
Grado, 22/07/2021 – Grado Jazz 2021 – Arena Parco delle Rose – PAOLO FRESU “HEROES” Homage to David Bowie – Paolo Fresu, trumpet, flugelhorn, electronics / Petra Magoni, vocals / Filippo Vignato, trombone, electronics; / Francesco Diodati, guitar / Francesco Ponticelli, double bass, electric bass / Christian Meyer, drums – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021
Non ha tradito le grandi aspettative, uno degli eventi più attesi dell’edizione 2021 di Grado Jazz. “Heroes” Homage to David Bowie di Paolo Fresu, oltre ad essere stato un clamoroso successo annunciato di pubblico, ha convinto anche i più scettici per lo stupefacente lavoro sugli arrangiamenti e per il forte impatto dell’esecuzione dal vivo.
Da gran musicista quale è, Fresu ha deciso di utilizzare le strutture melodiche dei brani di Bowie solo come punto di riferimento stravolgendole completamente, in una rilettura creativa che lo tiene ben lontano dai tanti piagnistei delle migliaia di cover band del Duca bianco sparse per il mondo. Il suo è perciò un lavoro davvero originale e personale “solamente” ispirato alle opere del cantante inglese che restano uniche e inarrivabili.
“When I live my Dream” è la canzone con la quale il giovanissimo David Bowie dal 31 luglio al 2 agosto 1969 partecipò al Festival internazionale del disco a Monsummano Terme vincendo il premio per la migliore produzione discografica. Era la prima volta che il cantante si esibiva in Italia, per fortuna non l’ultima (www.velvetgoldmine.it).
Una leggenda giornalistica vuole che sia arrivato secondo dietro a Maria del Carmen in arte Cristina, una cantante catalana di belle speranze che effettivamente vinse il premio per la migliore canzone. Per celebrare questi lontani avvenimenti, anche sull’onda del clamore suscitato dalla prematura scomparsa del cantante, il comune pistoiese qualche anno fa decise di commissionare un tributo alla sua musica a Paolo Fresu. Il progetto vide la luce con il primo concerto proprio nella cittadina toscana (L’uomo che cadde su Mussummano Terme, 21/05/2019) è diventato un triplo vinile esclusivo con tutti i materiali del progetto e uno spettacolo itinerante che ha ripreso a girare dopo il lockdown.
La canzone che non vinse a Monsummano terme era quella che aveva permesso a Bowie il fatidico incontro con il ballerino e coreografo Lindsay Kemp che la adorava.
“Venne a trovarmi in camerino, e fu davvero amore a prima vista. Il giorno dopo ci vedemmo nel mio appartamento di Soho e cominciammo a pianificare tutto quello che avremmo potuto fare insieme. S’innamorò del mio mondo, rimase incantato soprattutto dal mio Pierrot. Cominciò a venire alle mie lezioni al centro di danza il giorno dopo, e preparammo insieme lo spettacolo Pierrot in Turquoise. La mia storia con Bowie è lunga e drammatica, di solito non amo parlarne. Quando lo faccio la reinvento un po’ come voglio, ricordandomi solo i momenti più belli”.
Senza Kemp niente Bowie, niente Fresu a Grado Jazz; qualche volta è meglio arrivare secondi, è una cosa che ultimamente agli inglesi non piace più, chissà perché?

Grado, 22/07/2021 – Grado Jazz 2021 – Arena Parco delle Rose
MICHELANGELO SCANDROGLIO “IN THE EYES OF THE WHALE”
Michelangelo Scandroglio, double bass / Hermon Mehari, trumpet / Michele Tino, alto sax / Alessandro Lanzoni, piano / Bernardo Guerra, drums – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021
Ore 19,30 Michelangelo Scandroglio “In the Eyes of the Whale” Michelangelo Scandroglio: (Contrabbasso), Hermon Mehari (tromba) Michele Tino (sax alto) Alessandro Lanzoni (pianoforte) Bernardo Guerra (batteria).
Uno degli effetti più tragici musicalmente parlando dell’internamento dovuto all’epidemia è che, chiusi ognuno nelle proprie case, molti sedicenti musicisti hanno inciso e prodotto lavori discografici che ad un primo ascolto sono più che accettabili ma che non reggono per niente l’esecuzione dal vivo.
Si sono creati così fenomeni esclusivamente mediatici di un certo richiamo che, messi alla prova del palcoscenico, si rivelano per quello che sono sempre stati: “Aria fritta” o forse, in questo caso sarebbe meglio dire, “un buco nell’acqua”.
Il primo disco del contrabbassista Scadroglio (classe 1996) “In the Eyes of the Whale”(2020), è stato esaltato dalla critica come il prodigio del contemporary jazz italiano. Alcuni critici si sono spencolati addirittura in oscuri e insostenibili collegamenti con Charlie Mingus e Keith Jarrett. Il contrabbassista con quest’aura da profeta degli inconsolabili si è presentato al numeroso pubblico del Parco delle Rose.
Se la rivoluzione del jazz italiano si chiama Scandroglio, stiamo freschi. Le cosiddette novità contenute nel cd d’esordio erano già vecchie quando sono state incise e sono sembrate stantie dal vivo. I brani, tutti composti dal leader che ha tenuto a specificarlo più volte, sono stati eseguiti in modo pedissequo e sono apparse prive di una propria originalità. Le canzoni sono costruite sulle medesime sequenze ritmiche; quattro colpi sulla prima corda, quattro colpi sulla quarta, con progressioni ritmiche che inizialmente appaiono banali e inefficaci ma che alla lunga si rivelano didascaliche e quasi inespressive, qualcuno ha definito tutto ciò come “riff minimali e reiterati” oppure “unisoni ritmici”. A queste si affiancano i ritmi martellati sul pianoforte cui s’aggiunge il siparietto dei fiati, il tutto sostenuto dalla batteria rockeggiante e sempre fuori misura, in una sconsolante povertà armonica da dopolavoro ferroviario. Sul disco la post produzione, il missaggio, la presenza dei due super ospiti, Logan Richardson con il suo sax tenore “spiritato” e Peter Wilson con la sua chitarra “garage”, fanno la differenza.
Sempre i soliti critici di cui sopra hanno parlato di ispirazioni post-rock, stoner, di prog, minimal, new wave tutto sotto l’insegna del jazz che in realtà c’entra ben poco. E non bastano alcuni validi virtuosismi del trombettista, qua e là, per risollevare un paesaggio sonoro sterile e ripetitivo, ancora più affossato dagli accenni esecutivi scolastici del sax alto. L’oscuro progetto è stato presentato facendo riferimento ad un occhio di balena.
Come dichiarato dallo stesso contrabbassista in una recente intervista al mensile Musica Jazz: “Il mistero è importante nella musica. C’è un significato di fondo. Per questo disco però ho preferito lasciare tutto all’oscuro lasciando liberi gli ascoltatori di vederci quello che loro stessi ci vedono e ci sentono”.
Subito la fantasia di qualcuno è andata alle imprese del capitano Achab nel capolavoro di Melville oppure all’occhio della balena spiaggiata del racconto di Sepulveda o ancora al supremo capolavoro con carcassa di cetaceo di Béla Tarr “Le armonie di Werckmeister” tratto dall’altrettanto immortale “Melancolia della resistenza” di Lázló Krasznahorkai.
Dopo aver ascoltato il concerto ci si convince che non è niente di tutto questo, non si tratta di Moby Dick o dell’occhio spento di un suggestivo mostro ungherese ma della più nostrana e tutto sommato innocua balena di Pinocchio che poi era un pescecane, ma fa lo stesso sempre di una fola si tratta.
Ci risentiamo tra vent’anni quando il gruppo sarà meglio rodato; in caso, lo scrivente sarà contento di essersi sbagliato nelle valutazioni e di aver sottovalutato un autentico fenomeno. Staremo proprio a vedere…

Grado, 22/07/2021 – Grado Jazz 2021 – Arena Parco delle Rose – PAOLO FRESU “HEROES” Homage to David Bowie – Paolo Fresu, trumpet, flugelhorn, electronics / Petra Magoni, vocals / Filippo Vignato, trombone, electronics; / Francesco Diodati, guitar / Francesco Ponticelli, double bass, electric bass / Christian Meyer, drums – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021
Ore 21,30 Paolo Fresu “Heroes” Homage to David Bowie.
L’iniziale, comprensibile scetticismo dei fan di Bowie davanti ad un’operazione simile passa immediatamente in secondo piano non appena il gruppo e il suo leader attaccano una stranissima versione di “This is not America” tutta giocata su ritmi drum’n’bass che mettono in risalto la straordinaria ritmica di Christian Meyer, già funambolico batterista di Elio e le Storie tese e di Francesco Ponticelli, solido e affidabile, al contrabbasso e al basso elettrico. Certo i suoni sono spaesanti ma il pezzo convince fin da subito. Si passa subito a “Rebel Rebel”, iconica hit generazionale stravolta, destrutturata e opalescente attraverso la tromba di Fresu completamente “effettata” tipo vocoder davvero inquietante. Un altro effetto scenografico notevole è quello di semplici colonnine luminose che disposte sul palco ed accese alla bisogna regalano profondità e prospettiva al palcoscenico, un’altra magia del mago delle luci di Fresu, Luca De Vito.
Di inquietudine in inquietudine si passa dalla straziante “Where are We Now” all’irriconoscibile “Starman”. Sono brani perturbanti nei quali non è facile orientarsi; guida sicura appaiono i luminosi interventi di Fresu, fiamme da seguire anche quando duetta con l’ottimo trombonista Filippo Vignato, essenziale anche ai live electronics.
Il vero capolavoro della serata è però fuori di ogni dubbio lo strumentale “Warszawa” dal album Low del 1977, punto di svolta della musica rock, anello di congiunzione tra le visioni della Kosmische musik (le porte del cosmo che stanno su in Germania), del nascente punk, della New Wave, del post rock e di tutte le felici derive elettroniche degli ultimi quarant’anni. Basti dire che i Joy Division di Ian Curtis prima di scegliere il loro definitivo sinistro nome si chiamavano Warsaw in onore a questo brano e chi vuole intender intenda.

Grado, 22/07/2021 – Grado Jazz 2021 – Arena Parco delle Rose – PAOLO FRESU “HEROES” Homage to David Bowie – Paolo Fresu, trumpet, flugelhorn, electronics / Petra Magoni, vocals / Filippo Vignato, trombone, electronics; / Francesco Diodati, guitar / Francesco Ponticelli, double bass, electric bass / Christian Meyer, drums – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021
Il drumming spericolato e complesso di Meyer tesse un substrato ritmico sulla base del quale gli altri musicisti costruiscono le loro disarticolate, dissacranti riflessioni sul sottotesto di Bowie pensato nel castello di Hérouville vicino Parigi e rifinito negli Hansa Studios di Berlino ad un passo dal Muro grazie alle strategie Oblique di Brian Eno. Fresu e i suoi musicisti riescono ad appropriarsi in modo notevole, originale e affascinante di uno dei brani più sacri della musica contemporanea. Va dato loro merito. Qua e là nell’esecuzione sembrava di sentire lo spirito dello sciamano elettrico Miles Davis nei sortilegi dei suoi brani più lisergici e indiavolati. Non capita spesso.
Si susseguono i brani e le prove solistiche dei musicisti; splendido l’arpeggio di Ponticelli in “Life on Mars?”. Intrigante l’intervento di Diodati in “Little Wonder” che precede di poco quello di Meyer alla batteria da Classic Hard Rock efficace e con un gran lavoro di pedale sulla grancassa.
Il gruppo trascinato dal suo cosmonauta si inerpica in una lunga rilettura di “Space Oddity” veramente coraggiosa che fa mancare il fiato. Non manca di certo al trombettista che inesausto colora di magia ogni brano utilizzando molto spesso il flicorno ed ogni oggetto possibile per modificare i suoni delle sue labbra. Quarant’anni di palcoscenico, di concerti e centinaia di incisioni non sono stati invano.
“Blackstar” è il titolo del brano e dell’album che Bowie fece pubblicare a due giorni dalla sua “transumanazione”, è un lavoro criptico, scuro, difficile, alchemico, stregonesco, meraviglioso che pochi fino ad ora avevano avuto il coraggio di affrontare. Solo un artista come Fresu poteva riuscirci rendendo l’atmosfera funebre della composizione in modo rispettoso e al contempo creativo.
Quasi per contrappasso il brano immediatamente seguente che chiude il concerto è la celeberrima “Let’s Dance” in versione elettronica tecno spinta che tutto il pubblico canta ritmando con i battimani. Usciti di scena nell’entusiasmo generale, prima del lungo bis, Fresu è rientrato in scena e da vero galantuomo ha esortato il pubblico a ringraziare e a rivolgere un pensiero ai tanti lavoratori dello spettacolo che dietro le quinte allestiscono, montano, trasportano i palcoscenici, le strutture e quant’altro, senza di loro nemmeno il migliore dei musicisti potrebbe esibirsi. La mala-gestione dell’emergenza epidemica ha reso loro la vita impossibile, sono veri “Heroes” come quelli di Bowie. E’ proprio con quel brano che si è concluso l’immaginifico concerto del trombettista di Berchidda “Stardust” e dei suoi Spiders from Mars.
P.S. Si perdonerà ma della performance vocale e attoriale di Petra Magoni lo scrivente non se l’è sentita di scrivere alcunchè, lo farà qualcun altro meno emotivo e più pacato. Scusate ancora.
Flaviano Bosco © instArt