1968 Gianni Berengo Gardin, Friuli

Agli inizi della sua carriera lo chiamavano “il Cartier-Bresson italiano”, anche se Gianni Berengo Gardin sostiene di assomigliare molto più a Willy Ronis. Il Centro Ricerca e Archiviazione della Fotografia lo ha intervistato in diretta Facebook per l’amatissimo talk “20 minuti con il CRAF” del lunedì: “Un immenso onore per noi – ha dichiarato il direttore Alvise Rampini – la sua esperienza, la sua capacità di trasferire conoscenze e stimolare ancora giovani generazioni ne fanno la pietra miliare e insostituibile della storia della fotografia italiana”.

Berengo Gardin è stato premiato dal CRAF nel 1991 e ancora ricorda il suo esordio in Friuli Venezia Giulia: “Le prime mostre le ho fatte qui con il Centro di Spilimbergo – ha dichiarato – ricevere quel riconoscimento è stato lusinghiero e sicuramente lo sprone per continuare il mio percorso”.

1960 Gianni Berengo Gardin, Friuli

Nato a Santa Margherita Ligure nel 1930, Gardin si è avvicinato alla fotografia da ragazzo e ha girato il mondo. Roma, Venezia, Lugano, Parigi, nel 1954 infine si è stabilito a Milano per dedicarsi principalmente al reportage, alla descrizione ambientale e alla documentazione sociale, ma anche all’analisi urbana e architettonica. Le sue fotografie hanno dato per anni il volto ad alcuni dei più noti e prestigiosi settimanali italiani e internazionali e sono pubblicate negli oltre 200 libri che ha realizzato. Tra i suoi memorabili reportage Venise des Saisons, L’occhio come mestiere, Dentro le case, Dentro il lavoro, Un paese vent’anni dopo con testi di Cesare Zavattini, Morire di classe, quest’ultimo fondamentale documento sociale che sostenne la legge Basaglia per l’abolizione dei manicomi.
Eppure non si definisce artista. Solo fotografo: “La sua fotografia, consacrata dalla storia e dal tempo, si è sempre concentrata sull’indagine del mondo. Una preziosa lente d’ingrandimento puntata, attimo dopo attimo, sulla società italiana – ha dichiarato il direttore del CRAF Alvise Rampini – la sua ricerca è un vero e proprio archetipo dell’immaginario nazionale”.

1954 Gianni Berengo Gardin, Parigi

Gianni Berengo Gardin è anche denominato il fotografo dei “baci”: “Quando ero giovane in Italia era proibito baciarsi in pubblico, ti potevano arrestare per oltraggio al pudore. Così, quando sono arrivato a Parigi, dove tutti si baciavano continuamente, sono diventato un guardone – ha raccontato il fotografo – oggi la privacy complica tutto e se chiedi il permesso di fotografare la fotografia svanisce, non c’è più”.
Il fuoco prioritario dei suoi scatti è la società italiana, i suoi tumulti e le sue contraddizioni: “Il reportage lo impari guardando le fotografie degli altri – ha spiegato – ancora oggi leggo moltissimo. Il problema della fotografia, è che si pensa di poterla esercitare senza avere una cultura dell’immagine. Definireste mai un musicista chi non conosce Beethoven?”.

I giovani hanno bisogno di confrontarsi con i “giganti” del passato per scegliere quale strada intraprendere: “Anche per ritrovare il gusto della camera oscura – ha concluso – oggi vedono le immagini digitali su uno schermo di plastica e dimenticano il contatto con i provini, con la carta. Ma molti ragazzi stanno nuovamente avvicinandosi all’analogico, vogliono riscoprire e conoscere il DNA della fotografia”.

Comunicato Stampa

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