Non capita molto spesso di ascoltare quello che è un tipo di composizione un po’ di nicchia, quello dei Lieder (canzoni, in  italiano), un genere che nell’Ottocento e nei primi del Novecento ebbe grande fortuna presso i maggiori compositori dell’epoca, i quali gli dedicarono ampie pagine. Però fra questi compositori ce n’è uno che ha legato particolarmente le sue fortune (ahilui, poche mentre era in vita, visto che morì giovane e povero in canna) al genere liederistico fino al punto da rendere il suo nome inscindibile dal genere: Franz Schubert, considerato dalla critica il più viennese dei compositori romantici. Fama meritata, perché scrisse oltre cinquecento Lieder. La leggenda vuole che Schubert non si togliesse neanche gli occhiali andando a letto per non perdere il tempo altrimenti dedicato alla stesura dei suoi amati Lieder. Si tratta di composizioni sparse, che durano pochi minuti e che solo in tre momenti sono state organizzate in cicli, uno dei quali, il celebre Die shöne Mūllerin (la bella Mugnaia, scritto nel 1823), è stato proposto nell’ambito della trentanovesima stagione dei Concerti cividalesi nella chiesa di  Santa Maria dei Battuti dal baritono Lars Grünwoldt e dal pianista Andrea Rucli.

Fin dalle prime battute di Das Wander (Girovagare, è il Lied che apre il ciclo) si intuisce la cifra esecutiva del duo: esplicitare l’intrinseco legame poetico fra le liriche Wilhelm Müller e l’invenzione melodica di Schubert con un’esecuzione strettamente aderente al testo in maniera da rinforzarne i significati. Operazione possibile solo a pianisti del calibro di Andrea Rucki, che unisce grande tecnica pianistica a raffinata cultura, e a cantanti come Lars  Grünwaldt, che accostano una chiarissima dizione testuale ad un’intonazione altamente espressiva. La loro esecuzione ha il pregio di illuminare i diversi momenti configurati dai vari lied con luci e colori perfettamente attagliantisi al climax poetico, ricreando così il movimentato mondo schubertiano in tutta la sua cangiante espressività.

Molti applausi alla fine.

Sergio Zolli per instArt

  

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