Il concerto della Budapest Festival Orchestra e del Cantemus Kórus diretti da Ivan Fischer che ieri sera ha riempito il Teatro Nuovo Giovanni da Udine, è stato una full immersion nella musica di Igor Stravinskij e ha spaziato nei vari settori della produzione del grande autore russo.

L’inizio è stato quanto meno singolare. Inizia infatti con Four Norwegian Moods il cui primo pezzo, Intrada, è una specie di marcetta che l’orchestra inizia senza il direttore, il quale entra sul palcoscenico dopo le prime battute e comincia a dirigere con il gesto elegante che conosciamo. Poi, con gli altri tre brani (Song, Wedding dance e Corrège) possiamo ammirare un corpo orchestrale brillante, con un suono adatto a qualsiasi esigenza espressiva della caleidoscopica scrittura stravinskiana, con delle prime parti che sono degli autentici solisti (penso al primo flauto in Song, ma non solo) e con una dose di humor che non sempre si riscontra in orchestre di questo livello e che si esprime anche con numeri come la performance di Tango, con i due orchestrali che si alzano dal leggio, appoggiano gli strumenti e danzano al suono della musica di Stravinskij e Fischer che, mentre dirige, sistema il cappello sulla pelata del ballerino.

Il primo tempo del concerto si conclude con la splendida Sinfonia di Salmi, che vede l’intervento, accanto ad un corpo orchestrale ampiamente rimaneggiato, del Cantemus Kórus che riesce, assieme all’orchestra beninteso, a rendere con estrema pregnanza la grandiosità divina, la disperata invocazione da parte del peccatore e l’assoluta trascendenza della superiore volontà divina rispetto all’uomo, che traspaiono dalla questa complessa partitura imperniata su tre salmi desunti dalla vulgata di San Girolamo. Operazione resa possibile da una qualità delle voci di questo coro e dalla loro preparazione che li rende un organico di valore assoluto. La loro passione per il canto è più che evidente e si esprime anche con episodi come quello della cantata nel foyer durante l’intervallo, in cui eseguono davanti al pubblico del teatro con il rituale bicchiere di prosecco, un perfetto canto popolare ungherese. Il successo della Messa di Salmi, nonostante l’ardua scrittura, è grandioso.

Ma è la seconda parte del concerto a rappresentare il clou della serata. La Sacre du Printemps rappresenta, infatti, uno dei più grandi capolavori del XX secolo (secondo me, il più grande), uno dei più grandi scandali musicali della storia (la sua rappresentazione il 29 maggio 1913 al Théatre des Champs Élysées fu teatro di asperrime contestazioni) e una delle partiture più innovative della storia, con il suo richiamo alle melodie popolari e coll’uso della scala ottatonica che conferiva a questa partitura, ad un orecchio abituato alle sonorità ottocentesche, un aspetto sonoro decisamente barbarico. Le sonorità della Sacre esaltano la bravura di Fischer (che dirige a memoria) e della compagine orchestrale, perché questa partitura richiede da parte di entrambi una perizia tecnica e musicale fuori dal comune. L’orchestra segue il gesto direttoriale con estrema facilità e precisione estraendo da questa impegnativa pagina tutta la sonorità e l’ardore ritmico che richiede e illuminando così l’architettura di questo splendido balletto.

L’esecuzione di questo capolavoro eccelle per vigore ritmico, incisività sonora e precisione esecutiva ponendosi, nel panorama delle tante esecuzioni della Sacre, come una esecuzione di riferimento. Eccellente, emozionante.

Il successo è strepitoso con almeno otto minuti di applausi, alla fine dei quali l’orchestra depone gli strumenti, si dispone come un coro e canta, meravigliosamente, un’Ave Maria di Stravinskij.

Sergio Zolli © instArt

 

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