Sì, va bene, l’industria discografica (industria, appunto…) è fatta di ladri, la musica è di tutti eccetera. C’è del vero, ovviamente, e c’erano tempi in cui i bootleg (registrazioni pirata, il nome deriva dai bootlegers, che distillavano whisky illegalmente negli Stati Uniti) erano davvero importanti.
Il concetto di “rubare” musica si presta, peraltro, a varie interpretazioni, a secondo del lato dal quale si “usa” la musica, cioè se da autori o ascoltatori (o, meglio, se da venditori o da – mancati – acquirenti). Solo per abbozzare il problema, molti bootleg venivano (e vengono) stampati “prelevando” la musica alla fonte (ovvero letteralmente rubando registrazioni oppure attaccando qualcosa direttamente al mixer o ai sistemi di registrazione in studio): bene, questa pratica non solo è illegale, ma anche eticamente poco accettabile – si sta pur sempre rubando qualcosa, al di là di quel che si possa pensare sull’eticità dell’industria discografica. Altro caso, invece, riguarda le registrazioni fai da te, come possono essere quelle fatte ai concerti, dove è molto più sottile la sfumatura di legalità o illegalità: intanto se ho pagato il biglietto del concerto ho pagato anche la Siae – quindi l’artista – ma soprattutto in questi casi le registrazioni sono veramente casalinghe e più che l’artista il truffato è chi acquista robaccia inascoltabile.

Pare, comunque, che si possa indicare come primo bootleg Great White Wonder a nome Bob Dylan, la cui diffusione nei primi settanta ha poi spinto la casa discografica del menestrello di Duluth a pubblicare nel ‘75 un album ufficiale di quelle registrazioni, l’altrettanto famoso The Basement Tapes.
Ora, a parte la difficoltà a districarsi tra le varie legislazioni sul copyright, negli ultimi anni stiamo assistendo a diverse pubblicazioni “ufficiali” che sembrano ricalcare quella dei Basement tapes: concerti, inediti, outtakes… le tipologie sono le più svariate – e lo vedremo – ma la domanda è: sono operazioni commerciali o artistiche? Diciamo che tutte hanno, ovviamente, anche un fine commerciale (l’interesse è vendere…), ma spesso la componente artistica è altrettanto importante – ed è di questo, naturalmente, che ci andremo ad occupare.
Partiamo proprio da Great White Wonder: conteneva varie registrazioni (proprio piratate…) di Bob Dylan, da nastri casalinghi dei primi anni 60 a inediti con Johnny Cash e soprattutto alcune canzoni registrate con gli Hawks (futuri The Band) nella tenuta di Big Pink ai tempi del noto incidente motociclistico. Proprio queste canzoni catturarono l’interesse generale (il bootleg veniva passato anche da alcune coraggiose radio) fino appunto a portare alla pubblicazione di Basament tapes – e successivamente nel 2014 alle registrazioni integrali, 139 canzoni, stampate nel vol. 11 delle Bootleg series (che meriterebbero un capitolo a parte).
Ecco allora la transubstanziazione! L’importanza del bootleg (in questo caso decisamente illegale) nel far conoscere qualcosa (in questo caso canzoni scritte per farle interpretare ad altri o magari per semplice divertimento) che poi viene “ufficialmente” edito. Certo, operazione commerciale, ma anche disvelamento di reliquie con la loro aura di sacralità. Vi sono artisti che non amavano i bootleg, soprattutto per la loro scarsa resa sonora, classico esempio Frank Zappa, il cui family trust sta da tempo stampando moltissime esibizioni live che – al netto delle polemiche familiari – se non altro rendono giustizia alla qualità della musica del compositore di Baltimora. Situazione simile, comprese le beghe degli eredi, per Jimi Hendrix, del quale ogni tanto escono dischi postumi che ci fanno gettare i vecchi bootleg per ascoltare finalmente musica e non rumori d’ambiente.
Molti ristampano i concerti per mantenerne i diritti dopo i 50anni dalla pubblicazione, altri artisti ne approfittano per mettere ordine alla loro carriera, come raccontano le serie Archives di Neil Young o di Joni Mitchell. Ci sono, infine, i tanti cofanetti celebrativi dove vengono aggiunti concerti e/o inediti spesso già noti ai fan più incalliti che finalmente possono ascoltare con buona qualità audio concerti mitizzati e solo immaginati o magari ascoltati in bassissima qualità, vedi le molte pubblicazioni soprattutto di gruppi rock e progressive rock degli anni ’70 (Pink Floyd, King Crimson, ELP, Yes…) per non parlare dell’universo della musica jazz, in particolare dagli anni ’60 agli anni ’80.
In questi tempi di musica liquida, il supporto fisico è ormai appannaggio delle vecchie generazioni, essendo le nuove costantemente fluttuanti nel web anche per la fruizione (ascolto mi pare termine non adeguato…) della musica. Naturalmente c’è del buono perfino in rete, oltre a non essere possibile in molti casi ascoltare certe cose al di fuori di essa (ad esempio da qualche anno mi sono interessato alla cantante portoghese Maro, ma i suoi dischi di solo pochi anni fa sono introvabili e non resta quindi che… “seguirla” in rete!). Ma il problema è che “ascoltare” musica sul telefonino non è che sia meglio o peggio del cd (per non parlare del vinile), è proprio un’esperienza diversa, un’altra cosa: è, appunto, pura fruizione, entertainment accompagnamento musicadisottofondo… Qua si sconfina nell’educazione musicale, ma certo sarebbe opportuno abituare i “ggiovani” fin da ragazzi all’ascolto attento e di qualità: l’ascolto attento era la spinta principale dei bootleg (la ricerca delle particolarità, delle diverse versioni live, delle varianti dei testi…), la qualità adesso la possiamo trovare in molte di queste preziose ristampe. Lunga vita agli (official) bootleg.
© Stefano Simonato per instArt