Inizia con un teatro immerso in atmosfere tex-mex e country folk la diciannovesima edizione della rassegna estiva Musica in villa. E se qualcuno si domandasse cosa c’entrano le pianure centrali americane con Sedegliano, ameno comune del medio Friuli, gli basterebbe uscire dall’abitato di un centinaio di metri per trovarsi immerso nelle coltivazioni estensive di mais e di soia proprio come nel Kansas o nel Vermont. Proprio da quest’ultimo proviene il folk singer Sam Amidon che è sembrato sentirsi a suo agio durante l’esibizione e per nulla fuori contesto, così come gli ottimi Guano Padano, cow boys di casa nostra.

Prima di parlare dell’esibizione è doveroso però spendere qualche riga per salutare il ritorno di una delle più prestigiose e feconde manifestazioni della nostra regione.

Il teatro di Sedegliano accoglie gli spettatori con discrezione, nel foyer fa bella mostra di se una piccola ma significativa esposizione d’abiti di scena di Pino Clabassi: Basso versatile la cui voce ha affascinato per la signorilità e l’estensione le platee dei maggiori teatri italiani ed europei”, nativo di Gradisca di Sedegliano ebbe una notevole carriera di cantante lirico e di attore.

E’ anche questa un’occasione per conoscere non solo una gloria locale ma una figura non di secondo piano del teatro nazionale. Far conoscere e valorizzare scorci inediti, situazioni e personaggi del nostro Friuli è proprio uno degli scopi della rassegna.

Da ben diciannove edizioni Musica in villa è sapientemente pensata, organizzata e gestita da Gabriella Cecotti, anima e motore del Pic (Progetto Integrato Cultura) direttore artistico della manifestazione e autentica, leggiadra vestale della musa Euterpe.

Il P.I.C. che festeggia le nozze d’argento, è nato venticinque anni fa nel 1994 dalla lungimiranza di sei sindaci del Medio Friuli che si unirono per promuovere luoghi, scenari, paesaggi presenti nel territorio. Esperimento perfettamente riuscito visto che ora i comuni aderenti sono quindici e che il pubblico premia la rassegna sempre con una nutrita presenza.

Per festeggiare tanti ambiziosi traguardi raggiunti sembrava doveroso aggiungere qualcosa ai consueti meravigliosi concerti in antiche corti, ville, parchi e chiese da riscoprire nelle sere d’estate in un’atmosfera di nobili note come recita la locandina degli eventi. In questo senso,Villa è da intendersi nel senso più largo sia di abitazione lussuosa sia di borgo o di villaggio.

Così si sono pensati due incontri conviviali a modi prologo. Aspettando musica in villa 2019 – Conversiamo di musica non è stata però l’unica celebrazione di tanti anni di suggestivi concerti. Davvero indovinata l’idea di offrire al pubblico, ad ogni incontro musicale, delle piccole piantine d’alberi autoctoni forniti dal vivaio forestale regionale “Pascul” di Tarcento.

Per tanti anni Musica in Villa ha simbolicamente piantato i propri semi di cultura nel cuore della pianura friulana e continuerà a farlo. Niente di meglio per celebrarne la feconda attività da parte degli spettatori affezionati che piantare, a propria volta, delle autentiche piante che, dopo aver attecchito, germoglieranno in tutto il loro splendore.

Il compositore ungherese Béla Bartòk così definiva il canto popolare e il suo esecutore: L’albero di canto è il nome che si attribuisce a quei contadini che secondo l’opinione generale di un villaggio sanno a memoria un’infinità di melodie.

Gli alberi sono, insomma, simbolicamente e letteralmente, la nostra memoria e la nostra prospettiva; piantarli significa assicurarsi uno sguardo sul futuro, oltre che un collegamento tra le nostre radici terrene e quelle spirituali e aeree, così come è nella raffigurazione dell’albero della vita tanto caro ai nostri avi che lo vollero affrescato sulle pareti di tante nostre chiese antiche.

Piantare un albero è un azione altamente simbolica; un semplice gelso nero, un acero riccio, un carpine, un nocciolo ci garantiscono un’eredità d’affetti senza paragoni.

E’ ora di lasciar parlare la musica.

Sam Amidon, pur essendo giovanissimo, ha già una carriera molto intensa alle spalle con un buon numero di incisioni, concerti, riconoscimenti. La sua rielaborazione del classico repertorio folk a volte in chiave metropolitana e stradaiola, altre in forma di struggenti ballads western sussurrate al Banjo, hanno attirato l’attenzione di critica e del pubblico. La sua è musica per gli ampi spazi e le pianure abitate da nostalgie e solitudini del lontano.

L’Old American Folk è un linguaggio universale della musica che nel corso dei decenni è penetrato in profondità nel nostro immaginario soprattutto attraverso i tanti film che raccontano la leggenda della frontiera americana (How the West Was Won), quindi la musica suonata da Adimom ci appartiene, in un modo o nell’altro, anche se non abitiamo in Arizona.

Il cantautore imbracciando il proprio Banjo e alternandolo con il violino e la chitarra acustica, studia e ripropone suggestioni antiche che sembrano adattarsi perfettamente al nostro mondo. Dalle cavalcate alla frontiera del Rock più ruvido, alle lamentazioni (Mourning songs) alle work songs, e ancora alle canzoni d’amore e d’abbandono.

Questo particolare tipo di folk dalla attitudine osmotica da sempre la sensazione di voler costruire se stesso nella dimensione sospesa del ricordo e dell’oblio e spesso ci riesce piuttosto bene. La musica ha lo straordinario potere di rigenerarsi e di tornare significativa con il passare del tempo. Si canta di gioie e di dolori ma soprattutto dei secondi. Amidon possiede una voce disincantata e particolarissima con un velo di dolce tristezza ma, al contempo, anche molto, molto dolce.

I Guano Padano hanno fornito un accompagnamento esemplare ed efficace, senza mai essere didascalici; la loro musica ha il sapore di un vagabondaggio senza meta e l’aspetto polveroso di quelle strade che seguono gli argini dei nostri fiumi. Il basso di Danilo Gallo regala una buona profondità al suono mentre le chitarre di Alessandro Stefana lo verticalizzano dandogli una certa spericolatezza soprattutto quando suona, in slide, la lap steel guitar. Onesta, precisa e dalla schiena dritta la ritmica di Zeno de Rossi alla batteria. I Guano padano sanno bene che la strada che unisce la via Emilia al West è solo un breve tratto e passa giusto dietro casa.

Vi è stato spazio anche per momenti più intimi e angosciosi come quando Amidon ha evocato una camminata nel bosco d’inverno in cerca d’ispirazione, con solo una bottiglia di vino come coonforto e, d’un tratto, quando si è nel più fitto della foresta, il sole va giù ed è subito blues che si mescola con la tradizione dei canti degli Appalachi. Non è mancato nemmeno un Gospel della tradizione afroamericana.

Ancora più straziante la canzone (Wedding Dress) che raccontava di una ragazza che passa tutto il proprio tempo a filare e a tessere per potersi confezionare lo splendido abito per il proprio matrimonio che non verrà mai. E’ una storia triste che viene dalle bellissime Green Mountains del Vermont, un luogo incantato dove però è possibile scoprire che il senso della vita è dolce-amaro proprio come i declivi di quei paesaggi, ancora di una bellezza straziante e virginale, ma che contengono incolmabili solitudini come quelle raccontate dall’arte di David Lynch.

Nostalgia e languore tra le corde della chitarra e un vago senso d’abbandono pervadono l’esibizione in uno show senza fronzoli, diretto e compatto; l’incedere a volte si fa più brillante, ma rientra subito nei ranghi quando la musica sembra quasi costretta a procedere più lentamente come un placido fiume nella calura estiva. Più che il suono di Nashville , la band insegue le sonorità delle frontiere del Nuovo messico e del Texas facendo venire in mente i romanzi della trilogia della frontiera di Cormac McCarthy

Tra le canzoni del finale una riguardava i treni e ben sappiamo quanto i ritmi della strada ferrata abbiano influito sulla musica americana, dalle canzoni di lavoro dei tanti poveracci che ne tracciarono materialmente i binari con il duro lavoro delle braccia, a chi ne subiva il fascino al solo ascoltarne il fischio lontano, sognando di poter un giorno salire a bordo e farsi portare lontano finendo per scomparire verso l’orizzonte degli eventi.

Davvero significativo il riferimento alle Protest Songs di Marc Ribot, amico del leader del gruppo che ha recentemente inciso un album di protesta contro l’amministrazione Trump (Songs of Resistance 1942-2018) includendo brani classici della Resistenza di ogni paese. Lo si è potuto vedere in concerto al teatro Pasolini di Cervignano lo scorso febbraio in una serata memorabile.

Altri quattordici appuntamenti seguiranno nella rassegna Musica in Villa, ci aspetta una lunga estate di ottima musica in luoghi meravigliosi e spesso poco conosciuti a pochi passi da casa nostra.

© Flaviano Bosco per instArt

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