Sta diventando consuetudine degli ultimi mesi riaccendere i riflettori su artisti che dopo un’enorme popolarità in determinati anni hanno continuato la loro attività -comunque profilica- un po’ più lontano dall’occhio di bue del mainstream. Lo abbiamo ben visto tutti con Kate Bush e la sua “Running up the hill” ripresa dalla colonna sonora di Stranger Things, che ha fatto conoscere anche alle nuove generazioni quella che è stata una vera e propria icona negli anni ’80.

Dobbiamo ringraziare il teatro Miela per un’operazione che -seppur in scala locale- si è dimostrata simile: per la prima data dell’edizione estiva 2022 del “Miela Music Live” l’Instabile tergestino è riuscito infatti a portare nella corte del Castello di San Giusto Suzanne Vega: nome che -al pari della Bush- forse può dire poco ai più giovani ma che negli anni ’80 è assurta a fenomeno mondiale, prima con “Left of center” nel 1986 e soprattutto l’anno dopo con i due enormi successi “Luka” e “Tom’s diner”. Da lì in poi una carriera che non ha mai avuto pause e si è impreziosita di collaborazioni importanti.

Quarant’anni dopo, eccola di nuovo “Live” dopo i due anni di pandemia, ed è incredibile vedere come nulla pare essere cambiato da quei (ormai lontani) anni Ottanta: la Vega ha ancora lo sguardo, la naturalezza e la grazia di quella ragazza che -poco più che ventenne- divenne improvvisamente celebre. Sa trasmettere fin dai primi minuti sul palco un’eleganza davvero d’altri tempi, così come d’altri tempi sembra la sua voce: bella, potente e controllata come a inizio carriera. Davvero stupefacente come la sua vocalità si sia mantenuta intatta, senza nessun cedimento dovuto alla lunghissima carriera (che spesso porta gli artisti a sfibrare la propria voce).

Tutto ha contribuito all’atmosfera davvero magica della serata, sospesa tra garbo, leggerezza e un’umiltà che ha saputo creare subito un bel feeling d’empatia tra palco e pubblico. Nessuna scenografia particolare a fare da corollario: solo due microfoni, chitarre e un cappello a cilindro che la Vega ha abbinato al suo vestito nero in alcuni brani. A dividere il palco con lei solo un musicista, quel mostro (in senso buono, ovviamente) di Genny Leonard -già chitarrista storico di David Bowie per gli album Heathen, Reality e The Next Day-, che è riuscito a creare da solo un incredibile muro sonoro e a sostenere pienamente anche i brani con gli arrangiamenti più potenti. Complice anche un service tecnico che ha gestito il sound in maniera impeccabile, e una Vega che per la maggior parte del concerto oltre a cantare ha fatto da ottima seconda chitarra acustica.

A proposito di arrangiamenti, tutti i brani presentati nell’ora e mezza abbondante di live hanno convinto appieno: in linea con la grazia e l’eleganza già citate, tutte le canzoni sono state riarrangiate per dare loro una svolta maggiormente intima, eppure non hanno perso nulla della loro forza originaria né fatto rimpiangere le versioni da studio o comunque “full band”. Un lavoro certosino che ha mostrato la grande sintonia tra i due musicisti sul palco, che hanno saputo tenere sempre le redini delle emozioni che si volevano trasmettere alzando il tono quando voluto (in alcuni momenti è sembrato davvero di avere davanti un’intera band, tanto da domandarsi se ci fossero altri musicisti nascosti da qualche parte dietro le quinte) per tornare rapidamente ad atmosfere più intime e pacate.

Grande anche l’empatia col pubblico che la Vega ha saputo creare grazie a un dialogo pressoché continuo con la platea: praticamente tutti i brani sono stati introdotti da bei aneddoti in merito alla loro composizione, e non sono mancati (principalmente nei momenti delle sue hit principali degli anni Ottanta) piccole gag e sketch ironici in merito al fatto che “finalmente ora tocca a una delle canzoni che tutti voi aspettate, non quelle più recenti e sconosciute”. Ma sono da apprezzare particolarmente gli aneddoti sui suoi brani meno famosi, proprio perché hanno potuto permettere sia di conoscerli meglio, sia di apprezzare ancora una volta l’umanità e la semplicità della Vega: come quando ha saputo legare in modo squisitamente delicato due brani -distanti quasi due decenni- dedicati alla stessa persona rivista dopo tutto quel tempo; o come quando ha saputo ben coverizzare Lou Reed e la sua “Walk on the wild side”, raccontando come sia il primo artista che lei abbia mai visto dal vivo e come questo l’abbia segnata musicalmente per sempre.

Complessivamente una serata davvero vincente, che ha saputo conquistare tutti senza fuochi d’artificio o effetti pirotecnici ma solo grazie alla spontaneità, umiltà ed educazione di un’artista vera. Nella speranza che le mura di San Giusto abbiano saputo far conoscere Suzanne Vega anche ai più giovani, perché è davvero un peccato che un’artista così genuina venga troppo spesso relegata ad un unico periodo della sua carriera.

©Luca Valenta/Instart

 

Share This