Lo si è detto molte volte ma fa bene ripeterlo ancora: le limitazioni anti-Covid hanno avuto un fortissimo impatto sui teatri italiani. La capienza ridotta (che significa minori introiti), unita alla volontà di portare sempre sul palco proposte di altissimo livello, poteva portare solo due risultati: lo stand-by con una chiusura temporanea, o il tentativo di “aggirare l’ostacolo” e ingegnarsi per trovare un buon punto medio tra i due estremi in ballo.
Come sempre sottolineato fin dalla prima conferenza stampa di stagione, il Rossetti ha da subito abbracciato la seconda opzione, ripartendo con entusiasmo e senza lasciarsi abbattere, rincuorato anche dal calore del pubblico triestino. I risultati di questo modo di pensare e fare non si sono fatti attendere, con un inizio stagione che ha portato (e porterà) sul palco ben tre produzioni dello Stabile stesso. Dopo l’ottimo successo de “La pazza di Chaillot”, venerdì scorso abbiamo potuto assistere al secondo tassello di questo trittico: cambio totale di genere, dalla prosa alla musica, per dare spazio a quattro grandi cantanti. Non scelti a caso ovviamente, ma uniti da un “fil rouge” che lo stesso titolo suggerisce: si tratta infatti di quattro grandi voci nostrane (Filippo Strocchi, Veronica Appeddu, Laura Panzeri e Gianluca Sticotti) che nel corso della loro carriera sono diventate grandi star del musical internazionale, ricoprendo ruoli da protagonisti in tutta Europa.
Diciamolo subito: la serata è stata un grande successo (entusiasta il pubblico) e non solo per la innegabile e straordinaria qualità delle quattro voci, tutti a proprio agio in ognuno dei brani proposti (e molto “democratici” nella scelta, con lo stesso spazio lasciato a ciascuno dei protagonisti). Ciò che ha saputo dare allo spettacolo una marcia in più, elevandolo dallo status di “solito” canzoniere da musical, è stata la freschezza quasi sbarazzina data al tutto.
Innanzitutto la scelta dei brani: per quanto fosse in parte intuibile vista la formazione “europea” dei protagonisti, è stato comunque estremamente bello ascoltare un programma che si è discostato in larga parte dalle solite scalette che attingono a piene mani sempre e quasi esclusivamente dai musical di Broadway; e anche quando ha strizzato l’occhiolino a quei palchi lo ha fatto con musical quasi “di nicchia”, cioé non i soliti “mostri sacri” rappresentati in ogni evento del genere. L’unica piccola eccezione è stato il primo medly, dedicato al celeberrimo “Evita”, ma subito dopo si è passati a nomi meno noti (ma non per questo di minor qualità) come “Waitress” di Sara Bareilles. E -come già detto- largo spazio ai musical di stampo europeo, dal famosissimo Notre Dame de Paris a opere nate nell’area austro/tedesca, come “Elizabeth” o “Tanz der vampire”. Molto apprezzabile lo spazio dato a “Hamilton”, musical molto recente (la prima rappresentazione è del 2015) e ancora poco conosciuto da noi.
Un programma che ha quindi alternato l’italiano all’inglese e al tedesco, per un bel mix sonoro che per i melomani ha potuto essere l’occasione per gustare quando anche solo le differenti pronunce e suoni tipici di ogni lingua abbia un differente impatto una volta musicato. Volendo trovare a tutti i costi un piccolo difetto, è stato un peccato non poter disporre di sotto/sovratitoli o di un libretto con tutti i testi, in modo da poter assaporare ancor più anche i brani negli idiomi non conosciuti.
Freschezza, si diceva. Il secondo elemento fondamentale per questo effetto è stata la presenza del “conduttore” Davide Calabrese, per l’occasione “prestato” dagli Oblivion (che rivedremo sul palco del Politeama a Dicembre) e che è stato semplicemente delizioso nel dare ritmo alla serata, con un’ironia sempre intelligente e mai volgare. Sia nelle presentazioni generali dello spettacolo e dei vari brani che -e soprattutto- in quelle dei vari cantanti, con delle bonarie prese in giro sui “punti oscuri” del loro passato (come l’aver recitato in una telenovela argentina). L’unica parentesi che forse ha stonato un pò è stata l’introduzione iniziale, incentrata sul paragone tra “italia cattiva” e “altri paesi buoni”, probabilmente volutamente esagerata ma un pò populista in tale esagerazione.
Complessivamente una serata che ha davvero convinto sotto tutti i punti di vista, sapendosi distaccare dai classici showcase di cantanti, spesso troppo asettici e impersonali. E che ha saputo di conseguenza coinvolgere e catturare il pubblico, creando un’atmosfera di complicità con la platea i cui applausi finali sono stati il perfetto riflesso.
Vu lasciamo con una piccola photogallery della serata e con l’augurio che lo spettacolo -in anteprima nazionale- possa portare questi talenti anche su altri palchi italiani, per comprendere (e riappropriarsi di, anche se solo per una sera) il patrimonio artistico che spesso ci lasciamo sfuggire.
Luca Valenta / ©Instart