“Stasera abbiamo fatto comunità”. Così ha chiuso lo spettacolo Davide Toffolo, dopo quasi due ore di canzoni, aneddoti, audio e proiezioni. Ed è probabilmente il modo migliore per descrivere ciò che è “L’ultimo vecchio sulla Terra”, la traduzione sul palco dell’omonimo libro disegnato e pubblicato da Toffolo. Libro che nasce come omaggio e atto d’amore verso Remo Remotti, maestro del leader dei Tre Allegri Ragazzi Morti e grande figura istrionica dell’arte e creatività italiane: laureato in giurisprudenza, in seguito a un lungo viaggio in Perù si appassionò di pittura e in seguito esplorò con grande carica creativa innumerevoli rami di ciò che chiamiamo -un po’ rudemente con una sola parola- arte: oltre a pittore fu attore, scrittore, poeta.

Quella vena camaleontica, fuori dagli schemi, esplosiva, Toffolo (che ha conosciuto Remotti nel 2005) l’ha certamente imparata bene, ed è più che visibile sia nella sua “incarnazione musicale” coi TARM che nella sua carriera come fumettista. E la trasposizione teatrale del suo libro/fumetto non vuole essere da meno: non è un concerto, non è un recital, non è una conferenza. O meglio, è un po’ di tutto questo e anche altro, tanto da sfuggire a ogni definizione.

Si parte da un iniziale warm-up musicale (a dire il vero un po’ furbacchione, tanto per strizzare l’occhio ai fan e accalappiare subito l’attenzione degli spettatori), con delle belle versioni acustiche di alcune hit dei TARM che hanno fatto apprezzare la grande vocalità di Toffolo: l’accompagnamento di sola chitarra fa risaltare tutto il “corpo” e il range di cui l’artista è capace.

Rimessa a riposo la chitarra, si parte per un viaggio che saltabecca continuamente da qui a lì: non tanto come argomenti (è sempre il “pianeta Remo Remotti” quello attorno a cui si orbita, visto però da diverse angolazioni -dal personaggio in sé, alle sue esperienze di vita, all’arte che lo ha ispirato) ma come linguaggi usati. A parte i momenti in cui la voce registrata di Remotti accompagna la proiezione dei fumetti di Toffolo -o meglio, al viceversa, vengono proiettate le strisce con cui il cantante ha voluto illustrare i brani di Remotti letti dalla sua stessa voce- il resto sembra procedere più come una serata al bar tra amici. Quelle serate in cui si ricorda un caro amico che non si vede più da tempo (perché scomparso o perché andato via dalla nostra città) e in cui ognuno porta qualche aneddoto a volte divertente e a volte malinconico, ma sempre pregno si un grande rispetto per una figura che tutti evidentemente amavano.

Ecco, è questo che lo spettacolo lascia più di tutto. Quel “stasera abbiamo fatto comunità” con cui abbiamo iniziato e grazie a cui Toffolo è sembrato più che mai -ci si perdoni la banalità della frase- “uno di noi” cancellando il divario tra palco e platea, artista e pubblico. Poco importa se questo vuol dire aver confezionato uno spettacolo a volte sconnesso, fatto a tranci che a tratti faticano a stare assieme: la simpatia e l’anticonformismo di Toffolo fanno passare tutto in secondo piano e lasciano la voglia a fine spettacolo di dargli una pacca sulla spalla mentre si propone di andare a bere qualcosa assieme al bar, come coi vecchi amici.

Luca Valenta / ©Instart

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