È partito da Trieste con un doppio concerto il breve tour italiano di Patti Smith, ennesimo incontro con l’Italia ed ennesimo abbraccio con un pubblico che l’adora. Una partenza non casuale, scelta da lei stessa che ha tenuto due concerti al Rossetti (i biglietti per il primo erano andati esauriti in una sola settimana, grazie Vigna PR e Teatro Stabile FVG per la seconda chance!) ma ha passato ben quattro giorni in città, con tanto di foto abbracciata alla statua di Joyce, un caffè in Piazza Unità d’Italia nell’atmosfera mitteleuropea della città di Svevo, Saba, Rilke ed anche Kosovel, poeta di Sesana al quale è intitolata una scuola media a Opicina e dal quale ha tratto la prima lettura del suo secondo concerto triestino “Words and Music”, una breve, intensa poesia su ‘un cappotto di parole per stare caldi’, tratto dalla raccolta ‘Carso e Caos’. In quest’ottica anche la scelta del primo brano, “Grateful” per ringraziare Trieste e, specificamente, il pubblico proveniente anche da Croazia, Serbia, Slovenia, Germania, Austria, Cekia e USA.
Non stiamo parlando di una rock star, a questo punto dovrebbe essere chiaro, ma di un’artista a tutto tondo, semplice ma decisa, colta ma non bacchettona, innamorata della vita nonostante i tanti lati negativi della stessa, sia personali che globali, una presenza carismatica che abbiamo seguito ogni volta che è venuta in regione e che fin da oggi vorremmo di nuovo incontrare al più presto.
E questo affetto il pubblico del Rossetti l’ha dimostrato sin dal primo momento, capace di entusiasmrsi nei ritornelli ma ammutolendo nelle strofe, ascoltando parole già note e scolpite nella memoria come le tavole di Mosè: dieci brani sui dodici del concerto hanno almeno vent’anni, ma sono terribilmente validi tuttora perché sognano un futuro diverso per un mondo che non vuole capire. Politici egoisti ed inaffidabili, guerre, inquinamento per colpa dell’uomo, ingiustizia e bisogno d’amore e solidarietà affollano i testi di “Ghost Dance”, “Beneath the Southern Cross”, “Dancing Barefoot”, ecc., come pure quelli di “After the Gold Rush” di Neil Young e “Mother Nature’s Son” dei Beatles, anche’esse in scaletta. E non sono manacati gli ‘aggiornamenti’ al messaggio, con un pensiero per i terremotati dell’Albania e per la sorte di Venezia
Patti Smith è arrivata a Trieste dopo un breve tour sudamericano con date uniche in Brasile, Argentina, Uruguay e Cile, dove ha proposto, più o meno, lo stesso repertorio con l’intera band: perché non in Italia? Sarebbe troppo semplice parlare di costi, perché è già avvenuto più volte, ma forse la scelta è più profonda. Le sue ultime esibizioni italiane hanno visto una formazione sempre più ridotta, essenziale, addirittura ‘familiare’ ed ora un duo con il fido Tony Shanahan, con lei da 25 anni, alla voce, chitarra e pianoforte in un progetto che vede l’alternarsi di canzoni e letture poetiche. Perché? E perché la specifica scelta di città italiane con una particolare vocazione culturale?
Non sarà che il messaggio della band arriva alla ‘pancia’ di un pubblico non molto ‘abituato’ a lei, mentre qui da noi si può fare il passo successivo con un concerto senza orpelli, un messaggio che va dritto al cuore e al cervello? Non sarà che lei, nella sua maturità, non vuole passare per un generico mito rock ma una sorella maggiore ed esperta della vita, una ragazza che non era brava a scuola e ora è una donna che in questi giorni ha ricevuto a Padova una laurea ad honorem nell’università dove (e lo ha detto al Rossetti con orgognio) “ha insegnato Galileo”? Ci piace pensare che sia così, vedere in lei una guida che non impone ma suggerisce, una musa che si offre di ispirare la nostra vita all’insegna di un non banale ‘peace and love’, in un mondo dove la notte è fatta per chi si ama e dove la gente può sognare di avere il potere di dare una mano per un mondo migliore, un girotondo, forse a piedi nudi per scacciare i fantasmi, per una vita che continua dopo la vita. Dal palco del Rossetti ci ha gridato “Believe in it, don’t forget, use your voice!” Ci vogliamo credere… e ci sentiamo più forti!
PS
Per gli amanti dela ‘scaletta’, nel concerto anche “Wing”, “In my Blakean Year”, “Pissing in a River”, “Because the Night”, “Gloria” e “People Have the Power”. Complimenti per la fonica, con un raffinato effetto stereo che ha valorizzato in pieno l’essenziale strumentaazione.
Marco Miconi © instArt
Un grazie a Simone Di Luca per le immagini del concerto.