Si è chiusa nelle scorse settimane, con una memorabile serata, la terza edizione della manifestazione jazzistica udinese in versione invernale. Il ben augurante prologo si era avuto ai primi di novembre con un’incredibile performance del Jacob Bro trio, recensito su questa stessa rivista.

Il cuore della rassegna è stato un omaggio al poeta friulano Pierpaolo Pasolini del quale, nel corso dell’anno, centinaia di eventi hanno celebrato giustamente il centenario dalla nascita. Euritmica, che cura la manifestazione, ha voluto pensare a qualcosa di originale e stimolante che non fosse una mera riproposizione encomiastica delle solite lodi al “mortaccio”. Il risultato sono state tre produzioni originali basate sui testi del poeta affidati all’ingegno di musicisti del territorio.

La seconda e ultima giornata ha visto schierarsi due proposte a proprio modo uniche. La prima è stata quella di Marco Brosolo, talentuoso chitarrista friulano trapiantato a Berlino da più di un decennio e del suo ensemble, basata sulle suggestioni di un cortometraggio del poeta di Casarsa. La seconda proposta è stata prodotta in simbiosi con il Maestro Dell’Oste del coro del FVG ed ha visto come protagoniste quattro incredibili cantanti capitanate dalla splendida Laura Giavon dal multiforme ingegno e voce.

Nubi: Marco Brosolo (Voce, chitarra, synt) Jacopo Zanette (batteria) Francesco De Luisa(Tastiere) Leo Virgili (basso, chitarra, trombone, Theremin)

Originale e insolita la proposta di Brosolo che ha messo in musica con grande fedeltà versi e testi di Pasolini. Quest’ultima non è certo una novità ma la differenza è stata nella scelta del genere musicale. Di solito si riporta il poeta friulano alle sue solite radici musicali: la villotta, lo stornello romanesco, la canzone napoletana e la musica popolare italiana dei primi decenni del ‘900 dimenticando completamente la grande competenza e lo sperimentalismo in musica di Pasolini, modernissimo nella sua ricerca etno-musicologica e nelle sue ardite scelte d’avanguardia e free jazz per le colonne sonore dei suoi film.

Brosolo ha pensato bene di accostarlo ai suoni della tarda new wave, eliminando ogni nostalgia e anacronismo. I versi di Pasolini si adattano perfettamente alla forma canzone pop-rock e non temono confronti nemmeno con i parolieri più accreditati del panorama canzonettistico italiano, soprattutto quello del desolante presente fatto di slogan pubblicitari e di gridolini biascicati da adolescenti storditi dalle benzodiazepine. Anche i versi in friulano, che di solito vengono accostati ad accordi in chiave folk, sono stati resi più colorati e vivi.

Nel primo brano Mater Castissima sono risuonati i meravigliosi versi del quarto componimento di Litania da “L’usignolo della chiesa cattolica” che il poeta dedicò alla Vergine Maria, in una riflessione profondamente religiosa, ma paradossalmente del tutto laica sulla sacralità della figura femminile e della madre in particolare, in primo luogo la propria. Ben sappiamo quale indissolubile legame vi fosse tra Pasolini e la madre Susanna; dopo tanti dolori ora riposano l’uno a fianco all’altra nel cimitero di Casarsa. Val la pena di citare integralmente le rime sulle quali ha lavorato Brosolo:

Mater Castissima

Ahi crudeltà

non trapassarmi con gli occhi il corpo!

Si è nudo

caldo e innocente…

Sotto quel crudo

amore degli occhi

mi sento morire.

Maria è la madre castissima che guarda il corpo del poeta con dolcezza spirituale e compassione, facendolo vergognare delle proprie miserie. E’ poesia d’incredibile sacralità e potenza che non perde il proprio fascino ritmata tra la batteria e la chitarra.

E’ seguito il post rock con tastiere minimal di “Mi contenti” evocativo e di piacevolissimo ascolto anche se a tratti fin troppo aderente a certi stereotipi di genere fino ad assomigliare a certi brani di The Smits.

Questo stesso testo poetico in lingua friulana fa parte de “La meglio Gioventù”; nel 2021 fu scelto dall’amministrazione comunale di Stoccolma assieme ad altre di poeti italiani contemporanei noti in Svezia (Magrelli, Anedda Angioy, Merini, Maraini) per comparire su duemila cartelloni pubblicitari negli spazi delle stazioni metropolitana.

Solo questo ci fa capire la distanza siderale che c’è tra il nostro miserrimo paese e alcuni stati europei. Quando vedremo sui muri delle nostre città poesie in friulano? Oppure quando saremo in grado di apprezzare allo stesso modo i componimenti nelle lingue minorizzate della penisola scandinava? “Mi contenti di jodi la int fòr di ciasa ch’a rit ta l’aria.” Anche a noi converrà accontentarsi.

Una piccola precisazione sull’utilizzo di questo termine. Nella lingua di Pasolini il suo significato non è per nulla: “Mi accontento di vedere la gente…” nel senso che mi basta. Significa che vedere la gente che ride lo fa contento. “Mi contenti” perciò vuol dire “Godo e sono felice di…”.

Brosolo parlando con il pubblico ha spiegato che la scaletta del concerto si concentrava sui componimenti di un album originale riarrangiato per il festival udinese dal titolo “Nubi” che, infatti, dal vivo, rispetto ai solchi del disco, è apparso molto più energico e perfino divertente, depurato da alcune uggiose malinconie che ne appesantivano l’ascolto.

L’ispirazione originaria, ha raccontato, gli venne dalla visione di quello che considera il miglior lavoro cinematografico di Pasolini “Che cosa sono le nuvole?” e non è il solo. Curiosamente ha associato quelle immagini anche alla sigla del cartone animato The Simpson che mostra le nuvole del cielo sopra Springville, l’immaginaria cittadina che ospita da 34 stagioni le avventure di Bart e della sua sconclusionata famiglia.

Brosolo era senza calzature sul palco come negli anni ‘60 e mostrava orgogliosamente i calzini dei Simpson che, come ha ripetuto più volte, si era comprato per l’occasione da H&M; se qualcuno avesse anche solo una vaga idea del significato di tutto questo agire e almanaccare del cantante, è pregato cortesemente di contattare la redazione di questa rivista al più presto.

Molto efficace la trasposizione di Dedica “Fontana di aga dal me pais. A no è aga pì fres-cia che tal me paìs. Fontana di rustic amòur che si è avvalsa degli incredibili suoni del Theremin di Leo Virgili, straordinario interprete, tra gli oscillatori e le iso-frequenze di quello stravagante, primordiale strumento elettronico dal fascino ineguagliabile.

In “Lamento” tutto post rock piuttosto rude e stagionato ma ancora “edibile” con gusto, risaltava la voce registrata di quell’istrione che è Pierpaolo Capovilla che declamava i titoli delle opere di Pasolini come una litania di per se molto significativa e spaesante.

Di grande efficacia è stata l’esecuzione anche di “Wolken” in lingua tedesca, che traduceva i dialoghi di Ninetto e Totò in “Che cosa sono le nuvole?”, da quello sulla verità (Ma che cos’è questa verità? …ssssh…non bisogna nominarla, perché appena la nomini, non c’è più, è quella cosa che senti dentro di te ma se la dici svanisce) a quello meraviglioso sulle nuvole (“Straziante, meravigliosa bellezza del creato”) con il Theremin sempre in primo piano.

Dalla sua Brosolo ha anche un’ottima presenza scenica e una capacità di vocalizzare decisamente rock che hanno regalato aggressività e dinamica all’esibizione. Sono stati preziosi gli intarsi e le sottolineature delle tastiere di De Luisa che ha ribadito ad ogni nota la leggerezza del proprio tocco come elemento distintivo di uno stile morbido e setoso.

Brosolo e la sua band hanno dedicato un omaggio anche a Federico Tavan, un altro dei grandi poeti eretici friulani; è davvero difficile, nella lunga lista, stabilire chi sia stato il più grande e, in fondo, non è per niente rilevante; anche noi come i ragazzi di Pasolini del nostro Amore, sappiamo solo che è Amore, ci basta e avanza.

Sul palcoscenico insieme alla band anche un disegnatore che evidentemente era parte della rappresentazione, ma che il pubblico non ha avuto il bene di capire in che modo nonostante i tanti saluti e ringraziamenti.

Soffia il cielo: Cantata per Pier Paolo Pasolini

Juliana Azevedo, Caterina De Biaggio, Laura Giavon, Alba Nacinovich

Mancano quasi le parole per descrivere le calde emozioni che le quattro ragazze sono riuscite a trasmettere con la loro cantata “a cappella” dedicata a tutte le donne di Pasolini.

Con un certo orgoglio Giancarlo Velliscig, il patron di Euritmica, infatti, le ha introdotte ribadendo che le “cantate” erano un genere a se stante e spesso militante, che celebrava le personalità rilevanti, ha poi ringraziato tutti quelli che hanno reso possibile la manifestazione anche quest’anno escludendo di conseguenza l’amministrazione comunale di Udine come sempre.

“Soffia il cielo” è un verso della famosa canzone di Pasolini che Domenico Modugno “monnezzaro” canta nella sequenza finale del già citato capolavoro “Che cosa sono le nuvole?”. E’ un canto pieno di struggimento e di amore incondizionato per la vita che ci sorride radiosa proprio poco prima di esserci tolta.

Prima dello spettacolo o come prima parte di esso, le cantanti si sono sentite in dovere di giustificare o meglio rivendicare il loro gesto di cantare, spiegandone i motivi e il senso. Non dovrebbero essere tenute a farlo ma oggi, al contrario, è spesso necessario puntualizzare agli spettatori, almeno ad alcuni, che certa musica non è un semplice passatempo, uno svago, un ottundimento dei sensi; non si va a teatro solo per staccare dalla routine quotidiana, farsi due risate e soprattutto non pensare, ma giusto per il contrario. In questo senso, la voce è preghiera, coraggio memoria, comunione e come si trovava scritto nel libretto di sala: “Anche il semplice atto di cantare, oggi, è un gesto rivoluzionario”.

La cantata era divisa in tre quadri. Il primo era dedicato alle donne dei “Turcs tal Friûl”, la straordinaria opera teatrale che Pasolini ambientò nel Friuli del XVI sec. durante le scorribande dei Turchi, raccontando il punto di vista dei poveri contadini indifesi che subivano quel flagello. Nello specifico le cantanti impersonavano “Anuta Perlina” una vecchia dolente contadina che si votava alla Madonna raccomandandole la vita dei giovani del paese “ch’e àn tant da vivi enciamò, e gioldi, e ciantà, e lavorà, e balà, e amà e preati. Amen”

Pregavano una accanto all’altra, con un unico faro che le illuminava dall’alto. La Giavon, dopo essersi intonata, furtiva e veloce con il diapason, prendeva la nota e concludeva la preghiera con una voce assolutamente espressiva e ieratica in cui risuonavano i dolori e le speranze dei suoi maggiori, le preghiere dei miseri come quelle dai campi e della luce del sole.

Un brano della “Cantata per Pierpaolo Pasolini” di Giovanna Marini rifletteva sull’attualità sempre viva del messaggio di Pasolini sui barbari che “Telefonano, comprano, piegano, attirano, mangiano e sputano” e quei barbari siamo noi. Chiudeva il quadro un Miserere della tradizione orale sarda e la contrizione che esprimevano le ragazze sul palcoscenico diventava quella di tutti gli spettatori.

Le quattro insieme hanno stregato e ammutolito dallo stupore il pubblico del tutto ipnotizzato dalle loro voci e da una presenza scenica da nere menadi, meste e rassegnate come previche addolorate che cantavano il loro destino e il nostro; era una preghiera che scuoteva il cielo, che lo impietosiva fino a muoverlo a misericordia. La paura, la tensione, l’angoscia, il nostro paese le conosce bene, ma conosce anche la speranza ed è proprio quello che ci frega sempre.

Il secondo quadro era dedicato alle donne d’Italia con testi e musiche che la Marini ha composto sulla base delle sue ricerche etno-musicologiche nella tradizione folclorica italiana. Giganteggiava sulle altre “Il Galeone” del partigiano anarchico Belgrado Pedrini (1913-1979) che riprendeva la grande tradizione delle invettive contro il nostro sciagurato paese. Se Dante, nel Purgatorio (VI, 76-78) scriveva: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta non donna di province, ma bordello!” e Petrarca: “Italia mia, benchè ‘l parlar sia indarno a le piaghe mortali che nel bel corpo tuo sì spesse veggio” e ancora molti altri compreso Leopardi in “All’Italia”, così Pedrini: “Siamo la ciurma anemica d’una galera infame su cui ratta la morte miete per lenta fame”.

Le quattro meravigliose cantanti ritmavano alcuni di questi brani battendo i piedi sulle assi del palcoscenico con un effetto intenso e sconvolgente che evocava la marcia dei tanti “camminanti” disperati, Alì dagli occhi azzurri che – usciranno da sotto la terra per uccidere – usciranno dal fondo del mare per aggredire – scenderanno dall’alto del cielo per derubare” per insegnarci la gioia di vivere, ad essere liberi e come si è fratelli.

Una parte significativa nell’esibizione l’ha giocata anche la chitarra acustica prestata alle ragazze dal musicista Filippo Ieraci, i cui accordi hanno accompagnato stornelli e melodie d’ispirazione folklorica e popolare.

Il terzo quadro si è chiuso con una dedica alle “donne di Pasolini” e all’Amore nella sua forma più alta che il poeta seppe esprimere con i propri versi negli ultimi giorni incantati di un vivere sconosciuto.

“Jo i sarài ‘ciamò zòvin cu na blusa clara e i dols ciavièj ch’a plòvin tal pòlvar amàr. Sarài ‘ciamò cialt e un frut curìnt pal sfalt clìpit dal viàl mi pojarà na man tal grin di cristal”.

C’è bisogno d’attenzione per ciò che è stato e ricominciare, per questo c’è bisogno di poesia, invocavano le ragazze. Una affianco all’altra si toccavano le mani in un gesto ancora più intimo ed espressivo di quello già descritto, si carezzavano e si consolavano a vicenda con infinita tenerezza e dolcezza “nel sorriso e nel pianto”. Erano gesti solo all’apparenza casuali ma, in realtà, studiatissimi che gli sono stati suggeriti da quella grande attrice che è Aida Talliente che, tra l’altro, molti anni fa lesse integralmente al centro studi Pierpaolo Pasolini in una staffetta a molti voci “Il sogno di una cosa” e fu una folgorazione per tutti i presenti.

Laura Giavon era assolutamente raggiante e giustamente in estasi per la riuscita del progetto che sta portando avanti con le proprie compagne.

Quest’ultimo termine non è stato usato a caso, chi ha assistito allo spettacolo ha percepito nettamente la complicità e la condivisione dei medesimi ideali, affetti, talento da parte delle quattro artiste che sembravano sorbire dello stesso pane e naturalmente dello stesso companatico spirituale.

Attraverso di loro, la parola poetica di Pasolini si faceva carne nelle voci che si intrecciavano, prendeva forma e sostanza; pareva quasi di vederla fluttuare al di sopra delle interpreti, era una proiezione del desiderio di tutti i convenuti. Le voci delle ragazze sono state il tramite tra le dimensioni dell’immaginazione e del cuore.

© Flaviano Bosco – instArt 2023

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