Le diseguaglianze dei nostri tempi portano a un disequilibrio. In musica, il musicista-simbolo del disequilibrio è sicuramente Ludwig van Beethoven. Questa considerazione, acutamente esposta dal musicologo Alessio Screm nella sua brillante prolusione, è stato il motivo della scelta del repertorio tutto beethoveniano presentato ieri sera nella Chiesa di San Francesco, al concerto finale della stagione del Teatro Bon che contemporaneamente è anche apertura del Festival Vicino/Lontano, dalla neonata Orchestra Giovanile Alpina diretta da Paolo Paroni e dal coro del Friuli Venezia Giulia di Cristiano Dell’Oste, cui si è affiancato in veste di solista il pianista turco, ma di scuola russa, Gökhan Aybulus.

Scelta di programma monografico piuttosto impegnativa, che ha visto l’esecuzione della notissima Sinfonia n. 4 op. 60 in si bemolle maggiore affiancata a due brani di raro ascolto: Meeresstille und glückliche Fahrt (Calma di mare e viaggio felice) op. 112, Cantata in re maggiore per coro e orchestra e la Fantasia corale Schmeichelnd hold op. 80 (lusinga amichevole) in do minore per pianoforte, soli, coro e orchestra.

La scelta dell’autore risiede indubbiamente nella valenza simbolica che il personaggio Beethoven ha assunto nell’immaginario collettivo. Musicista che fa da tramite, da collegamento fra epoche diverse, dalla rivoluzione alla restaurazione, fra periodi musicali diversi, nella sua opera si colloca il passaggio fra Classicismo e Romanticismo, e porta in sé la proposta di uno spirito libero e indipendente (è il primo musicista a non avere alcun protettore) aperto al futuro, ma tragicamente chiuso al mondo con la sua sordità. Un coacervo di motivazioni, quindi, che fanno assurgere Beethoven a come simbolo di quegli squilibri che connotano i difficili tempi in cui viviamo. Difficoltà e contraddizioni che però non sono scevre da una nota di speranza e di fiducia nell’arte, vista come mezzo salvifico dell’umanità. Ecco quindi la scelta di questi brani: la quarta sinfonia perché, incastonata fra i toni corruschi della terza e della quinta, rappresenta un’oasi di pace e serenità, accostata alla poesia del prediletto Goethe che rappresenta il testo della cantata e della fantasia.

Dopo tali considerazioni, finalmente, la musica di Beethoven, che con le armonie della quarta sinfonia riempie le volte di una gremitissima Chiesa di San Francesco. L’inizio dell’Adagio è circospetto e contrasta fortemente con la vivacità dell’Allegro cui fa da introduzione, contrasto molto curato dall’ensemble orchestrale che dimostra fin dalle prime battute una notevole serietà d’intenti, anche se ancora connotata da un suono piuttosto acerbo, che si sente che deve ancora maturare. Necessaria maturazione di suono che connota tutta l’esecuzione di questa sinfonia, ma che è bilanciato da una freschezza esecutiva che fa ben sperare. Il fraseggio è fluido e gli attacchi delle parti soliste, in linea di massima, precisi. Insomma, un buon Beethoven che riscuote ampiamente il favore del pubblico.

È poi la volta della Cantata in re maggiore per coro e orchestra op. 112 con il Coro del Friuli Venezia Giulia che, con il suo ottimo impasto vocale, rende armoniosamente l’inquietante serenità del testo di Goethe.

La serata si conclude con la Fantasia corale Schmeicheldn hold op. 60 che vede la partecipazione anche del pianista turco Gökhan Aybulus e dei solisti Delia Stabile, Daniela Ferletta (soprani), Anna Mindotti (contralto), Roberto Miani (tenore), Hao Wang (baritono) e Giorgio de Fornasari (basso). Esecuzione connotata dalla grande potenza di suono di Gökhan, che rende, ben coadiuvato dall’orchestra, un Beethoven sanguigno e di grande potenza espressiva. Espressività implementata, dopo un’iniziale titubanza, dal coro e dai solisti, che contribuiscono così a rendere la gioia che promana da questa pagina.

Il successo dell’esecuzione è incontestabile e gli applausi incontenibili, al punto che Gökhan concede un bis con un preludio di Rachmaninov.

© Sergio Zolli / InstArt

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