San Giorgio di Nogaro, 12/09/2021 – Circolo Culturale Chiarisacco – Associaizone Complotto Adriatico – Music in Village Estensioni – Giulio Casale in Dante Pop – l’Inferno – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021

Il Circolo Culturale Chiarisacco, sotto l’egida di Luca A. d’Agostino e del suo contenitore culturale Estensioni (un plauso all’Associazione Complotto Adriatico), ha organizzato una serata a Villa Dora di San Giorgio di Nogaro davvero speciale che è stata in grado di coniugare la poesia più profonda e impegnata con due performances attoriali e musicali godibili e di altissimo livello.
Al vociare della chiacchiera e all’indifferenza di un mondo sempre più distratto e ripiegato su se stesso e sulle proprie miserie, solo la poesia e la musica possono contrapporsi come una terapia. L’unica vera salvezza non sta nelle vuote promesse di tanti o negli intrugli (a volte necessari) dei moderni stregoni; il corpo può essere anche risanato, vaccinato, igienizzato e protetto ma se il cuore è prosciugato dal sangue della parola e della ragione, niente di umano rimane più in noi, condannati a sopravvivere senza gioia e senza alcun senso.

Canti d’oblio di Riccardo Canciani (voce recitante) e Jacopo Barusso (Musiche)

Riccardo Canciani

Ha aperto la serata il sangiorgino Canciani che ha una voce e una forza d’interpretazione che non lasciano indifferenti. Il suo tono è dolente e corrusco ma ha una grande capacità di modulazione senza per niente essere impostato o accademico. Non è una voce da scuola di teatro, è quella di chi ha un talento naturale e un’attitudine che può essere migliorata ma che non si impara.
Molto pochi nella storia del nostro paese sono stati i fini dicitori, raramente anche gli attori famosi possiedono la rara capacità di leggere la poesia con la giusta enfasi senza calcare troppo la mano sulla retorica e sulla prosopopea.
Il confine tra l’impostazione vocale efficace e quella fuori dalle righe è davvero labile, è proprio un attimo recitarsi addosso, utilizzando uno stile roboante e magniloquente. Solo pochi riescono davvero a mettersi al servizio del testo facendo risuonare i versi e non la sproporzionata vanità del proprio ego. Canciani è uno di quei pochi, lo si intuisce immediatamente che è uno fuori dal coro dei pomposi cialtroni che inquinano e infestano il nostro teatro.
Ha ancora tanta strada davanti a se ma è un artista che già adesso è in grado di fare “cantare la voce” regalando fascinazioni e seduzione come solo un vero aedo moderno può fare.

Jacopo Barusso

Barusso con le sue tastiere elettroniche disegna i suoni che non sono solamente un sottofondo alla lettura, ma sa evocare veri e propri paesaggi sonori nei quali i versi declamati da Canciani vanno naturalmente ad incastonarsi. Vibrazioni, distorsioni, effetti elettrostatici, suoni liquidi, onde siderali che si rifrangono in silenzi minerali, ipnotiche ossessioni, cascate di emozioni, tutto questo scaturisce dalle “dita amplificate” del tastierista che sa dare una profondità ancora maggiore alla forza con cui il suo compagno di palcoscenico sa proiettare gli spettatori in una dimensione “altra” fatta di distanza, oblio e remoti silenzi futuri.
Il percorso che hanno saputo disegnare è andato dagli abissi lattei dell’Orfismo, alle altezze del Paradiso dantesco, al Meriggio di D’Annunzio, per concludersi con Il Canto della danza da Così parlò Zarathustra di Nietzsche e l’Abisso di Baudelaire. Punto di equilibrio di tanta grazia le parole alate di Giorgio Colli sulla potenza della memoria, sull’enigma e sul mostrarsi della freccia della sapienza e delle ferite sanguinanti che provoca.

Solo un accenno ci concediamo all’analisi di un programma per affrontare il quale non basterebbe un corso universitario. Quello che sappiamo dell’Orfismo dal punto di vista documentale viene soprattutto dalle alcune lamine d’oro con lunghi testi incisi che gli archeologi hanno trovato in antiche sepolture della Magna Grecia e a Creta. Erano delle guide per gli spiriti dei defunti nell’aldilà, libri dei morti o “totenpsse” (lascia passare dei morti). Mentre giornalmente blateriamo dei nostri “lasciapassare verdi” per i vivi, non ci fa male riflettere su quegli antichi versi: “Rallegrati tu che hai patito la passione: questo prima non l’avevi ancora patito. Da uomo sei nato dio: agnello cadesti nel latte. Rallegrati Rallegrati, prendendo la strada a destra verso le praterie sacre e i boschi di Persefone”.

Giulio Casale

Giulio Casale in “Dante pop – l’Inferno”.

Nel centenario delle celebrazioni dantesche se ne sono viste di tutti i colori. In tutta Italia si sono organizzati i più improbabili eventi non tanto per onorare il sommo poeta. ma per non perdere i finanziamenti che le varie istituzioni pubbliche avevano messo a bando. Si sa che le associazioni culturali nel nostro paese hanno vita grama e vivono di sussidi e sostegni ministeriali; chi non è in grado di presentare un progetto culturale che sia in linea con quanto decide l’attuale Min-cul-pop, il ministero della cultura nazionalpopolare, e non può mantenersi in autonomia, magari grazie al mecenatismo di qualche folle che crede nella causa, è destinato a scomparire.
Come in molti altri ambiti, il sistema italiano è clientelare, corrotto, nepotistico e drogato da un assistenzialismo a volte davvero disgustoso.
Giulio Casale, musicista, attore e scrittore, ex leader degli Estra, ha dimostrato di saper elegantemente tenersi fuori dal coro confezionando un omaggio al Sommo Poeta da vero artista, evitando l’ammuffita retorica di tante inutili Lecturae Dantis che ci hanno ammorbato. Certo non è facile essere originali dopo settecento anni di riflessioni sull’Alighieri che è stato “cucinato” in tutte le salse. Perfino il papa non ha saputo trattenere una lettera apostolica (Candor Lucis Aeternae), perfino Matteo Salvini ne ha citato (a sproposito) le terzine. Tutto è stato già fatto e spesso male, non ci siamo risparmiati proprio niente. Per questo è ancora più apprezzabile l’intelligente performance attoriale di Casale che, pur partendo da un’idea tutto sommato semplice, ha saputo indicare la presenza della poesia dantesca senza snaturarne o ridicolizzarne i contenuti.

Da decenni la poesia italiana è tornata ad essere quello che è sempre stata fin dall’inizio: Canzone. Non a caso la Divina Commedia è divisa in tre Cantiche e tutti i versi sono associati alla musica. Basta ricordarsi dell’episodio di Casella o quello dell’incontro con gli spiriti Magni che “danzano come donne” per capire quanto significativa sia la questione.All’Inferno la fanno da padroni i rumori, le urla, gli stridii, i colpi, i tuoni, il pianto e le bestemmie mentre al Purgatorio le anime cantano le lodi del Signore e nel Paradiso si avverte la danza e l’armonia delle sfere. Tutto è musica e danza in Dante per questo una chitarra e una voce che le si accorda sono il modo migliore per ricordare l’Alighieri.
I cosiddetti moderni cantautori, menestrelli, musici, artisti o come si vogliono far chiamare non sono altro che i continuatori di una tradizione davvero millenaria per il nostro paese che è direttamente documentabile fin dai tempi dei culti misterici di cui parlavamo più sopra.

Per ricordare l’Ulisse dantesco Casale non poteva trovare niente di meglio quindi che “Il canto delle sirene” di Francesco De Gregori, poeta meraviglioso e resistente che continua ad esortarci a riflettere sull’odio fratricida che da sempre divide il nostro paese e sulla eterna Guerra Civile alla quale ci condanniamo da secoli. La “Stasis” nell’accezione greca di discordia tra le fazioni di una polis è la stessa che vide Dante esule e che, si perdoni il volo pindarico, fece fucilare Francesco “Bolla” De Gregori a Malga Porzus durante la guerra di Liberazione partigiana.

E’ sempre l’idea greca del ritorno a guidarci verso quel luogo dei valori ideali, un’isola che forse non c’è più e così Casale racconta Nostos di Vinicio Capossela che cita verso per verso il XXVI dell’Inferno e la lunga rotta perduta per Itaca: “Né dolcezza di figlio, né la pieta del vecchio padre, né ‘l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta…”

E poi ancora Compagno di scuola di Antonello Venditti con i suoi Paolo e Francesca e quella del primo banco “la più carina, la più cretina, cretino tu, che rideva sempre proprio quando il tuo amore aveva le stesse parole del libro che leggevi di nascosto sotto il banco.” Sono versi che non perdonano e che nella loro quotidianità ti afferrano alla gola e non ti lasciano anche se si ha superato l’età della ragione da un pezzo.

Il momento più esaltante dell’esibizione di Casale è stata certamente la maiuscola interpretazione, su basi originali, di un grande classico del teatro canzone italiano: Io se fossi dio di Giorgio Gaber, di cui l’attore è attento esegeta. Un’invettiva politica contro la “Serva Italia, di dolore ostello nave sanza nocchier in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!” che non sfigura per niente accanto alle grandi maledizioni che il Vate lanciava contro la sua patria sfortunata e maledetta sette secoli fa. Quella di Gaber non era solo poesia ma aveva la stoffa della profezia e della giaculatoria politica che ha avuto in Dante il suo interprete più grande e insuperabile.

Casale in mezzo a tutto questo ha dimostrato il suo grandissimo talento di fantastico attore-cantante, intenso ed ironico con una presenza scenica da consumato artista, come diceva Aznavour: “Dove un altro cadrà, io mi surclasserò. Io sono un istrione. Ma la teatralità scorre dentro di me. Quattro tavole in croce e qualche spettatore. Chi sono lo vedrai, lo vedrai”. E l’abbiamo visto Casale trasformarsi con la sua affabilità e la sua “guittezza” in un cavaliere del verso sciolto, un autentico fenomeno c’è poco altro da aggiungere.

C’è stato tempo ancora per qualche riferimento a Guccini, Vecchioni, e alla “Selva dei suicidi” della Preghiera di Gennaio di Fabrizio De Andrè. Nell’emozionante bis sono risuonati i versi di un altro grande poeta contemporaneo con C’e’ tempo di Ivano Fossati.

Una serata come poche che ha saputo far riflettere e che ha scavato nelle coscienze di coloro che hanno voluto ascoltare; per gli altri ci sono i versi di Pierpaolo Capovilla che avrebbe dovuto partecipare all’evento: “Padre nostro, non perdonarli mai, sapevano e sanno benissimo quello che fanno”.

Flaviano Bosco © instArt

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