Memoria. E’ partendo dalla memoria che Marco Paolini crea i testi dei suoi spettacoli. Memoria da preservare e da difendere, memoria necessaria per guardare al tempo che verrà. Lo ha fatto fin dalla stesura dei primi testi messi in scena tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 e mai completamente accantonati: i conosciutissimi “Album”, quattro romanzi teatrali in forma di monologo (Adriatico 1987 – Tiri in porta 1990 – Liberi tutti 1992 – Aprile ‘74 e ’75 1995), un viaggio nella memoria personale e collettiva da osservatore attento e garbato, una narrazione leggera, intrisa di ironia e buonumore nel trattare le vicende personali e quelle di intere generazioni, lucida e determinata nel far riemergere episodi tragici e dolorosi della storia del nostro Paese.

La memoria anche di una storia drammatica come il “Racconto del Vajont”, celebre orazione civile, che fece esplodere l’attenzione e il consenso del grande pubblico nei suoi confronti, prima quello del teatro poi anche quello della televisione. L’attore bellunese la cui cifra stilistica, inimitabile e inimitata almeno fino ad ora, s’impose così all’attenzione della critica che ne riconobbe talento, originalità e bravura. Un successo straordinario cui Paolini ha saputo dare seguito con i successivi lavori teatrali, cinematografici e televisivi.
Buon frequentatore dei palcoscenici della nostra Regione, il 24 gennaio scorso è approdato sul palcoscenico del teatro Nuovo Giovanni da Udine (appuntamento serale del cartellone 2023/2024 – rassegna Tempi Unici e una matinée riservata alle scuole) con il suo più recente spettacolo “Boomers”, di cui, oltre che interprete, è regista e autore dei testi insieme a Michela Signori (coproduttrice con Jolefilm e il Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale) e la consulenza alla drammaturgia di Marco Gnaccolini e Simone Tempia.
A condividere la scena disegnata e illuminata da Michele Mescalchin, anche la musica scritta da Alfonso Santimone ed eseguita live da Luca Chiari (chitarra) e Stefano Dallaporta (basso). Ad accompagnare Paolini sul palco anche la cantante Patrizia Laquidara, che ha firmato tutte le canzoni originali dello spettacolo.
Boomers è una ballata teatral-cybernetica, quasi un nuovo album di racconti dove, anche questa volta, la memoria collettiva di una generazione si trasforma però in realtà virtuale, in scenari da videogioco “vietato ai minori di 48 anni… se non accompagnati”.

A Paolini bastano cento minuti, tanto dura lo spettacolo, per mettere a confronto due generazioni: quella dei Boomers, i padri, e quella dei loro figli analizzando conflitti, dinamiche e opportunità perdute di una generazione che conosce bene perché è anche la sua (è nato nel 1956), quella del boom economico e con molte responsabilità rispetto alla situazione ecologica e ambientale in cui vivranno i figli.
Boomers quindi è sia racconto che gioco di memoria in cui reale e virtuale si compenetrano, un’indagine riflessiva ma priva di risposte che non rinuncia mai all’ironia, a battute che strappano il sorriso, sostenuta dalla musica, da motivi d’epoca e jingles pubblicitari che scatenano ricordi (almeno in chi quegli anni li ha vissuti) ma anche canzoni originali tutte affidate alla voce e all’interpretazione di Laquidara. Una cavalcata energetica, a tratti disordinata e vagamente nostalgica, che attraversa cinquant’anni di storia italiana perché “se peschi dal passato di un Paese smemorato, non tiri su memoria ma schegge impazzite”.
Paolini ritrova il suo alter-ego Nicola, come un tempo assiduo frequentatore del bar della Jole. Soltanto che questa volta tutto finisce in un videogioco.
L’escamotage teatrale infatti è quello di immaginare che il figlio abbia ideato un nuovo videogioco che, per ambire a diventare una start-up, dev’essere testato dal padre. Indossando un visore, il genitore si ritrova a rivivere la giovinezza proprio al bar della Jole (donna libera e determinata interpretata da Patrizia Laquidara) ritrovando personaggi veri o frutto della fantasia, esperienze di vita, politica, amori. Un frullato talmente incalzante di ricordi che provoca un senso di smarrimento proprio come al pensiero di dove ci porterà questa nostra società accelerata e ipertecnologica.
Uno spettacolo non sempre facile, anche se Paolini rimane un maestro nella sua indiscussa capacità di conquistare l’attenzione della platea, ha dalla sua la forza della parola, il ritmo del racconto, l’intensità delle pause e la scaltrezza dell’ironia.

Per congedarsi dal pubblico si affida alle parole di una canzone, “Figli delle stelle” un successo di Alan Sorrenti del 1977, interpretata da Patrizia Laquidara che arriva dal buio del fondo sala e con delicatezza incoraggia il pubblico a unirsi a lei mentre le luci lentamente si accendono. “Non c’è tempo di fermare questa corsa senza fine che ci sta portando via….Noi stanotte figli delle stelle ci incontriamo per poi perderci nel vento”.
Teatro gremito, applausi calorosi.

Rita Bragagnolo © instArt

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