche quella di aver composto le musiche e gli arrangiamenti insieme a Vince Tempera di Shooting Star, la sigla di coda della prima serie animata Goldrake, nel cuore di almeno due generazioni di bimbi ormai con i capelli bianchi così come quella del pirata dello spazio Capitan Harlock, suonata dalla Banda dei Bucanieri. E non si dica che ci si ricorda di Tavolazzi solo per le gloriose battaglie con gli Area o per i fasti di Guccini e Paolo Conte.

Danza Mediterranea di Daniele di Bonaventura, chiaramente derivata dal tango, assomiglio a una danza dai passi trascinati e dalle giravolte dove i ballerini sanno bene che l’azzardo è lieve come il leopardo e che tutte le figure hanno mille sfumature, come dice l’avvocato di Asti. Energia, passione e ritmo ma anche sguardi affilati, tabacco, labbra da baciare e dissolvenze al nero proprio quando sta per schioccare il primo bacio.

Ci resta il ricordo impetuoso di lei e forse il suo profumo. Una semplice idea, un sogno da balera guardando fuori dalla finestra ciò che resta del pomeriggio.

Bleu Gasel di Elias Nardi racconta del soggiorno dell’autore in un triste paesino svizzero nel freddo autunno. Inizia il bandoneon con i suoi sospiri e il suo sonoro gioco di tasti che davvero arricchisce ritmicamente l’atmosfera che, da scherzo d’amplificazione, diventa riverbero e ricordo prezioso. Soffia e respira il mantice al ritmo dei nostri cuori che restano sospesi fino a quando l’Oud non li trafigge uno per uno con le sue frecce e il suo canto levantino.
Il grande pregio di Tavolazzi al basso elettrico così come al contrabbasso è di non cercare mai il virtuosismo fine a se stesso e di non sacrificare mai la ricerca del suono tecnico, algido e scientifico, prediligendo sempre un approccio allo strumento più emotivo ed empirico. Il risultato sono suoni spesso impastati o ruvidi, di certo mai metallici e meccanici com’è spesso tipico del basso elettrico che, a volte, sa essere impersonale e disincarnato come un metronomo.

Ghimel, il brano modellato sul nome del gruppo, non è presente nel cd che questa serie di concerto promuove, semplicemente perché Tavolazzi lo ha composto praticamente in occasione di questo concerto per Musica in Villa 2020. Il gruppo lo aveva provato la prima volta solo poche ore prima del concerto. Qualcosa la composizione ha da limare di certo ma già si nota un incedere elegante e deciso, incalzante, sembra quasi di vedere una ballerina coprire gli spazi a grandi falcate avanzando decisa. E’ una che conosce la vita e sa come amare e farsi amare.

Durante l’ultimo brano sembra di trovarsi in un suk pieno di colori e di tessuti, di voci e lingue che si mescolano tra di loro. Il concerto si conclude semplicemente così com’era cominciato come tutte le più belle cose. Non servono tanti convenevoli, a parte il giusto e sacrosanto riconoscimento degli applausi. Il pubblico se ne va alla spicciolata portato dal vento e dalla pioggia che preannuncia l’autunno, conservando nel cuore una gioia preziosa. Gran parte di loro non era probabilmente venuta per il “nome sul manifesto” come diceva Totò a Peppino, ma per il piacere della condivisione, della musica e del luogo. Una cosa semplice come la storia della foglia e della mela che rende ancora possibile sperare “in un paese giallo di grano, pieno di gente felice, pieno di gente felice!”. E’ una vecchia storia che raccontava sempre Ares Tavolazzi, ma adesso non è il caso, magari un’altra volta.

© Flaviano Bosco per instArt

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