Scrive Angelo Floramo nel suo ultimo “Vino e Libertà” di una sua felice breve permanenza sull’isola di Curzola in Dalmazia completamente fuori stagione quando i turisti non si vedono nemmeno con il binocolo e la bora sferza e morde quello che in agosto è assolato e balneare per migliaia di vacanzieri.

Quel luogo d’inverno finalmente ritorna ad essere quello che è sempre stato e che il turismo di massa non considera e spesso distrugge. Non siamo più abituati a pensare ai viaggi che facciamo, piccoli o grandi che siano, come ad un’esperienza arricchente e meravigliosa, ma come a dei trasferimenti da un non luogo ad un altro nel quale trovare le cose che il nostro gusto di consumisti ci ha abituato a considerare come desiderabili; il resto ci turba, soprattutto quello che non è monetizzabile, come un’attesa, uno spazio vuoto, un paesaggio disadorno. I viaggi avventura ce gli scegliamo da un catalogo on line e di esotico e stravagante non hanno nient’altro che il costo che ci affrettiamo a saldare con le nostre carte di credito all inclusive e non se ne parli più.

Nelle righe che seguono si racconta di un breve insolito viaggio che finisce in musica, in luoghi piuttosto insoliti che a qualcuno possono sembrare banali ma che possono rivelarsi molto più interessanti di una chilometrica coda in autostrada al casello di ritorno dalla famigerata “gita fuori porta” che tutte le brave famiglie del “Mulino Bianco” si condannano a fare negli stessi maledetti giorni, nei medesimi, affollatissimi orrendi campi di prigionia per vacanze “mordi e fuggi”.

Giorgio Boscolo Femek “El Penelo”, tra le misconosciute glorie passate della città di Chioggia, oltre al mercato del pesce e alle baruffe goldoniane, c’era la produzione massiva e seriale di pipe in terracotta e ceramica di varia natura e foggia. Per secoli la città ne ha prodotte a milioni l’anno per un totale di una ventina di grandi aziende artigiane che vedevano impegnate centinaia di persone. La tradizione sarebbe del tutto perduta se non ci fosse stata la creatività dell’estroso pittore e ceramista Boscolo a riportarla in vita.

In realtà, a Chioggia questi semplici manufatti di ceramica si trovano ovunque, basta scavare, come racconta lui stesso, nel suo laboratorio di palazzo Granaio nel pieno centro della cittadina e nello stesso luogo dove si svolge da centinaia di anni il mercato del pesce.

Erano oggetti talmente comuni e d’uso quotidiano che nei secoli sono andati a mescolarsi con i resti delle vecchie stoviglie di coccio che venivano gettate con grande facilità e finivano per essere utilizzate come materiale di risulta per opere murarie o per la semplice manutenzione stradale come gli altri calcinacci risultato di demolizione.

Letteralmente, basta fare una buca in terra e se ne trovano a decine. Come spesso accade, dove la maggior parte della gente vede solo scarti, chi ha cuore e creatività scopre una risorsa e vede il futuro nella straordinaria forza rivoluzionaria del passato, proprio come diceva Pasolini.

Dice Boscolo che con la ceramica ha fatto “il suo sessantotto” e cosa possiamo pensare di più anticonvenzionale oggi al tempo delle sigarette elettroniche del mettersi a creare pipe artigianali con l’argilla del fiume e con il bocchino fatto con un ramo di marasca come trecento anni fa?

E’ proprio grazie alla sua originalità e al suo essere perfino anacronistico che Boscolo è diventato una specie di leggenda non solo tra gli appassionati del “fumo lento”, ma anche tra quelli che credono che ci possa essere un modo diverso e più umano di fare turismo e souvenirs al di fuori della solita paccottiglia asiatica che ricorda solo il proprio squallore e si presta solamente alla raccolta differenziata dei rifiuti attraverso la quale sarà prodotta altrettanta immondizia.

Un altro personaggio, questa volta caricaturale, che si può facilmente incontrare nelle osterie di Corso del popolo nel pieno centro della cittadina lagunare, è Jackie to Night, uno che ha vissuto di espedienti tutta la vita, dilapidando al gioco patrimoni suoi e altrui, e che ancora se la cava a scroccare cibo, vino e tabacco elargendo sentenze auto-evidenti da vecchio saggio epicureo; un Diogene con le scarpe rotte e il barbone incolto che fa tanto folklore locale tra un cicchetto e l’altro.

Centro Sociale Rivolta di Marghera: “Venezia Hardcore” Warm Up.

Cosa può esserci di più strampalato e anticonvenzionale di un weekend pasquale a Porto Marghera tra il petrolchimico e i capannoni in degrado, il traffico e l’aria più inquinata d’Europa? La risposta non è per nulla scontata perché, in realtà, Marghera non è così male come sembra. Certo ci vuole un po’ di fantasia, ma anche farsi piacere il turismo di massa che intasa Venezia non è facile. Le presenze nella città Serenissima, dopo il crollo dovuto all’epidemia, sono tornate a moltiplicarsi esponenzialmente e la visita alla città è tornata a qualificarsi letteralmente come una “transumanza” in cui torme di bovini e ovini a due zampe arrancano tra calli e campielli scattandosi inutili selfie e ingurgitando ogni sorta di porcheria.

Paradossalmente, ormai le periferie delle grandi città, seppur problematiche, sono diventate luoghi molto più umani di molti centri storici che hanno completamente perso la dimensione della socialità e della comunità in favore di un anonimato fatto di vetrine e di beni di consumo sempre più scadenti come chi ne usufruisce. La città è una scatola vuota e forse lo vedeva bene già Pasolini settant’anni fa quando riconosceva l’autentica straziante bellezza della città eterna solamente attraverso le sue borgate o la poesia del paesaggio italiano solo nello specchiarsi nelle sue rovine.

Nel deserto industriale e tossico di Marghera nel 1989 è nato un fiore dal filo spinato che continua a resistere dopo più di trent’anni; un bastimento pirata in pieno mare velenoso dove i pesci più sani sono quelli morti; un’isola che molti vorrebbero non esistesse ma che continua ad issare la propria bandiera nera e a rivendicare di non dover chiedere il permesso a nessuno per essere un luogo di libertà; lo si sarà capito ormai il fiore, il bastimento, l’isola sono metafore per definire il Centro Sociale Rivolta e i suoi meravigliosi pirati.

Se vi capitate in un pomeriggio qualsiasi non è difficile che uno dei volontari che tengono in piedi la struttura, come la splendida, giovanissima Elena, vi faccia fare un giro tra i vari padiglioni che compongono la struttura che è davvero enorme tra sale da concerti, laboratori, officine, pizzeria, bar e vari luoghi di socializzazione e poi alloggi riservati a 30 migranti in collaborazione paradossalmente con quella questura che ogni tanto minaccia di sgomberarli.

Sui Centri Sociali la propaganda di regime si è veramente scatenata negli ultimi anni, demonizzando, reprimendo e perseguitando proprio perché rappresentano un luogo di libertà, di socialità, di muli-culturalità, pensiero critico e pratiche libertarie contro un Potere che si pensa monolitico, rigido di masse nazionalizzate ed idiote fatte di schiavi alla catena di montaggio.

Le persone del “Rivolta” non hanno bisogno di essere catalogate, imprigionate in uno stereotipo, si sottraggono al rito dell’identità carceraria che il Potere ci assegna costringendoci ad essere quello che vuole, abitatori di spazi che altri decidono e agiti da diritti che non gli appartengono ma che vengono concessi da coloro che tirano i fili di questa scena da burattini (Masters of Puppets), e allora non resta che evadere e dichiararsi Homo Inabilis come ci esortano a fare i “Confine” una delle band di punta tra quelle che hanno animato la serata di concerti al Centro Sociale:

Non sono umano, carne o pesce

Niente di niente

Non sono acqua e nemmeno

senziente

Il nichilismo è il profumo della vita

Il nichilismo è la nostra vita.

La serata è servita a scaldare i motori in vista della decima edizione del Venezia Hardcore Fest del 19-20 maggio prossimo con 30 band a darsi battaglia sui due palchi del Rivolta che avrà anche un’area skate per i più spericolati.

Hanno fatto scatenare il pubblico alcune band dell’underground hardcore italiano soprattutto del Veneto profondo: Joke, Lightinf, Vetro, Infall, Jaguero. In realtà, niente di troppo innovativo, solite chitarre distorte, ritmica veloce, violenta e selvaggia, scream e urla disumane, riff essenziali e aggressivi, testi furiosi e abrasivi, insomma, quel tanto che basta per divertirsi a “bestia”, fare headbanging e sputare fuori un po’ della velenosa rabbia che questa “sporca vita” ci costringe ad ingoiare.

Un altra band di un certo interesse almeno per l’insolita proposta sono stati i bolognesi “Corpo Estraneo” che si ispirano agli storici Nabat e che nel 2021 sono stati autori di un’incisione, “L’occasione per evadere”. La loro singolarità è che si ispirano alla tradizione spirituale indiana del Vaishnavismo Gaudiya che ha come testo sacro principale la “Bhagavadgita”. Sentire cantare il Maha-mantra “Hare Krishna” in Punk hardcore è davvero una bella esperienza e tra un brano e l’altro il loro giovane tatuatissimo leader ha anche avuto modo di fare delle belle “prediche” sulla ricerca di se stessi, stigmatizzando l’illusorietà della nostra esistenza.

Decisamente blasfemi, sacrileghi e senza dio i “Confine” la band leader che tutti aspettavano, i quattro di Cavarzere presentavano il nuovo album “Homo Inhabilis”, di cui dicevamo più sopra, un bel pugno in faccia di True Rural Metal Punk come recitano le loro ultime irriverenti t-shirt “Penultimo Papa RIP” oppure, sempre come dicono di se stessi: Punk hardcore sporco di grind, trash e blasfemia dalle paludi venete. Disimpegno. Vino, Do it Your self, fasoi in tocio. E tanto basta come dicono in un loro vecchio pezzo:

Campagne deserte e sole cocente, sniffare umidità è la cosa più divertente… Cavarzere: piccola cittadina all’estremo sud della provincia di Venezia 14.404 abitanti (a oggi) con una buona dose di casi umani. Qui noi siamo i numeri uno della scena punk-Hardcore e grazie al cazzo è perché ci siamo solo noi. Ma alla fine dai, ci divertiamo sempre un casino, ci basta solo bere. Vino, vecchi e cicche sotto il sole… Cavarzere.”

© Flaviano Bosco – instArt 2023

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