Gran finale di stagione per la manifestazione pordenonese Cinema sotto le stelle. Piazzetta Calderari, letteralmente, tracimava di risate e di pubblico per la proiezione di tre esilaranti film muti con protagonisti Stan Laurel e Oliver Hardy, i nostri Stanlio e Ollio, con il magnifico accompagnamento musicale della Zerorchestra. L’ensemble nato in riva al Noncello, nel 1995 come emanazione di Cinemazero, per celebrare il primo centenario del cinema, forte dell’esperienza seminale delle Giornate del Muto, riscopre da allora il suono originario del cinema. Prima dell’avvento del sonoro la settima arte non era per niente muta.
Chi non ha troppa familiarità con il cinema delle origini, a volte immagina che le sale dove si proiettavano quelle antiche pellicole fossero delle specie di dormitori dove gli spettatori davanti alle immagini erano immersi in una specie di silenzioso torpore. Niente di più falso. A parte le risate, i pianti, le imprecazioni, i commenti ad alta voce, le contestazioni e la viva partecipazione di tutti che erano quasi la norma, una qualsiasi proiezione era inconcepibile senza un accompagnamento musicale. A seconda dei casi da un semplice pianista o un piccolo gruppo di musicisti fino alla grande orchestra sinfonica al completo con tutte le sezioni schierate e coro.
Il grande pregio, a livello mondiale, delle Giornate del muto di Pordenone è stato, tra l’altro, proprio quello di far riscoprire il gusto di ascoltare il cosiddetto cinema muto in quel modo. Oggi è abbastanza frequente che si facciano, un po’ in tutta Italia, proiezioni con accompagnamento musicale dal vivo, solo un paio di decenni fa era quasi inconcepibile. Molto ha fatto la Zerorchestra in questo senso.
La proiezione-spettacolo di quelli che in origine erano tre rulli da venti minuti l’uno, dei film di Stanlio e Ollio, è avvenuta nel giorno in cui il grandissimo scrittore italiano di lingua slovena Boris Pahor compiva 106 anni. Il testimone dei drammi del secolo XX°, è tra le poche persone al mondo ancora viventi ai quali si indirizzava il tipo di comicità che Laurel e Hardy, come i grandissimi Maestri dell’epoca, mettevano sul grande schermo e forse sarebbe l’unico ad essere in grado di spiegarcene ancora il significato più autentico.
Sembrerebbe impossibile che, a distanza di un secolo intero da quelle immagini con sconvolgimenti epocali nel frattempo, possiamo essere ancora in grado di ridere e divertirci davanti a quei capitomboli, ruzzoloni, sberle, smorfie, acrobazie che appartengono, in tutto e per tutto, ad un altro tempo. Eppure bastava sentire le risate estasiate dei bambini del pubblico di Pordenone, tutti tra i cinque e gli ottant’anni, per capire che quegli scherzi e quelle clownerie, all’apparenza così semplici e anacronistici, funzionano ancora alla perfezione.
Certo ci sono meccanismi psicologici culturalmente appresi che ci inducono al riso che sono i medesimi da millenni; ancora ridiamo alle commedie di Aristofane, per esempio, ma nel caso di Stanlio e Ollio c’è anche la magia del cinema che anche nell’era degli smartphone, dei tablet e di Netflix continua a regalare una magia collettiva davvero impagabile e unica.
Ridere e gioire in un luogo deputato tutti insieme, senza alcuna distinzione, sentendosi accomunati dalla voglia di ridere e dalla bellezza della musica, appare quasi come un atto rivoluzionario in questi tempi tristi, troppo seriosi e tanto tragici da apparire grotteschi. Non è un’esagerazione, se è vero, com’è vero che sarà una risata che vi seppellirà.
Il periodo muto della coppia di comici americani è di certo meno noto di quello successivo all’avvento del sonoro, riportato in auge, recentemente, anche dal discutibile biopic Stanlio & Ollio. La storia vera di un’amicizia irresistibile di John S. Baird (Usa 2018). Il pubblico, in generale, è abituato a sentire la voce gongolante e ursina di Ollio e quella petulante e piagnucolosa di Stanlio. Capolavori come: Noi siamo le colonne, Il compagno B, I diavoli volanti, I fanciulli del West, I figli del deserto, Frà Diavolo ecc. sono un patrimonio dell’immaginario collettivo che non è stato assolutamente scalfito dal tempo.
Proprio per questo ha ancora il gusto speziato di una nuova scoperta assistere alla proiezione di quei film dove la loro comicità è legata solamente all’intreccio, alla mimica facciale e al linguaggio del loro corpo.
1) You’re Darn Tootin di Leo McCarey (Usa 1928) La didascalia iniziale recita: La storia di due musicisti che non suonano né a orecchio né leggendo lo spartito ma usando la forza bruta. Ollio e Stanlio suonano, si fa per ridere, in una banda cittadina. Mentre si esibiscono in pubblico si fanno notare per la loro irrequietezza e per la loro incapacità e inettitudine, tra gran risate e scherno generale. Tante ne fanno, tante ne combinano che costringono il direttore a cacciarli. Se ne tornano mogi mogi alla pensione nella quale sono alloggiati pur non pagando o quasi la pigione. L’astuta e materna matrona pensionante, accortasi che i due hanno perso il lavoro, non ci pensa due volte a cacciarli via costringendoli a cercare di sbarcare il lunario suonando agli angoli delle strade. Il solito poliziotto, maschera onnipresente nelle comiche di questo tipo, li perseguita impedendogli di suonare senza la licenza di prammatica che, naturalmente, non possiedono.
Camminando per le strade incappano in ogni sorta di ostacolo e pericolo. Finiscono più volte dentro tombini aperti, ruzzolano, si rialzano, scivolano, rotolano. Nella clamorosa rissa finale coinvolgono decine di passanti che si danno a colpirsi negli stinchi con delle gran pedate fino a strapparsi a vicenda i pantaloni, rimanendo tutti, belli e brutti, in mutande in mezzo alla via, perfino il poliziotto che voleva intervenire perde la vergogna, cadendo vittima di quegli ossessi.
Ha buon gioco l’orchestra degli ottimi musicisti pordenonesi, anche in questo caso, a suggerire e sottolineare attraverso le note, le azioni sceniche anche più piccole creando un tessuto fatto di luci, d’ombre e di suoni di straordinario fascino.
2) The Finishing Touch di Fred I Guiol e Leo McCarey (Usa1920) Questa è la storia di due ragazzi che per nove anni frequentarono sempre la prima elementare, così si dice dei titoli di testa. Però vediamo i due protagonisti già adulti alle prese con la costruzione di una casa di legno. Il proprietario gli ha promesso una grossa somma se gliela consegneranno in breve tempo. Naturalmente, ne combineranno di tutti i colori, dimostrandosi inizialmente completamente incapaci di costruire alcunchè.
Oltre all’inettitudine hanno un ulteriore problema: la casa in costruzione è a due passi da una clinica ospedaliera che esige massima quiete motivo anche questo di gags e calembours d’ogni sorta senza tregua. “Se dovete fare rumore almeno fatelo piano”. Quando riusciranno in qualche modo a mettere insieme le assi e a ultimare l’abitazione che dicono essere: “Robusta come la rocca di Gibilterra” basterà che un improvvido uccellino si posi sul camino perché la casa cominci a sgretolarsi. Finisce, letteralmente, a sassate con il padrone di casa con uno scambio di colpi che se non facessero ridere sembrerebbero perfino selvaggi e crudeli.
Forse non a caso, il film uscì lo stesso anno e a pochi mesi di distanza dall’indimenticabile One Week di Buster Keaton, nel quale il comico senza sorriso era alle prese con una casa componibile da ultimare il prima possibile. Ma come dice il proverbio: Presto e bene raro avviene. Anche nel caso del comico con la faccia di bronzo il risultato è che tutta la sghemba pericolante costruzione finisce crollargli addosso, ma lui ne esce miracolosamente senza un graffio tra le risate generali.
Juri Dal Dan, valente pianista jazz ha composto e arrangiato in modo mirabile ed efficace tutti i brani della Zerorchestra di cui fa parte integrante. In questo in particolare, grande attenzione è stata riservata alla rumoristica che, senza essere banalmente didascalica si fondeva completamente con le immagini. E’ il grande pregio del gruppo di Pordenone che con grazia e umiltà rara non ha mai voluto imporsi sulle pellicole che hanno accompagnato. Non è facile rimanere ugualmente originali. Credo che abbiano ormai vinto la scommessa iniziale a mani basse. Lo dimostrano abbondantemente la sezione fiati composta dal sax di Gaspare Pasini e dai fiati di Didier Ortolan che regalano a queste composizioni il tipico sapore del jazz dei primi decenni del ‘900, quando era ancora possibile, senza troppe inquietudini, suonare, amare e di nascosto danzare come dice il Poeta.
3) The Battle of the Century di Clyde Bruckman (Usa 1927) Il peggiore pugile del mondo detto “lo straccio umano”, interpretato dall’esile Stan Laurel, combatte contro il feroce “Colpo di tuono” destinato a vincere per evidente superiorità fisica ma anche per la combine e il favore delle scommesse che lo vogliono vincitore in ogni caso.
La pellicola si credeva totalmente perduta fino a poco più di un decennio fa. Come spesso accade, per fortuna, ad un certo punto, sono cominciati ad apparire, quasi per miracolo, da cineteche e collezioni private, metri e metri di pellicola che sono stati pazientemente restaurati e riassemblati fino al recupero quasi completo dell’intero film, 18 minuti su 20 nella versione più estesa proiettata alle Giornate del muto del 2015 con un clamoroso successo.
Purtroppo la versione di Piazzetta Calderari non è stata quella, che aspetta ancora di essere editata e commercializzata, ma una più breve che comprende solo la parte iniziale quella del combattimento di boxe, del quale accennavamo più sopra e la parte finale con una delle più epiche battaglie di torte in faccia della storia del cinema, la battaglia del secolo per l’appunto. Meglio di niente e comunque basta e avanza per farsi affascinare dalle gag immortali dei due comici.
La parte mancante è stata quella di raccordo narrativo tra le due, nella quale il manager dello Straccio umano, un disperato Ollio, s’inventa una truffa con l’assicurazione per cavare almeno qualcosa dall’infortunio che vuole causare al suo protetto.
Non trova di meglio che farlo scivolare sulla classica buccia di banana. Nemmeno a dirlo, anche questo stratagemma fallisce e a scivolare è il fattorino di un pasticciere che sta effettuando delle consegne. Proprio da lui parte la prima salva di torte in faccia che man mano si estende all’intero quartiere della città. Nel finale una scena di massa ci mostra almeno un centinaio di persone impiastricciate di crema e di panna che continuano a tirarsi torte.
Oltre che ridicola è una sequenza del tutto surreale che i musicisti della Zerorchestra hanno saputo interpretare perfettamente con un ritmo via via sempre più vivace fino al parossismo della sovrapposizione di più linee sonore e melodiche che davano l’effetto di una corsa a perdifiato o di un caos crescente e di un divertimento crescente, incontenibile.
Efficacissime in questo senso le percussioni e gli effetti sonori di Luca Grizzo, così come gli idiofoni di Luigi Vitale. Senza dimenticare, naturalmente, la tessitura ritmica incalzante del contrabbasso di Romano Todesco.
Spentesi le luci del grande schermo la Zerorchestra ha voluto salutare e deliziare il proprio pubblico che stava spellandosi le mani applaudendo, con una propria versione della celeberrima canzone cantata, in origine, da Alberto Sordi, storico doppiatore di Ollio, per la colonna sonora di The Flying Deuces di A. Edward Sutherland (Usa 1939) con la coppia comica arruolata, per pene d’amore, nella Legione straniera francese..
Il testo in italiano è assolutamente delirante e non c’entra proprio niente con quello dell’originale Shine on, Harvest Moon (Continua a splendere Luna piena) che è una tenera canzone che racconta l’amore di due giovani sotto la Luna splendente di settembre. E’ il caso di riportare il testo completo in italiano perché bizzarro e straniante testimone di un’epoca nella quale, pur volendo ridere a crepapelle, lo si faceva, invece a mezza bocca e amaramente mentre l’Europa e il mondo intero erano in fiamme.
Guardo gli asini che volano nel ciel/ma le papere sulle nuvole si divertono a fare i cigni nel ruscel / bianco come inchiostro.
Vanno i treni sopra il mare tutto blu e le gondole bianche sbocciano nel crepuscolo sulle canne di bambù. Du du du du du/
Queste strane cose vedo ed altro ancor quando ticchete ticche ticchete ticche sento che guarito il cuor dall’estasi d’amor.
© Flaviano Bosco per instArt
photo: Elisa Caldana © – courtesy Zerorchestra Fb page