Non sbaglia un colpo la programmazione del CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia; il suo cartellone può rivaleggiare per qualità ed eccezionale afflusso di spettatori con quello dei grandi teatri italiani. Chi ancora pensa a Udine come periferia dell’impero sbaglia del tutto prospettiva perchè è abituato alla cultura coloniale e paternalistica che costruisce una gerarchia dei luoghi così come quella dei saperi autoritari che non sanno guardare oltre il limitato orizzonte del loro egocentrismo.

Così come per chi vive a Roma non sembra esserci niente oltre il raccordo anulare e Milano considera già un esotismo gli spritz campari a quindici euro sui Navigli, il vero provincialismo italiano si concentra nelle cosiddette grandi metropoli che a conti fatti sono davvero solo la periferia di se stesse. Anche se a dirla tutta, Corvidae vede la coproduzione anche del Piccolo Teatro di Mileno e del MUSE di Trento, il grande talento di Cuscunà e la lungimiranza del CSS hanno vinto su un certo pregiudizio.

La cosiddetta provincia è da sempre il vero motore della cultura nel nostro paese e Udine è tradizionalmente un laboratorio culturale che al di sotto della sua sonnacchiosa apparenza di cittadina piccolo borghese dalle ascendenze stolide e rurali, nasconde un vero crogiuolo di esperienze culturali originali ed eccentriche.

Il CSS dal 1978 rappresenta una delle punte di diamante della città che ne può vantare una corona e Martà Cuscunà è una delle gemme più luminose del prezioso diadema,

Il più grande studioso del comportamento etologico dei corvidi è di certo il biologo tedesco Bernd Heinrich che ha raccolto i suoi studi in alcuni volumi capitali pubblicati anche in Italia. In “La mente del corvo. Ricerche e avventure con gli uccelli lupo” (Adelphi 2019) e “Corvi d’inverno” (ed.Ricca, 2017) l’etologo mette in luce la grande intelligenza evolutiva della specie e le tante leggende che vi sono collegate.

Il corvo ha una fortissima carica simbolica fin dai tempi più remoti: Nella Saga di Gilgamesh è l’uccello liberato da Utnapishtim che non torna dopo il diluvio che servirà da modello per Noè e la sua arca; e’ l’antica dea preolimpica Coronide defraudata da Apollo; è pigro, sciocco e annunciatore di disgrazie nelle favole di Esopo; è l’animale totemico che accompagna Odino e Wotan nelle antiche saghe nordiche; è il messaggero divino nel mitraismo; nell’ebraismo e nel cristianesimo simboleggia, in generale, l’abominevole peccatore che si nutre di cadaveri.

Il corvo saccente e petulante non è certo una novità nemmeno nel panorama dello spettacolo internazionale: dal Jimmy the raven, il corvo imperiale de La vita è meravigliosa di Capra apparso in almeno mille film dagli anni trenta agli anni ’50, agli ironici e maliziosi pennuti Heckle & Jeckle, ai Corvi “afroamericani” del film Disney Dumbo, ai corvacci assassini del classico The Birds di Hitchcock e ai tanti horror b movie che hanno ispirato buon ultimo The Crow di Alex Proyas.

Per quanto riguarda il nostro paese sono assolutamente indimenticabili I Corvi di “Sono un ragazzo di strada” e tanto altro beat e il corvo marxista che parla con la voce di Francesco Leonetti in Uccellacci e Uccellini di Pier Paolo Pasolini:

Per chi avesse dei dubbi o si fosse distratto, ricordiamo che il corvo è un intellettuale di sinistra – diciamo così – di prima della morte di Palmiro Togliatti”. Proprio come si dice nel film.

Chi ha qualche capello bianco ricorderà anche il simpatico corvo Rockfeller, del ventriloquo spagnolo José Luis Moreno, nei pomeriggi televisivi dei “peggiori anni della nostra vita”.

Dietro ai queruli corvi meccanici della Cuscunà c’è tutto questo immaginario e molto altro anche se lei, spesso, sembra farne a meno; l’orizzonte narrativo è tutt’altro e se la performance attoriale resta strabiliante il testo drammaturgico è piuttosto debole e in alcuni casi non privo di rugginosa retorica.

La tematica ambientale da Agenda 2030 è sacrosanta, ma ormai ampiamente superata dai fatti e frusta a tal punto da diventare didascalica; divisa in sketch, diventa adatta solamente alla solita tv generalista. Lo spettacolo assolve così esattamente il compito per il quale è stato pensato in origine.

I tanti brevi episodi suddivisi in tre stagioni che assemblati costruiscono il tempo della rappresentazione sono un sequel spin off della trasmissione “La fabbrica del mondo” di Marco Paolini e Telmo Pievani di Rai Tre (2022) e riprendono i temi, spesso le medesime battute, di un altro ottimo spettacolo della Cuscunà, “Il canto della caduta”, ispirato al mito de “Il regno dei Fanes” (Rëgn de Fanes) e l’epos della cultura ladina.

La performer di Monfalcone percorrendo le suggestioni del teatro visuale e di figura utilizza quel linguaggio per immagini suggerito dalla non razionalità del mito.

Molte delle suggestioni che mette in scena sono ispirate al lavoro di Ulrike Kindl che si è occupata di ricostruire le fonti originarie e i metodi con i quali l’antropologo austriaco Karl Felix Wolff nel 1932 diede forma al materiale mitologico e folklorico che fino ad allora si era tramandato oralmente.

Tra i momenti principali in questo corpus di racconti è quello del rapporto del popolo dei Fanes con l’ambiente naturale nel quale sono inseriti; i miti parlano delle problematiche e delle seduzioni di una prospettiva ecologica armonica e pacificata.

Come ha dichiarato la stessa performer alla Rai regionale FVG, “Corvidae, Sguardi di Specie” è frutto dell’alleanza tra scienza e spettacolo per salvare il pianeta: “Una riflessione che ho condiviso con gli scienziati del Muse di Trento che è tra i principali coproduttori di questo spettacolo e che credono fortemente nella necessità di un’alleanza tra il mondo scientifico e il mondo dell’arte proprio per riuscire a veicolare in modo efficace l’urgenza dell’azione collettiva cui siamo chiamati come specie, quindi in qualche modo trasformare tutta una serie di dati di nozioni scientifiche in informazioni che, invece, possono colpirci nel personale e scatenare una reazione empatica perchè davvero il tempo è poco e l’azione cui siamo chiamati. E’ quanto mai urgente, soprattutto dobbiamo trovare il modo per sentire una nostra responsabilità il pianeta che lasceremo in futuro alle prossime generazioni.”

Durante lo spettacolo, le abrasive considerazioni dei corvi, che conversano mentre si cibano di quel poco che è rimasto del pianeta dopo l’apocalisse ambientale, sono riprese dai testi che riportano gli studi dell’antropologa Anna Lowenhaupt Tsin, della biologa Lynn Margulis, del filosofo Bruno Latour. Grande centralità nel lavoro della Cuscunà ha anche il concetto di “Ecologia Affettiva” di cui parla Donna Haraway in “Staying with the trouble” al quale si era ispirato un altro spettacolo della Cuscunà: “Earthbound, ovvero le storie delle Camille”.

Ogni episodio ha anche una piccola sigla introduttiva, un misto tra l’Aria sulla quarta corda di J.S.Bach che fa tanto SuperQuark e quella della serie tv Black Mirror. Il Jingle funziona a dovere, ma rivela ancor di più la fragilità televisiva di un testo che con tutte le buone intenzioni si ritrova a girare, anche se con grande verve ed ironia, sempre attorno ai soliti casi emblematici senza mai essere davvero abrasivo e militante, ma al contrario apparendo assolutorio e consolatorio.

I corvi meccanici antropomorfizzati che ragionano come Estragone e Vladimiro di Beckett, apocalittici e disintegrati, finiscono per sembrare esteti della catastrofe con le loro pur divertenti giaculatorie nichilistiche sull’imminente “finedimondo”.

Quello che resta concretamente dello spettacolo sono soprattutto l’abile utilizzo della macchina scenica, delle luci, dei suoni e delle scenografie fatte di proiezioni e di ombre in chiaroscuro e lo straordinario talento della burattinaia Cuscunà che riesce a far “parlare” le proprie mani azionando i propri pupazzi meccanici con incredibile abilità. Molto apprezzabile anche l’incontro con il pubblico nel sottofinale dello spettacolo, ormai diventato una piacevole consuetudine per gli spettacoli del CSS.

Per quanto riguarda le enormi tematiche trattate a “volo d’uccello” in questo suo spettacolo, se da una parte è apprezzabile la semplificazione a scopo di divulgazione, alcune cruciali questioni rischiano davvero la banalizzazione.

Un esempio su tutti è la riduzione del tema della soggettività e dell’alterità, cardine della filosofia d’occidente da Cartesio a Derrida, al paragone con il microbiota intestinale. Comparare il metabolismo dell’enorme popolazione batterica, che risiede nel nostro tratto gastro-intestinale che ci permette di digerire gli alimenti, assimilarli e poi espellerli, al complesso di relazioni emotive, psicologiche, sociali e culturali che legano gli esseri umani all’ambiente di cui sono parte sembra quantomeno riduttivo.

Per quanto possano essere discutibili concetti come Soggettività, Personalità, Individualità e Psicologia, è davvero difficile digerire la loro sostituzione con quella di Olobionta, il “superorganismo” formato dal nostro corpo e dai nostri batteri e miceti.

Sembra un’altra aggiornata versione di un certo darwinismo sociale spenceriano nel quale si confondono le cosiddette ragioni scientifiche con l’ethos e il pathos di cui si pretende di fare a meno. Si dimentica così, fornendo un facile alibi scientista, che il medesimo interessato ragionamento logico che ha prodotto il disastro climatico prostituendo la nobiltà della ricerca scientifica all’avidità del Capitale al servizio delle multinazionali è lo stesso che oggi si erge a difensore della morale ambientale.

Quelli che oggi gridano all’apocalisse sono gli stessi che magari vorrebbero ridurre l’inquinamento atmosferico incentivando l’energia nucleare “pulita” o quelli tra gli 80000 partecipanti al recente inconcludente COP 28 di Dubai che solo con i loro spostamenti in aereo da tutto il mondo e la loro permanenza negli Emirati hanno dato un bel contributo all’aumento dei gas serra. In buona sostanza l’incontro internazionale più fragoroso della storia, che non ha saputo né voluto decidere su niente e che ha rimandato tutto al 2050, è stato solamente una colossale operazione di greenwashing, trionfo della comunicazione pseudo-scientifica a livello globale.

Possono apparire delle esagerazioni, ma è sembrato emblematico in questo senso l’ennesimo caso Trump citato nel corso dello spettacolo di Cuscunà. Come dimostra un breve documentario promosso dal New Yorker (American Scar di Daniel Lombroso), Donald Trump ha causato un ecocidio di enormi proporzioni con i 700 chilometri di muro tra Arizona e Messico rafforzati dalla sua amministrazione in funzione anti-immigrazione che influisce pesantemente sull’ecosistema dell’area.

Nelle sue intenzioni doveva essercene però anche un altro per difendere il Trump International Hotel e il suo campo da golf di Doonberg, a pochi passi dalle scogliere Irlandesi. Infatti, il magnate con il riportino aveva chiesto di costruire un muro di pietre calcaree di 2,8 km per limitare l’impatto dell’innalzamento del mare che lui violentemente ecoscettico aveva sempre negato. La vera e propria diga sulla costa alta 4 metri e larga 20 che avrebbe richiesto 200000 tonnellate di roccia; per fortuna gli è stata negata dalle autorità locali, che però si sono viste presentare un nuovo progetto non migliore del primo.

Considerando tutto questo, forse hanno proprio ragione i corvi meccanici del malaugurio che rimuginano sulla nostra corruzione nell’attesa della catastrofe quando solo i pestilenziali funghi Matsutake potranno sopravvivere.

Illuminante e inquietante, in questo senso, il saggio di Anna Lowenhaupt Tsing, Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo (ed Keller 2021).

A questo punto della storia, a noi, semplici mortali, ormai non resta che pregare come fanno gli impiccati nel celebre epitaffio di Villon, perchè:

La pioggia ci ha lavato e dilavato

e il sole resi bruni e rinsecchiti

Le gazze e i corvi gli occhi ci han cavato

e strappata la barba e fin le ciglia.

Non un solo momento abbiamo pace

Di qua, di là, come si muta, il vento

a suo piacer ci mena senza posa.

Beccati dagli uccelli più che anelli.

Di nostra compagnia non fate parte!

Ma dio pregate che assolva tutti noi.

Nel frattempo, da qualche parte sui resti di un pranzo da fast food gettato da un finestrino di un auto in corsa Un corvo gracchia all’altro: – Mangia!

L’altro risponde: – Ho paura del domani.

– Anche ieri avevi paura del domani.

– Se diventassero vegetariani e la smettessero di inquinare, ma…non lo faranno mai

– Mangia e taci!

Corvi meccanici = carne sintetica.

Flaviano Bosco / instArt 2024 ©

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