Un’antica chiesa tra aspre montagne è il luogo ideale per far risuonare le severe ma liete voci che Johann Sebastian Bach aveva pensato per le sue cantate. Il piccolo ma prezioso Anciuti Music Festival di Forni di Sopra (UD) è stata l’occasione per un incontro straordinario tra due eccellenze musicali della nostra Regione. Per l’appunto il festival dedicato al raffinatissimo costruttore di strumenti ad ancia Giovanni Maria Anciuti (Forni di Sopra 1674, Milano 1744) e il Coro FVG che, sotto l’attenta, ispirata direzione del Maestro Cristiano Dell’Oste, ormai da molti anni è impegnato nell’esecuzione delle Cantate di Bach. L’approccio di entrambi però non è accademico e barboso e non ha nemmeno quel vago lezzo di sacrestia in grado di annullare ogni sforzo artistico.

La musica in genere ma, in particolar modo quella di Bach, per essere compresa ed eseguita in modo sensato deve diventare uno strumento di elevazione spirituale e di conoscenza. E’ del tutto inutile concepirla esclusivamente come una performance virtuosistica o un arido esercizio filologico come se esistesse un canone estetico sempre uguale a se stesso. Non riusciremo mai a riprodurre il suono esatto che avevano le composizioni di Bach nel XVIII sec. e non avrebbe alcun senso. Il Maestro Dell’Oste, profondo conoscitore dell’arte bachiana, riesce perfettamente a calibrare le esigenze del rispetto della filologia e quelle dell’interpretazione continuando a far vivere le Cantate che non sono un relitto del passato da conservare intatto come una rovina, ma sono vive, attuali e addirittura ci precedono nel futuro.

Contemporaneo dell’illustre compositore, Anciuti intagliò nelle essenze più preziose e strane (bosso, melograno, palissandro, granatiglio, avorio) oboi e flauti che sono oggi considerati vere e proprie opere d’arte esposte nei più prestigiosi musei europei. Siamo autorizzati ad immaginare, senza nemmeno andare troppo lontano dal plausibile che, tra i musicisti che Bach dirigeva nei suoi ensemble ce ne fosse qualcuno che soffiasse nelle ance del Maestro fornese che operò a lungo a Venezia e a Milano.

I due sono legati, almeno negli anni giovanili, dall’identico status che allora veniva dato ai musicisti e agli artigiani; queste categorie sociali, al contrario di ciò che accade generalmente oggi, appartenevano agli strati più bassi della società e godevano in genere di una scarsa considerazione.

Il giovane Bach, per esempio, nel 1702: Venuto a conoscenza che c’era una possibilità di lavoro presso la corte del duca Johann Ernst di Sassonia Weimar, raggiunse Weimar, ottenne il posto e il suo primo stipendio di 6 fiorini e 16 groschen al trimestre più vitto e alloggio. Che genere di lavoro? Forse organista della chiesa di corte? No: secondo la definizione usata dallo stesso Bach, Hof Musicus, cioè musicista di corte, ossia generico strumentista in grado di suonare il violino, l’organo, il cembalo, secondo le esigenze della corte. Più precisamente, secondo l’annotazione del registro degli stipendi, Bach aveva la qualifica di Lacchè, valletto, servitore, strumentista…insomma, una partenza dal basso”.i

Anche Giovanni Maria Anciuti fu costretto a lasciare le proprie montagne in cerca di fortuna prima a Venezia e poi a Milano. Possiamo immaginare che anche lui inizialmente non se la passasse benissimo.

Ad unirli sono anche le umili origini. Anciuti, anche se non sappiamo moltissimo della sua vita, era di certo figlio di un artigiano erede di quella tradizione del legno che ha fatto storicamente delle Dolomiti il paradiso della liuteria e della costruzione di strumenti musicali raffinatissimi.

Bach scrive di proprio pugno “l’Origine della famiglia dei musicisti Bach” sostenendo che il proprio avo Vitus, progenitore di una lunga e fortunata stirpe di musicisti, nel XVI sec fosse un mugnaio della Moravia che fu costretto ad abbandonare il paese per la sua fede luterana e per motivi economici. Quando riprese a lavorare si portò al mulino una piccola cetra che suonava mentre le mole giravano. Erano all’incirca gli stessi anni nei quali un mugnaio friulano di nome Domenico Scandella, detto Menocchio, nel suo mulino della Valcellina si occupava di religione, filosofia e letteratura, subendo, a causa della suo libero pensiero, la persecuzione e il processo per eresia.

In uno scritto del figlio di Johann Sebastian, Karl Philipp Emmanuel anch’egli straordinario musicista, abbiamo la fortuna di trovare delle preziosissime informazioni sull’infanzia del padre: “La passione del nostro piccolo Sebastian per la musica era grandissima sin dalla più tenera età. In breve tempo egli seppe padroneggiare tutti i brani che suo fratello gli aveva assegnato per studio. Gli era stato proibito, tuttavia, malgrado le sue preghiere e senza motivo apparente, di prender visione di un libro contenente pezzi per clavicembalo di più rinomati maestri di allora”.ii Nottetempo il piccolo Sebastian però riuscì a sottrarre il libro del fratello, copiarlo rigo per rigo dimostrando poi d’averlo mandato tutto a memoria quando il fratello gli sequestrò la preziosa copia.

Molti anni dopo, quando Bach divenne Kantor della chiesa e della Scuola di San Tommaso a Lipsia, tra le gravi incombenze che gli spettavano “forse la più importante era comporre o far comporre, o adattare la musica da far eseguire a ogni festività, qualcosa come sessanta Cantate all’anno, senza contare altre pagine di musica sacra come i Mottetti, le Passioni, i Magnificat, e le Cantate profane per le cerimonie della vita cittadina”.iii

Per gli studiosi Bach completò cinque cicli completi di cantate (cinque anni liturgici) per un totale approssimativo di quasi quattrocento composizioni. Ce ne rimangono la metà più una cinquantina di cantate di argomento diverso cosiddette, “profane”.

Si perdonerà l’escursus storico biografico ma si crede che sia impossibile e vano cercare di entrare nell’universo delle Cantate di Bach senza contestualizzarle alla temperie e ai sentimenti dell’epoca. Le Cantate non sono momenti di svago o semplici ornamenti della messa luterana, sono al contrario parte fondamentale della liturgia. Hanno lo scopo di spingere i fedeli alla riflessione sulle letture previste per una determinata ricorrenza, edificandoli e spingendoli alla comunione dei cuori attraverso la musica ma soprattutto grazie alla forza dei testi cantati che sono o si riferiscono alla melodiosa parola di Dio. Non è musica ambientale o di sottofondo. Anche da un punto di vista assolutamente laico, richiede un minimo di conoscenza e preparazione per essere goduto fino in fondo. Non per accademica, vacua erudizione dunque ma proprio per farci arrivare dritte al cuore quelle note.

-J.S. Bach (1685-1750) Cantata BWV 155 Mein Gott, wie lang, ach Lange? (Dio mio, quanto tempo, Ah quanto tempo).

Composta per la seconda domenica dopo l’Epifania (Weimar 19/01/1716)

Il tema principale della cantata è una riflessione tratta dalla Lettera ai Romani di San Paolo (12 6-16) che riguarda uno dei cardini della fede luterana: la giustificazione per fede. Dice la lettera: Poiché possediamo carismi differenti secondo la grazia che ci è stata data, chi ha il dono della profezia se ne serva in proporzione della sua fede; chi ha quello del servizio si dedichi a servire…chi esercita la misericordia lo faccia nella lietezza” La dottrina della giustificazione afferma che non siamo noi stessi a stabilire il senso della nostra vita ma che possiamo solo riceverlo con gratitudine da Dio. Siamo di più della somma delle nostre azioni, la nostra vera dignità e salvezza ci viene da Gesù Cristo (solus Christus) e attraverso la fede (sola pistis, sola gratia)

Il testo della cantata fu scritto in gran parte dal poeta di corte Salomon Frank con almeno un verso straordinario: “La misura delle lacrime è sempre disponibile, il vino della gioia manca” che si riferisce al miracolo delle nozze di Cana (Gv 2: 1-11)

Durante l’esecuzione, affidata dapprima ad un recitativo del soprano che si alterna all’aria del tenore e al recitativo del basso per concludere come di consueto nel corale finale che simboleggia la risposta dell’assemblea alle esortazioni della scrittura, ai presenti nella chiesa di Santa Maria Assunta di Forni di Sopra sarà capitato di posare lo sguardo sull’imponente magnifico Cristo in croce del XV sec. di uno degli altari laterali.

L’autore è ignoto ma la sua fattura severa e dolente e allo stesso tempo muscolare e vigorosa lo fa riconoscere come appartenente ad una religiosità altrettanto rigorosa, intransigente, inflessibile fino a sembrare rigida e dura come il clima invernale alpino che però, lo sappiamo bene, cela sotto la neve il pane della vita ed è sempre in attesa della sicura rinascita primaverile.

-J.S. Bach (1685-1750) Cantata BWV 156 Ich steh’ mit einem Fuss im Grabe (Io sto con un piede nella fossa)

Composta per la terza domenica dopo l’epifania (Lipsia 23/01/1729)

Il tema principale della cantata è tratto ancora una volta dalla lettera ai Romani (Rm 12: 17-21), testo cardine del protestantesimo che Karl Barth (1886-1968) il grande teologo tedesco commentò in uno dei più importanti studi religiosi del XX sec.

Non rendete a nessuno male per male: datevi cura di compiere opere buone davanti a tutti gli uomini. Se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti gli uomini. Non fatevi giustizia da voi stessi, ma lasciate fare all’ira divina…Non lasciarti vincere dal male, ma trionfa sul male col bene”.

C’è anche spazio per il Vangelo di Matteo (Mt 8: 1-13) dove si parla della guarigione del lebbroso e della fede del Centurione. Entrambi affidano a Cristo tutta la loro speranza e la loro fede e per questo vengono mondati da ogni bruttura. Anche con un piede nella fossa, se confidiamo nel Signore, possiamo essere certi di vincere la morte.

A caratterizzare questa e le altre cantate di Lipsia che possiamo considerare della piena maturità è una particolare tecnica musicale detta: “pittura parola” in cui la musica viene composta per riflettere il significato letterale delle parole. Le scale ascendenti vengono utilizzate per sottolineare l’elevazione spirituale, il raggiungimento della pienezza della speranza, quelle discendenti, al contrario, per l’afflizione, per la discesa nel peccato e per indicare l’abiezione umana del peccato. E’ una tradizione antica nella musica religiosa cristiana che risale per lo meno al canto Gregoriano e che ebbe la sua massima espressione nel periodo Barocco. Esiste anche un particolare caso di tritono in cui non è possibile capire se si tratti di suoni successivi ascendenti o discendenti, che era detto fin dal medioevo Diabolus in musica che indicava la presenza del demonio e veniva evitato come la peste.

Non sarebbe di certo piaciuto per niente al luterano Bach, seppur di corrente pietista, il piccolo martire bambino di cera che si trova in una grande teca in uno degli altari laterali. Si tratta delle reliquie del santo martire Teodoro. Nel XIX sec. durante alcuni scavi nelle catacombe romane “furono rinvenuti i resti di molti martiri, fra i quali appunto quelli del piccolo Teodoro, ucciso seppur bimbo – con una coltellata alla gola – per non aver rinnegato la propria fede ai tempi delle persecuzioni dell’Impero romano”.

Dopo alterne vicende i resti del santo bambino di diciotto secoli prima, arrivarono a Forni di Sopra nell’altare dedicatogli, non prima di essere ricoperti di cera e trasformati in un grazioso simulacro dai moderni sandaletti che intercede per la remissione dei nostri peccati.

Lo scrivente non vuole giocare né con i fanti, né con i santi, perciò si astiene anche dalla più lontana considerazione in merito, limitandosi a ricordare quanto Lutero pensasse delle indulgenze e ciò che Giovanni Calvino scrisse nel suo Trattato sulle reliquie: “Il popolo che si dice cristiano è giunto ad essere così totalmente idolatra quanto mai lo furono i pagani, perché ci si è prostrati ed inginocchiati dinnanzi alle reliquie allo stesso modo che dinnanzi a Dio”.

– Antonio Vivaldi (1678-1741) Concerto in sol minore per oboe e fagotto obbligato RV 812

L’incontro con la musica del “prete rosso” Antonio Vivaldi fu determinante per Bach fin dal suo primo incarico alla corte di Weimar (1703) quando aveva diciotto anni: “Si accorse che doveva mettere ordine, coerenza e logica nei suoi pensieri e che per raggiungere un tale fine gli ci voleva una guida. E proprio di guida, in questo senso, gli servirono i Concerti per violino di Vivaldi, a quell’epoca appena pubblicati. Li aveva uditi lodare così sovente come eccellenti composizioni, che gli venne la felice aspirazione di trascriverli per la tastiera”.iv

Non fa parte di quelle composizioni il concerto per oboe e fagotto obbligato RV 812 che è comunque un perfetto esempio della straordinaria dinamicità della musica di Vivaldi che tanto colpì Bach. Protagonisti assoluti dei tre movimenti sono, come dichiarato in partitura, le ance e l’oboe di Paolo Pollastri e il fagotto di Giorgio Mandolesi, ottimi interpreti. Quello che più ha colpito il pubblico meno abituato all’ascolto di questi meravigliosi strumenti è la gioia e l’allegria che sanno trasmettere. L’interpretazione dell’Anciuti Festival Ensemble con i suoi solisti è sembrata voler sottolineare soprattutto questo aspetto anche visivamente, con un esecuzione fresca e divertita, con l’allegria che traspariva dai volti dei musicisti che non s’impegnavano solamente nella riproposizione di una partitura piuttosto complessa ma rendevano partecipe il pubblico della loro gioia e del loro divertimento, come i movimenti, davvero Allegri.

La differenza con le Cantate di Bach sembra macroscopica ad un ascolto distratto, ma con un po’ più d’attenzione appaiono immediatamente evidenti le consonanze, soprattutto nella concertazione delle varie parti strumentali e nell’ordine assoluto dato alle parti più diverse. Per entrambi i grandi geni, la Musica laetitiae comes medicina dolorum, la musica è certo riflessione sui misteri della fede e lode al Signore ma è anche perfetta letizia, farmaco per i nostri dolori, voce dei cuori lieti e sicuri della salvezza, linguaggio che esprime la gioia delle creature verso il loro Divino fattore. Come sosteneva Bach: “Dove c’è della musica devota, Dio è sempre presente con la sua Grazia”.

-J.S. Bach (1685-1750) Cantata BWV 37 Wer da gläubet und getauft wird (Chi crederà e sarà battezzato)

Scritta per la festa dell’ascensione di Gesù (Lipsia 18/05/1724) oboi, archi e basso continuo.

Ancora una riflessione sul tema cardinale luterano della giustificazione per fede di cui accennavamo per la cantata BWV 155

Le letture previste per quella giornata liturgica sono tratte dagli Atti degli Apostoli (1:1-11) dal Vangelo di Marco (16 14-20) e dalla Lettera ai Romani (3, 28) “Dove rimane ora il vanto? Esso è stato escluso. Per quale legge? Per quella delle opere? No ma per la legge della fedeltà di Dio! Poiché noi facciamo conto che l’uomo è dichiarato giusto per la fedeltà di Dio, indipendentemente dalle opere della legge”.

A ricordarcelo, oltre il testo della cantata, anche la meravigliosa pala d’altare lignea della chiesa di Santa Maria Assunta che è un florilegio dell’arte del legno tipicamente friulana con la sua stratificazione di restauri d’epoca, aggiunte e integrazioni recenti. Quella stessa arte riguarda anche gli artisti che come Anciuti seppero costruire i loro raffinatissimi strumenti. La cornice della pala e dell’altare sono opera elaboratissima e barocca dell’intagliatore gemonese Girolamo Comuzzo che ci lavorò con i figli nel 1646, come si legge da un intaglio con cui l’artista volle firmare l’opera. La cornice contiene a sua volta una pala molto più antica, intagliata e in foglia d’oro di Domenico Mioni da Tolmezzo (1448-1507). Nove magnifiche statue di santi e una madonna con bambino sono contenute in altrettante edicole dalla sfarzosa architettura che richiama un paradisiaco edificio. Le marcate linee dei volti e le espressioni delle statue sono, probabilmente, riproduzioni di quelli che Domenico da Tolmezzo vedeva sui visi dei suoi concittadini o magari degli stessi fornesi: le donne con il viso tondo e gli occhi piccoli e gli uomini con i volti più scavati e severi con barba e baffi.

Quello che resterà nella memoria di chi ha assistito al concerto sono le bellezze incantevoli di Forni di Sopra, la voce tonante del basso Gerg Kenda, l’incantevole timbro del tenore Claudio Zinutti e le eleganti doti interpretative di Peter Gus. Maiuscole anche le interpretazioni delle soprano soliste. Notevole e gioioso anche il contributo del Anciuti Festival Ensemble. Impagabile la concertazione e la direzione del Maestro Cristiano Dell’Oste che negli ultimi mesi abbiamo avuto la fortuna di poter vedere impegnato nelle situazioni più diverse e particolari.

iEduardo Rescigno (a cura di), Johann Sebastian Bach, I classici della musica, Skira, Milano 2007, Pag.35

iiIdem, pag.46

iiiIdem, pag.88

ivEduardo Resigno (a cura di), Johann Sebastian Bach, Classica, i musicisti, le opere, la società, Fabbri editori, Milano 1985, pag. 38.

© Flaviano Bosco per instArt

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