Replica del 25/03/2023

Nonostante la miseria del nostro tempo il balletto è ancora in grado di illuderci che esista la bellezza più pura, ne ha dato prova puntuale e riuscita il SNG Opera in Balet di Ljubljana mettendo in scena a Trieste l’eterno capolavoro di Prokof’ev nella convincente e innovativa coreografia di Renato Zanella.

Nel linguaggio mediatico attraverso il quale irreversibilmente si massifica la nostra lingua e la nostra cultura si parla spesso e a sproposito di: “Icone del nostro tempo”. Che ci si riferisca ad una particolare marca di detersivo, una scarpa da tennis o ad un’opera di Andy Warhol non fa la minima differenza, ed è proprio un segno dei nostri tempi.

Il dizionario Treccani recita: “Figura o personaggio emblematici di un’epoca, di un genere, di un ambiente.” Per questo se parliamo del tempo che ci divide dagli anni 30 del XX sec, del balletto e dei palcoscenici di tutto il mondo, a ragione, una volta tanto, possiamo parlare di opera d’arte iconica riferendoci al celeberrimo balletto che il musicista russo scrisse in epoca staliniana tra il 1935 e l’anno seguente rifacendosi al celebre dramma di Shakespeare.

Anche se dell’opera del Bardo in Romeo e Giulietta di Prokof’ev rimane ben poco, se non i nomi e parte dell’intreccio, è chiaro che già solo il riferimento alla più celebre storia d’amore di tutti i tempi ha precisi riferimenti simbolici e culturali. Possiamo perfino sbizzarrirci in assurde iperboli e in spericolati accostamenti, per esempio: quando ne guardiamo una nuova messa in scena con una coreografia inedita e pop come quella molto piacevole di Renato Zanella vista al Verdi, non dobbiamo dimenticare che fu concepita e realizzata come opera di sicura ortodossia sovietica proprio nel periodo delle purghe staliniane e con la “Čeka” che nei sotterranei della “Lubjanka” di Mosca faceva gli straordinari per macellare i cosiddetti “nemici del popolo” e della Rivoluzione.

Anche Prokof’ev fu sfiorato dal livore e dai diktat del “Piccolo Padre”, ma se la cavò sempre. Una specie di beffa “poetica” lega l’esistenza del grande compositore a Stalin. Il primo spirò solo poche ore prima del secondo, un po’ come nella vicenda dei due infelici amanti quando Romeo decide di avvelenarsi perché non sa che Giulietta è solo addormentata dal filtro magico e non morta. Stalin e Prokof’ev non si amavano di certo ma le loro esistenze furono indubbiamente legate. Prokof’ev tenne sempre un profilo basso e non fece mai parte della dissidenza e anzi vista la fine drammatica di alcuni suoi colleghi si può anche inferire che magari non fosse del tutto estraneo ai loro arresti.

La messa in scena di Zanella annulla ogni possibile riferimento “sovietico” e traguarda tutto sull’orizzontale di un presente in cui il dramma dei due giovani non è più visto come metafora di un conflitto sociale, ma semplicemente come lo snodo principale di una serie di odi e passioni del tutto umane, troppo umane.

La danza esprime certo ancora grandi sentimenti con un linguaggio che non può darsi in altro modo che con le fibre muscolari nel loro rapporto cinetico con lo spazio che le circonda, ma il contenuto cambia radicalmente rispetto alle altre interpretazioni del dramma shakesperiano. Solo qualche settimana fa, sulle medesime assi avevano avuto luogo le rappresentazioni dell’opera I Capuleti e i Montecchi di Bellini che rovesciava la prospettiva in chiave proto risorgimentale.

Questo non vuol dire per nulla che la rilettura del coreografo veronese non sia politica anzi rappresenta perfettamente il nostro tempo ed è, forse inconsapevolmente, una messa in scena efficacissima delle ipocrisie e della vacuità del nostro agire che è in grado di svuotare di significato anche i sentimenti più puri, sostituendoli con le dinamiche del potere e del mercato.

In realtà, niente di nuovo sotto il cielo della Luna. Anche al tempo di Shakespeare il motivo di ogni storia era la lordura del potere e delle sue seduzioni anche economiche, per le sue brame si uccidevano i figli, si tramava contro i padri e nottetempo si assassinavano a tradimento gli amici più cari.

Non c’è niente da stupirsi perciò se lo stesso Prokof’ev voleva aggiungere un po’ di speranza almeno al finale della storia. Naturalmente, non fu possibile e anche i più moderni Romeo e Giulietta continuano a pagare con la morte il loro essere anticonvenzionali.

Nel 1971, il matematico e divulgatore Roberto Vacca scrisse un testo d’anticipazione nel quale azzardava alcune ipotesi scientifiche sul prossimo futuro che si sono rivelate perfino profetiche e che vertevano sostanzialmente in un’involuzione della nostra società dovuta ad alcune degenerazioni ed eccessi tecnologici incontrollati ed ad un ritorno a canoni medievali. E’ indubbio che le concentrazioni di ricchezze e di specializzazione tecnologica hanno di nuovo messo tutto il potere nelle mani di pochissimi che a livello globale lo gestiscono in modo “imperiale” affidando i propri “feudi” solo a fedelissimi “vassalli” che a propria volta eternano un sistema di controllo che non è così dissimile da quello dei “re fannulloni” d’epoca Merovingia.

Scrive il coreografo Zanella nel libretto di sala:

“Mi chiedo spesso se siamo tornati al Medioevo, solo un mondo un po’ più digitale di quello di allora. Oggi le donne sono emancipate? Le donne hanno davvero il potere? E se lo hanno, onestamente si può dire che non sia più un problema? Le donne continuano a perdere la vita perché vogliono essere libere. Non possono ancora sposarsi o vivere con l’uomo che amano. Credo che a prescindere dalla lontananza dalla storia originale, molte difficoltà rimangano. La storia di Giulietta e Romeo mi ha offerto l’opportunità di concentrarmi sul concetto e sulle domande universali dell’amore e della vita e sulle persone che conosco. Ancora oggi Verona è governata da poche famiglie che controllano le industrie, i media, l’eno-gastronomia, gli immobili, le banche, ecc.”

La rivisitazione del balletto racconta di due scuole di scherma in feroce competizione tra loro. Lo sport nobile per eccellenza viene utilizzato come metafora dei giochi di potere che riguardano le due famiglie che si fronteggiano. Scrive sempre Zanello: “I Capuleti sono conservatori, vicini alla tradizione, e potrei persino dire che il loro modo di pensare assomiglia a quello dei repubblicani (americani ndr) d’altro canto, vedo i Montecchi come una famiglia liberale e aperta degli anni Settanta”.

A livello coreografico è stata di certo una scelta molto efficace che si è coniugata perfettamente con l’irruenza di certi momenti sincopati della meravigliosa partitura piena d’azione ed energia tanto che all’epoca delle sue prime rappresentazioni venne giudicata “indanzabile, formalista e poco popolare”.

La storia trionfale di questo balletto soprattutto a partire dal secondo dopoguerra del XX° sec. ha avuto ragione di quelle prime resistenze tanto che oggi, come dicevamo, rimane un modello per ogni compagnia di ballo nel mondo. Zanello con il corpo di ballo di Ljubljana ha trovato l’equilibrio perfetto tra gli interpreti per sviluppare al meglio la propria creatività che ha risolto in modo innovativo anche le diverse e contrapposte scene di ballo presenti in partitura. Quella a palazzo dei Capuleti è diventata un gala moderno per le “debuttanti” della buona società e quello della piazza del Mercato una scatenata danza in discoteca con tanto di luci stroboscopiche e sgallettate ragazzine che vanno in visibilio per gli eroi della vicenda trasformati in bulli da “Febbre del sabato sera”.

Tutto molto post-moderno e Pop se ha ancora un senso usare queste definizioni, tanto che la presenza di alcuni asiatici nel corpo di ballo ha regalato all’intreccio un’atmosfera da film giapponese di Yakuza, quelli nei quali le varie bande di mafiosi si affrontano a colpi di spada e si finiscono a revolverate.

E’ proprio grazie agli interpreti che il balletto acquista ancora maggiore credibilità, si dimenticano le interpretazioni legnose ed impostate di un certo passato fin troppo accademico per un modo molto più fluido di intendere la rappresentazione e di conseguenza enormemente più difficile fisicamente per i ballerini che, tutti compresi, dalla ballerina di fila ai protagonisti, devono possedere la duttilità e la prontezza di passare in un battito di ciglia da uno stile all’altro e nel frattempo impegnarsi anche nella recitazione più tradizionale. In alcuni momenti, infatti, in questa messa in scena, ricorrono alcuni stilemi del musical di Broadway, in una contaminazione di generi, davvero feconda. E’ ormai inutile e perfino controproducente tenere rigorosamente separati gli stili, il nostro immaginario è ormai del tutto “liquido” e in esso non è più possibile distinguere le “essenze e i sapori”. Per quanto riguarda la danza, in particolar modo, il XX° sec. ci ha lasciato in eredità un corpo assolutamente libero dalle catene delle convenzioni, slegato dalle convenzioni del formalismo e della tradizione paludata e meccanica.

Nel corpo di ballo dell’Opera di Ljubljana quello che colpisce favorevolmente è che i ballerini sono fisicamente eterogenei per struttura fisica, per etnia e anche per come sono stati adattati loro gli splendidi costumi di Alexandra Burgstaller. Quello che prima sembrava disordine oggi ci appare come una più convincente e realistica rappresentazione del mondo multiforme che ognuno di noi vive come individuo singolare e irripetibile; paradossalmente l’opera di Prokof’ev è più artisticamente “popolare” oggi di quando fu creata in pieno “Realismo socialista”.

Quel corpo di ballo, con le dovute differenze e misure, rappresenta tutti noi e non fa più scandalo anzi è molto piacevole vedere una ballerina minuta messa al fianco di una molto più alta e muscolosa, e non ci facciamo più caso se tra le fila ci sono ballerini asiatici, di colore, caucasici o latini. Anche la danza “classica” con il suo arcobaleno di colori e di forme rispecchia nuovamente la nostra società sempre in perenne mutazione con tutti i propri problemi, ma soprattutto con le proprie gioie e tutta la bellezza del mondo.

Applausi e inchini.

© Flaviano Bosco – instArt 2023

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