Una gibbosa luna crescente splendeva sulla serata finale di un’edizione dai grandi numeri di Grado Jazz, sulla laguna, sul pubblico da tutto esaurito e sugli occhiali da sole del Maestro Paolo Conte.

L’avvocato della canzone italiana ha tenuto uno dei suoi rari concerti sul palcoscenico estivo dell’Isola d’oro con un’affiatata orchestra di undici elementi, regalando al suo pubblico le stesse eterne emozioni di sempre. Un grande applauso va immediatamente ad Euritmica e al suo direttore Giancarlo Velliscig che ha pensato e realizzato questo e gli altri eventi.

Il palcoscenico dell’Arena Parco delle Rose, che ha un nome che sembra tratto proprio da una canzone di Conte, in otto giornate di festival ha visto avvicendarsi stelle internazionali di prima grandezza. Eppure nessuno somigliava nemmeno lontanamente al Maestro.

La sua classe è decisamente inarrivabile e lo vediamo prima di tutto dalle sue canzoni, autentici gioielli incastonati nella storia della musica europea. Come dice in una sua canzone: “Il Maestro è nell’anima e dentro all’anima per sempre resterà…niente di più seducente c’è di un’orchestra eccitata e ninfomane chiusa nel golfo mistico…nel miraggio di quei semplici e di quei soliti che arrivano fin là per vederlo dirigere…”

Grado, 24/07/2021 – Grado Jazz 2021 – Arena Parco delle Rose
PAOLO CONTE “50 YEARS OF AZZURRO” – evento con la collaborazione di Zenit srl – Azalea – Band: Nunzio Barbieri, guitar, electric guitar / Lucio Caliendo, bassoon, percussions, keyboard / Claudio Chiara alto, tenor, baritone sax, flute, accordion,bass, keyboard / Daniele Dall’Omo e Luca Enipeo, guitars / Daniele Di Gregorio, drums, percussions, marimba, piano / Francesca Gosio, cello / Massimo Pizianti, accordion, bandoneon, clarinet, baritone sax, piano, keyboard / Piergiorgio Rosso, violin / Jino Touche, double bass, electric bass, electric guitar / Luca Velotti, soprano, tenor, alto, baritone sax,clarinet – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021

In questi versi, si riferisce a se stesso e al proprio pubblico e non è malcelata ironia o mancanza di modestia ma piena consapevolezza della propria statura d’artista sommo e dell’autentico culto che lo circonda.

Durante una trasmissione radiofonica di qualche anno fa che lo vedeva raccontarsi, rifletteva anche sulle qualità del proprio pubblico e sulla funzione del Maestro. E’ un pubblico che lo ha liberamente scelto tra gli altri e che egli rispetta profondamente e ne è ricambiato con la considerazione e la deferenza che si deve solamente ai grandi. Il Maestro è prima di tutto uno dei grandi poeti del nostro tempo che ha lasciato una traccia profonda perfino nel linguaggio comune.

La forma canzone gli è servita negli anni per convogliare la propria capacità, creatività e spirito d’osservazione . Non poteva che essere il jazz il contenitore delle sue inquietudini con il suo esotismo, il suo essere di frontiera, sempre in cammino e sempre aperto alle nuove contaminazioni.

Un gustoso aneddoto sulla sua giovanile infatuazione per la “musica degenerata” dice molto di lui. Sappiamo bene che il jazz in Italia è stato a lungo considerato astruso, incomprensibile e perfino fastidioso. Conte, invece, faceva parte di quei ragazzotti fanatici con le “cravatte sbagliate” che spendevano tutti i loro soldi in dischi e per seguire i rari concerti che si tenevano nel nostro paese.

Un giorno con un amico si recarono al concerto del grandissimo pianista Earl Hines che si sarebbe tenuto la sera. Arrivarono nel primo pomeriggio e con l’ardore e l’incoscienza della gioventù riuscirono ad entrare in teatro di straforo e a nascondersi dietro le quinte per spiare le prove. Possiamo immaginare l’emozione dei due ragazzi in tutto simile a quella degli spettatori dell’Arena Parco delle Rose di Grado Jazz, il giovane Conte volle andare anche nel camerino di Hines per un autografo.

La grande sorpresa fu che il pianista, in completo relax, lo accolse con addosso solo un accappatoio da pugile, un bicchierone di Whiskey in mano e la pipa in bocca. L’incontro con quel genio del pianoforte fu un’esperienza indimenticabile che lo segnò nel profondo e ritornò molti anni dopo nei versi autobiografici di “Una faccia in prestito” che esprime i suoi sentimenti di allora ma anche quelli di chi ha assistito “adorante” al concerto di Grado Jazz 2021, anche se il brano non era presente in scaletta. “Ho nostalgia di un golf, un dolcissimo golf di lana blu, c’era dentro un ingenuo incantato da un artista fortissimo. Stavi dietro le quinte ingolfato, di swing e di lacrime. Non piangere, coglione, ridi e vai.”

Il poeta adulto si rivolge all’ingenuo se stesso di allora che piange calde lacrime di felicità e piacere assistendo al concerto del suo idolo e lo esorta a prendere coraggio e ad affrontare con coraggio il percorso di vita che lo separa da lui.

Conte, dopo cinquant’anni di carriera musicale, in concerto non si inventa più niente, perché abita già la perfezione; non ha mai cercato di ingraziarsi il pubblico o di “fulminarlo” con qualche tipo di promozione o novità mirabolante. Il suo spettacolo, la scaletta, la scenografia, le luci, l’esecuzione dei brani, la strumentazione, i musicisti ecc. sono algebricamente gli stessi da almeno un decennio. Medesimi gli occhiali da sole, i movimenti delle mani, gli ammiccamenti verso il pubblico durante gli applausi, tutto perfettamente identico, tutto meraviglioso e godibile fin nelle sfumature. E’ il Jazz degli anni ‘30, lo swing delle grandi orchestre e poi Django Reinhardt, gli assoli di sax baritono e una marimba, gli chansonniers francesi, il tango, la milonga, la rumba e poi “Messico e nuvole”. Tutto suonato alla perfezione da un’orchestra che non sbaglia un attacco da anni e che conosce il proprio repertorio senza alcuna esitazione rispondendo ai precisi gesti delle mani del Maestro in modo del tutto automatico e preciso.

Mentre esegue con la sua orchestra “Via con me”, il suo brano più famoso al mondo utilizzato letteralmente da centinaia di spot pubblicitari, sigle televisive e radiofoniche, colonne sonore e via di seguito, si ha la netta sensazione, per come muove le mani e per come “guata”, che tutto quello che lo circonda gli appartenga e sia una sua creazione che controlla e comanda con gli invisibili fili della fantasia. Sono come dipinti dal suo estro di pittore gli orchestrali e tutte le testoline del pubblico, i fonici, gli attrezzisti ed ogni genere di voce.

In quei momenti niente esiste al di fuori della sua sfera d’influenza, niente fuori di se stesso. E’ un creatore di mondi e quando si assiste ad un suo concerto si finisce per farne parte..E’ una prospettiva esorbitante ma perfino il pubblico ad un certo punto capisce di esistere solo in funzione della fantasia e forse anche del capriccio del Maestro.

Paolo Conte è sempre stato un fuoriclasse, un irriducibile, non è mai stato facile parlare delle sue opere personalissime, che con poche pennellate suggeriscono universi. Quello che è certo è che sul palcoscenico, nonostante l’età non più verde, conserva un potere istrionico e magnetico che sembra curvare il tempo verso di se; i sogni e i desideri di tutti i presenti sembravano piegati in una medesima direzione mentre il Maestro con la sua orchestra eseguiva “Max, Diavolo rosso, Rendez vous, Dancing, Sotto le stelle del Jazz” e le altre meraviglie sotto le sue dita con il suo pianismo erratico, dagli accordi spezzati come frammenti di memoria: “Per spiegare ed intuire e capire, Madeleine e se mai ricordare. Tanto, io capisco soltanto il tatto delle tue mani, e la canzone perduta e ritrovata, come un’altra, un’altra vita.”

Flaviano Bosco © instArt

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