Omara “Bombino” Moctar (chitarra, voce) Illias Mohamed (chitarra, voce) Djakrave Youba Dia (basso, voce) Corey Wilhelm (batteria), Mohamed Araki Eltayeb (tastiere)     

Nova Gorica/Gorizia 2025 è da qualche mese una realtà straordinaria che rimette al centro dell’Europa una meravigliosa frontiera culturale che per troppi anni è stata considerata solo un confine. La capitale culturale Mitteleuropea è sempre stata uno straordinario luogo d’incontro tra culture, lingue e tradizioni le più diverse; naturalmente le principali sono state quella slava, latina e germanica, ma molti altri mondi si sono sfiorati e conosciuti in quell’area solcata dall’Isonzo/Soča/Lusinç.

Glasbe Sveta/Musiche dal Mondo è una splendida iniziativa culturale transfrontaliera che da anni propone incontri musicali di eccezionale qualità sotto l’egida del Circolo Controtempo.

Il più recente concerto del chitarrista Bombino è stato organizzato la scorsa estate in collaborazione con Sexto ‘Nplugged, un’altra realtà musicale, questa volta della destra Tagliamento, ha portato in Regione FVG concerti e suoni dai più imprevedibili universi creativi.

Decisamente opportuna la location d’emergenza del concerto il “centro sociale” Mostovna di Solkan (Slo). Verso sera su Nova Gorica e su tutta la zona limitrofa si è scatenato un autentico fortunale rabbioso di nuvole nere, nere. Un temporale estivo come quelli cui ormai siamo abituati, che promettono disastri con il vorticare delle loro celle e poi puntualmente scaricano devastanti bombe d’acqua.

Un clima esattamente opposto a quello dell’Alto Niger attraverso il quale si muovono i Tuareg. Non è proprio così, la furia e la maestà del vento burrascoso la conoscono anche a quelle latitudini. Non è un caso se l’album Agadez (2011) comincia proprio con il soffiare del Harmattan dal Sahara verso il Golfo di Guinea.

Certo è un vento completamente diverso da quello che porta le nubi oltre il Monte Santo e il Sabotino. Quello è in grado di raderti l’anima come carta vetrata, questo può strappartela “e portartela via come fosse fatta di stracci”ma il risultato è decisamente il medesimo.

Il desert blues africano non è disimpegnato e godereccio come quello californiano, dai Kyuss in poi. La cultura tuareg che l’innerva, è ribelle per definizione e rivendica la propria identità culturale e politica.

I Tuareg si definiscono “Imajeghen” che significa “Uomini nobili e liberi”. Sono, infatti, nomadi, la loro cultura è Amazigh (Berbera) e li distingue nettamente da quella dominante araba che generalmente li discrimina.

Per gli Amazigh l’espressione musicale è tradizionalmente una forma di lotta. Esattamente come il blues, più prettamente afroamericano, è un grido di dolore che origina dalle sofferenze di un popolo sradicato dalla propria terra e condannato alla schiavitù e alla segregazione razziale, così la musica di Bombino e degli altri ribelli del deserto non vuole solo intrattenere o divertire, ma vuole soprattutto agitare le coscienze, far riflettere e muovere verso la difesa e il diritto all’autodeterminazione dei popoli, in particolare quello Tuareg.

Il blues di Bombino è ripetitivo, ossessivo e scarno, materico e polveroso, è uno scongiuro o una preghiera. Sono suoni che sanno però anche cullarti con un incedere lento e flemmatico, ma che immediatamente possono condurti in rotta di collisione con la musica d’intrattenimento mainstream e commerciale. La sua è una versione dei classici accordi blues scarificata, abrasiva e arcaica, che crea un fecondo corto circuito tra la tradizione del Delta del Mississippi e quella del Sahel giù fino Golfo di Guinea.

Per la musica pentatonica d’Occidente nient’altro che il ritorno all’origine e un nuovo riverbero di quelle vibrazioni che hanno dovuto forzosamente attraversare l’Atlantico, a causa della diaspora, per poi ritornare sulle vie carovaniere che partono e conducono al rock internazionale.

La chitarra elettrica con i suoi timbri psichedelici e la sue distorsioni acide, soprattutto se tribale e ritmica nei suoi riff, corrisponde alle sonorità e alle cadenze dei più diffusi strumenti africani originari come la Kalimba, la Kora, il Bolon bato e i tanti cordofoni diffusi nel continente sotto e sopra la linea dell’equatore.

Dichiaratamente Bombino non ha tratto ispirazione solamente dai grandi musicisti africani contemporanei come Chet Boghassa, Ali Farka Toure, Abdallah Oumbadougou, ma anche dal grande genio di Jimi Hendrix o di Mark Knopfler. Little Wing del chitarrista di Seattle e Sultans of Swing dei Dire Straits sono state due hit sulle quali ha modellato la sua tecnica e le sue tonalità.

Nel concerto al Mostovna presentava “Sahel”, il suo ultimo lavoro uscito a settembre del 2023, atteso seguito di “Deran” (2018), album che ha fatto di Bombino il primo artista nigerino nominato ai Grammy per il Miglior World Music Album.

Il Mostovna a Solkan è decisamente un luogo diverso da quello del nobile castello di Kronberg previsto inizialmente per l’esibizione. E’ un capannone di una periferia piuttosto squallida che ha avuto tempi migliori. Era a ridosso del posto di frontiera tra Jugoslavia e Italia, spaccato in due dalla cortina di ferro, poi trasformato dalla storia da posto di frontiera in non luogo pressoché inutile.

Un luogo decisamente adatto per concerti di piccolo calibro, ma di grande e sicuro impatto emotivo, da quelli raccolti e intimi fino a quelli devastanti e assordanti.

E’ stata la location perfetta per il concerto del chitarrista del Desert Blues in arte Bombino.

Mentre fuori il dio del tuono si scatenava con il suo Milnir, dentro, accalcati l’uno sull’altro, sudavano gli amanti della musica del Sahel. Negli ultimi decenni i suoni del deserto hanno avuto un impatto davvero rivoluzionario su quello che resta del Rock.

Un’ovazione ha accolto i musicisti sul palco: due percussionisti con una zucca, tamburo di pelle di capra, chitarra classica ed elettrica, caftani, in un ambiente decisamente sudato, con il pubblico compresso e carico sotto il palco a pochissima distanza dagli artisti.

Nonostante la calca si muovevano tra il pubblico, flessuose ed eleganti in una danza, alcune ragazze slovene che sembravano “stelle danzanti” come solo la Mitteleuropa sa ancora immaginare e sognare.

E’ una musica semplice, percussiva e ritmata come le più belle cose che abitano il nostro cuore. Possiede e trasmette il sacro pagano degli spazi aperti e sconfinati dove la chioma dell’ultimo albero, in chilometri di piatta aridità, e la sua ombra diventano il fulcro della comunità che da dove si raccontano le antiche storie e dove corrono le memorie dell’oralità dei megasecoli.

Anche in Slovenia esisteva la tradizione arcaica di radunare gli anziani sotto i grandi alberi di tiglio. E’ un’usanza che fa scomparire i confini delle epoche e dei tempi rendendo le frontiere arborescenti.

“Cambiano i regni, le stagioni, i presidenti, le religioni, gli urlettini dei cantanti”…come suggeriva Battiato che di deserto se ne intendeva, ma le emozioni rimangono sempre tali e quali. I brani di Bombino hanno una loro forma assolutamente tipica. La chitarra chiama le percussioni con accordi ripetuti, gli altri strumenti rispondono, i suoni con le loro suggestioni continuano così a sovrapporsi e ad inseguirsi in una continua, progressiva accumulazione.

MOTIV 11

Quando si è instaurato un dialogo proficuo tra la carne e il sangue interviene la voce che, nostalgica e sussurrata, racconta di una dolcezza che è sempre necessario guadagnarsi con grande fatica e sudore, della quale non si riesce mai a godere se non nell’anelito e nel ricordi. La musica procede per frammenti con frasi sonore che non hanno lo scopo di riempire lo spazio che le circonda, è troppo vasto l’orizzonte del deserto nel quale imporre i suoni.

Significherebbe solamente disperderli, non si costruiscono cattedrali sulla sabbia, “Castles made of sand”. Non c’è un inizio e una fine e nemmeno una direzione, c’è solo “coazione a ripetere”, insistere, riprovare, cadere, rialzarsi, nella musica così come nella vita. Il deserto non si può ingannare e nemmeno vincere, è sempre lui il più forte, ha tempo e pazienza.

E’ un mare che è tutta superficie ed estensione, ancora più misterioso di quello dal quale emerge il Leviatano. La saga letteraria e cinematografica di Dune ha sfruttato a fondo le vastità immaginarie di quei luoghi di fantasia che tanto ci suggestionano.

Bombino e i suoi musicisti con le loro esibizioni restituiscono al pubblico occidentale un immaginario degli spazi aperti che l’eccessivo amore per il cemento armato ha cancellato.

Sono suoni e ritmi che finiscono per stordirti, se la ride sotto i baffi il signor Goumour Almoctar aka Omara “Bombino” Moctar.

Nel secondo set imbraccia la chitarra elettrica. La batteria e il basso fanno la ritmica. Il discorso si fa decisamente più rockeggiante e urbano. Bombino asfalta il deserto con le sue distorsioni e ci corre sopra con il suo pick up, alimentato a dinamite e rock’n’roll. Accelera e spinge sui ritmi che rotolano e girano su se stessi in un infinito ruotare . A volte sembra di distinguere un po’ di funky destrutturato e torrido. Un fan africano non resiste e sale sul palco per esibirsi in una folle danza tra i musicisti. Molto convincente anche un lungo strumentale. Il bis lo fa solamente con la chitarra elettrica, il pubblico applaude e danza per tutto il tempo in un’esaltata, sudata torcida.

Thank you Bombino!

Flaviano Bosco / instArt 2025 ©