Una perla rara e preziosa “Perlasca. Il coraggio di dire no”, lo spettacolo scritto e interpretato da Alessandro Albertin, andato in scena al teatro Nuovo Giovanni da Udine (cartellone Tempi Unici). Un testo intenso, un’interpretazione magistrale, una messa in scena diretta con sensibilità e sicurezza da Michela Ottolini, sostenuta da un efficace utilizzo delle luci a cura di Emanuele Lepore. La produzione del “Teatro de Gli Incamminati” in collaborazione con “Overlord Teatro” e il patrocinio della “Fondazione Giorgio Perlasca” (la citazione di tutte le componenti del lavoro è doverosa) ha riservato ai fortunati spettatori una di quelle serate da ricordare per anni se non addirittura tutta la vita. Questa è prosa, questo è teatro vero, una splendida lezione di storia e di umanità, una concentrazione di emozioni, una sollecitazione alla riflessione sui grandi temi della vita e della storia. Sissignori perché la storia di Giorgio Perlasca fa parte di quella storia minore che non trova spazio sui libri scolastici eppure ha segnato in maniera determinante la vita di tante, tantissime persone. Giorgio Perlasca era un veneto di Maserà, una manciata di chilometri da Padova. Di professione commerciante di carni con una base a Budapest dove gli affari andavano piuttosto bene. E’ il 1943 e Perlasca è accusato di tradimento per la sua mancata adesione alla Repubblica di Salò. Decide così di rimanere in Ungheria. La sua partecipazione alla guerra di Spagna gli è valsa una lettera firmata da Francisco Franco che gli garantisce protezione in qualunque ambasciata spagnola in caso di bisogno. Ottenuto il passaporto spagnolo, Jorge Giorgio Perlasca non rinuncerà a mettere a repentaglio la propria vita pur di salvare quella di migliaia di persone, uomini, donne, bambini ebrei che a Budapest sottrarrà con audacia e un pizzico d’incoscienza ai campi di concentramento. Si finge persino Console e con sprezzo del pericolo sfida con determinazione la sicurezza e ferocia delle Croci Frecciate. Finita la guerra, tornato in Patria, non racconta a nessuno la sua storia. Non se ne sarebbe saputo nulla se una coppia di ebrei, che gli doveva la vita, non lo avesse cercato, prima in Spagna poi in Italia, rintracciandolo nella sua Maserà. Eppure questa storia di toccante umanità e coraggio è rimasta sconosciuta ai più. Non ne ha voluto sapere la politica: una certa sinistra non gli perdonò di essere stato fascista e una certa destra non gli perdonò di aver tradito la Repubblica di Salò per salvare gli ebrei. A dare visibilità alla storia di quest’uomo, il cui nome oggi si trova a Gerusalemme tra i Giusti fra le Nazioni e per il quale un albero a suo ricordo è piantato sulle colline che circondano il Museo dello Yad Vashem, è stato un film (con Luca Zingaretti) e il teatro con lo spettacolo firmato e interpretato da un grandissimo Alessandro Albertin.
Nello spazio ridotto del palcoscenico condiviso con gli spettatori, una pedana e un paio di cubi neri Albertin si concede qualche minuto per verificare la preparazione storica dei presenti (esame brillantemente superato per il passato remoto, silenzio assoluto per un fatto assai recente). La spiegazione dell’attore è semplice: ai tempi dei social non abbiamo più tempo per esprimere pensieri, è più facile cliccare un “like” /“mi piace’ su quanto scritto da altri per metterci in pace con la coscienza. Ecco il primo richiamo: siamo spettatori superficiali e annoiati, stiamo rinunciando a chiamarci dentro alle cose, a partecipare. Il secondo è ad abdicare almeno per 90 minuti ai telefonini: accetta un clik di una persona delle prime file poi chiede di spegnerli, aiuta addirittura i meno esperti a farlo, niente vibrazioni e occhiate agli schermi che quando s’illuminano sono un “graffio all’anima” dell’attore.
Ci vuole un attimo per essere catapultati nella storia. In un serrato monologo polifonico Albertin costruisce una storia piena di personaggi: non ha bisogno di costumi né di artifizi. Una prova d’attore straordinaria. Cambia tono della voce, utilizza con maestria la mimica facciale e basta un taglio di luce giusto, un gesto preciso e l’immaginazione galoppa. Disegna personalità e sentimenti, compone e scompone ambienti con due cubi neri in alcuni passaggi del racconto. C’è tecnica e cuore nel lavoro di Albertin e la storia arriva con il suo carico di dolore, rabbia, determinazione, ribellione pietà. Il ritmo impresso alla narrazione è fluido, mai un’incertezza, mai una caduta. Il coinvolgimento e la commozione sono fortissimi. E’ un’autentica standing ovation (pubblico in piedi, applausi calorosi che non vogliono fermarsi) quella che la platea del Giovanni da Udine regala ad Alessandro Albertin e al suo eccellente, appassionato lavoro.
Uno spettacolo che aveva ottenuto grande attenzione e coinvolgimento nel matinée dedicato a 700 studenti.
Uno spettacolo con le carte in regola per essere inserito nella stagione principale del teatro Nuovo.

Replica al teatro Benois De Cecco di Codroipo – Udine (Stagione Ert – tel. 0432 908467 – mail teatro@comune.codroipo.ud.it) giovedì 16 gennaio 2020.

Rita Bragagnolo © instArt

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