Programma a forte valenza mitteleuropea quello presentato la scorsa sera al Teatro Nuovo Giovanni da Udine dalla Royal Stokholm Philarmonic Orchestra, una delle più antiche orchestre svedesi, diretta dal finlandese Sakari Oramo. La scelta di rappresentare due autori come Bela Bartòk e Gustav Mahler è infatti fortemente caratterizzante in tal senso.

L’apertura della serata è però affidata alle note di Jubilate di Benjamin Staern, un compositore svedese che con questo pezzo, scritto su commissione dell’orchestra di Göteborg nel 2009, descrive l’atmosfera trionfale di una kermesse sportiva disturbata da azioni di hooligans che alla fine vengono però messi a tacere. Brano descrittivo, ma di impegnativa scrittura orchestrale che dà agio alla Stokholm di mostrare la propria bravura orchestrale, Jubilate rivela un forte legame con le atmosfere barbare e primitive dello Stravinsky della Sacre du printemps. L’orchestra, ottimamente diretta da Oramo, affronta questa impegnativa partitura con notevole grinta, un suono sempre attinente alle situazioni descritte dalla partitura, grande precisione ed esteso registro dinamico. Sono solo pochi minuti di esecuzione, ma bastano al pubblico per capire di che pasta è fatto questo ensemble.

È poi la volta della star della serata, la giovane violinista norvegese Vilde Frang che con il suo Jean Baptiste Vuillaume del 1864, propone l’ascolto del Concerto n.1 per violino e orchestra dell’ungherese Bèla Bartòk. Concerto dedicato nel 1908 alla violinista Stefi Geyer, che custodì la partitura fino alla sua morte, è insolitamente articolato in soli due tempi. L’Andante sostenuto con il quale inizia si apre con il “tema di Stefi”, una delicata melodia affidata al solista, contrappuntato poi dagli archi con i quali intesse un commovente dialogo, illuminato dal suono, non gigantesco ma decisamente jolie, della Frang che mostra qui una grande delicatezza che ben si adatta all’andamento quieto di questa pagina. Delicatezza che lascia spazio al grande vigore dell’Allegro giocoso seguente, con parti più virtuosistiche e un’orchestra maggiormente coinvolta nel dialogo con la solista, assolutamente perfetta nelle sue evoluzioni e mirabile nelle parti più liriche. Il successo della giovane Vilde Frang è strepitoso, con interminabili applausi che la convincono a concedere un bis.

La seconda parte della serata vede l’esecuzione della Sinfonia n.1 in re maggiore “Il Titano” di Gustav Mahler che completa, in un certo senso, quella tendenza al descrittivismo già delineatasi con il brano di apertura. Descrittivismo però filtrato dalla memoria, quel particolare terreno dove la mente umana riassume, mescola e a volte travisa, le esperienze vissute direttamente o anche indirettamente creando quello che può divenire un flusso di coscienza. Ecco allora le citazioni di melodie popolari, il celebre Fra Martino che apre il Feierlich und gemessen, ohne zu schleppen, il terzo tempo della sinfonia, o le reminiscenze di melodie popolari nel Kräfig, bewegt,doch nicht zu schnell; Trio, recht gemächlich, il secondo tempo o ancora i suoni della natura del primo tempo. Terreno privilegiato di un’orchestra come la Stokholm che, per merito della qualità dei suoi professori, sa addentrarsi in questo lussureggiante terreno di evocazioni musicali come pochi altri e grazie anche al gesto preciso ed evocativo di Sakari Oramo, che appare qui sempre più come punto di snodo e sprone indispensabile di tutto il complesso orchestrale. Egli scandisce, suggerisce, sollecita, accelera, rallenta, ingigantisce, rimpicciolisce e l’orchestra lo segue con la bravura, come diceva Mahler, dell’orchestra di solisti. Il loro è un Mahler di grandissima qualità che, alla fine, viene premiato da un pubblico entusiasta con prolungatissimi applausi, ripagati da un bis in cui viene eseguito il brillante La danza della pastora di Hugo Alven.

Sergio Zolli © instArt

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