In copertina capeggia una Porsche targata TS 86950, opera di Romeo Toffanetti, celebre disegnatore di Casa Bonelli. Il numero di targa è della macchina di suo padre, che risale al 1966. E proprio gli anni Sessanta sono il filo conduttore del suo ultimo concept album Made in the Sixties, uscito quest’anno per Epops Music, inciso nei mitici Abbey Road Studios di Londra. Con ospiti eccezionali, dal mitico Pete Brown (ricordate i Cream? e brani come Sunshine Of Your Love e I Feel Free) che firma insieme a lui tutti i dieci brani del disco, a Dana Gillespie, Eddie Reader, Nathan James e Rob Cass (quest’ultimo produttore anche del suo precedente Ergo Sum).

Stiamo parlando del più che noto bluesman triestino Mike Sponza e della sua ultima fatica discografica, che tanto successo sta riscuotendo in Italia ed Europa, con una fortunata tournee estiva che ha toccato anche quest’estate la sua città natale in una scintillante piazza Verdi e che lo rivede proprio in questi ultime settimane impegnato in un’altra serie di appuntamenti live importanti fra Italia e Croazia, tra i quali anche il celebre Blues Made in Italy di Cerea.

L’album, su cd e anche su vinile, è stato anticipato dallo splendido funkeggiante brano che da il titolo all’album, e sviscera anno per anno importanti momenti storici e sociali proprio di quegli anni: dalla guerra fredda alla crisi cubana, dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, alla svolta artistica di Bob Dylan e al movimento studentesco del ’68 …

«Un album dedicato agli anni ’60 – racconta Mike Sponza – una decade per me molto affascinante sotto molti profili e su cui c’è molto da dire… è anche il periodo in cui sono nato e da un po’ di tempo pensavo di realizzare un disco su quel decennio. Dieci canzoni. Una per ogni anno. Dieci storie ispirate da eventi, fatti, persone, culture, idee, che si intrecciano per guardare gli anni Sessanta in una duplice prospettiva: il lato glamour e swinging da un lato, il lato buio e problematico dall’altro. Dieci anni controversi che hanno cambiato la cultura giovanile per sempre, il tutto filtrato con linguaggi musicali diversi: dal rock al latin, dal pop all’acustico, dal soul al rock’n’roll».

Un album curato sotto ogni aspetto, con brani lunghi dal minutaggio controcorrente e tanto spazio a suoni analogici, soli, fiati, cori … E con a fianco i compagni di viaggio da sempre Roberto Maffioli, Moreno Buttinar e Michele Bonivento.

In vista del prossimo appuntamento musicale del 16 novembre presso Al Mulinar di Fagagna lo abbiamo intervistato per voi.

Un’estate colma di bellissimi appuntamenti, Made in the Sixties Summer Tour, una data importante a Trieste, con la presenza di più di quattromila spettatori… Ci vuoi raccontare come è andata? Cosa significa per te suonare davanti al pubblico della tua città natale? Sì, il debutto estivo di “Made In The Sixties” è stato ottimo, il pubblico ha accolto le canzoni molto positivamente e con interesse. Il concerto di Trieste è stato sicuramente il migliore del tour, eravamo tutti molto concentrati e “belli carichi”. La piazza è stata entusiasmante. Anche considerando che abbiamo suonato solo pezzi inediti…

Made in the Sixties” è il tuo nuovo personalissimo omaggio agli anni ’60. Oramai siamo nel nuovo millennio: cosa vuol dire per te rendere omaggio musicalmente oggi a quei fatidici anni? Credi che ancora ci sia quella forza, musicale ed umana, tutta caratteristica di quegli anni? Non c’è un messaggio o un significato nascosto nell’album… mi piaceva l’idea di raccontare delle storie ispirandomi a tutto ciò che è successo in quel decennio. L’ho fatto insieme ad uno dei più grandi autori di quel periodo, che è anche un testimone incredibile della “Swinging London”: Pete Brown. Sinceramente penso che ogni momento storico esaurisca tutta la sua energia e diventi qualcosa d’altro in una continua evoluzione. Quindi anche tutta la forza dei Sixties, si è trasformata… però in qualcosa con sfumatura leggermente marrone…

Il blues ed il jazz hanno avuto fin dall’inizio un grande impatto emotivo e culturale in tutto l’occidente ed oggi in tutto il mondo. Quanto questa spinta, questo urlo di libertà, agisce ancora nel mondo attuale? Penso che quella miscela di forza creativa, necessità espressiva, esigenza di utilizzare la musica anche come elemento di crescita culturale e sociale, sia stato negli ultimi decenni fagocitato dal mercato discografico. Ormai si è persa quasi tutta quell’energia. Si fa sempre ottima musica, sia nel campo del jazz che in quello del blues, ma risponde unicamente a logiche commerciali…

Ho l’impressione che oggi, in questa società di massa, il disco stia perdendo la sua funzione di testimonianza per diventare “biglietto da visita” … Che importanza ha per te, oggi che la musica è distribuita oramai quasi tutta su piattaforme digitali, un nuovo disco e tra l’altro anche in vinile? Certamente: non ti compri di sicuro una Jaguar con le royalties… Ma una produzione discografica mette in moto tante cose: penso ai diritti d’autore sui pezzi nuovi, al tour promozionale, ai dischi veduti ai concerti, a quella sensazione di grande energia che un nuovo disco fa nascere nell’artista. Il vinile è il modo perfetto per ascoltare musica registrata, ed è stata la mia scelta principale. Made In The Sixties nasce per il vinile.

Ad ottobre sei nuovamente partito con una serie di appuntamenti live, che hanno toccato anche la più grande fiera del Blues in Italia, la Blues Made in Italy di Cerea (Verona). Ci racconti come è andata? Il pubblico della nostra regione tra l’altro potrà seguirti nell’appuntamento del prossimo 16 novembre presso Al Mulinar di Fagagna … Blues Made In Italy è un fantastico evento che raduna centinaia di musicisti ed appassionati in un paese del veronese, in una giornata di gran feeling con amici. Ti rendi conto che la scena blues italiana è vivissima, vivace e composta da persone con un gran cuore, gente perbene lontana dal becero music business di questi anni. La data del 16 novembre sarà molto particolare: ho risposto con piacere ad un invito fattomi da due musicisti friuliani – il bassista Simone Serafini ed il batterista Simone Mosanghini – a suonare insieme a loro Al Molinèr di Fagagna, in una rassegna con il meglio del blues regionale: sarà una fantastica serata!

Fatidica domanda finale: progetti futuri? Cosa hai in serbo per noi? Made In The Sixties rimarrà in tour per un bel po’… ci sono molte cose in pentola, un nuovo progetto live legato al disco, l’estate 2019… Nel frattempo sto anche iniziando a scrivere i pezzi per un nuovo album, ma non andrò in studio prima del 2020.

Luca A. d’Agostino © instArt

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