Si è conclusa nel migliore dei modi la rassegna Estensioni Jazz Club Diffuso della Slou Società Cooperativa che ha portato sui palcoscenici più insoliti del nord Italia oltre 70 straordinari musicisti, in esibizioni davvero uniche e memorabili.
E chi l’avrebbe detto che sarebbe stato così bello trovarsi a Pordenone in pieno inverno in un locale che nella fantasia potrebbe ricordare il Bob’s Country Bunker per ascoltare i “Good Ole Boys” di un Masterchef della televisione “in missione per conto di dio” proprio come i Blues Brothers.
Anche se, a dire il vero, in alcuni non mancava un certo scetticismo, tutti i presenti erano pronti a orecchie spalancate, pronti per una gran scorpacciata pre-natalizia di ogni ben di dio.
Alla fine tutti se ne sono tornati alle loro case sazi, pasciuti; niente bistecconi o succulenti hamburgers però, solo tanto ottimo bluegrass e country folk in perfetta salsa barbeque.
Stetson calzato, cowboy boots e si comincia con fisarmonica a bocca, banjo, contrabbasso, due chitarre, voce e cori il tutto condito con “Troppa America sui manifesti” come dice il poeta.
E’ subito “Rock me Mama”, un country-folk che fa subito pensare a una lunga strada che si perde verso l’orizzonte, sulla quale fila via dritto come una spada, un gran camion tutto cromato e un qualche migliaio di chilometri sul cassone.
Bastianich e i suoi musicisti sostengono d’aver fatto rifornimento nel locale del Masterchef per tutta la mattinata “pompando”, nei loro capienti serbatoi, vino Friulano, ribolla gialla, Chardonnay e frico come carburante; è chiaro che il tasso alcoolemico è al giusto livello per garantire un’allegria di concerto.
Il Bluegrass si sviluppò a partire dagli anni della Seconda Guerra mondiale da una fusione della musica degli immigrati scozzesi, irlandesi e inglesi favorita dal collante dell’eredità nera del gospel e del blues rurale. E’ uno stile musicale generalmente disimpegnato, adatto ai balli campestri o alla grande sala di un locale di provincia per coppie ballerine soprattutto di origine anglosassone.
Il miracolo fu possibile in un luogo particolarissimo per la cultura americana come la regione dei Monti Appalachi. Lo stile musicale è ibrido e si basa sulla contrapposizione dello strumento solista a tutti gli altri. Senza schemi fissi, di volta in volta, uno strumento scalza gli altri nella riproposizione del tema principale in un continuo alternarsi molto ritmato che ha lo scopo preciso di esprimere la gioia e l’allegria della danza di coppia o in gruppo in scenografiche quadriglie.
Proprio a partire da quelle tradizioni musicali di matrice popolare il grande compositore americano Aaron Copland scrisse la sua opera Appalachian Spring che conferì dignità e riconoscimento a tutto il genere, anche se, a dirla tutta, l’intento dell’autore era quello di celebrare la vita dei pionieri e la primavera.
Bastianich si sente un figlio adottivo del Friuli anche se è un istriano americano con una band di napoletani veraci; riesce a tenere insieme questa sua identità plurima annaffiandola con corpose libagioni e pizzicando le corde della sua chitarra e non c’è dubbio che l’operazione gli riesca per il meglio, è una pietanza dagli elementi ben calibrati con quella giusta dose di spezia che rende tutto più piccante e sapido.
I brani corrono veloci lungo le strade del west incontrando immediatamente il mito di Jesse James, il bandito buono e ribelle, la grande rapina al treno (The Great train Robbery) e il suo leggendario assassinio da parte del vigliacco Robert Ford (The Assassination of Jesse James by the coward Robert Ford) come nei film e in qualche migliaio di canzoni, un autentico pezzo di storia americana.
La band di Bastianich è di cow boys napoletani che magari capiscono poco del cibo e del vino friulano come dice il Masterchef ma che di certo sanno suonare e la musica ce l’hanno nel sangue; in fatto di ritmo non sono secondi a nessuno, pistoleri partenopei fuoriclasse. Pierpaolo Provenzano (voce e chitarra acustica) Enrico Catanzariti (Batteria e voce) Rolando Gallo Maraviglia (Voce e contrabbasso) Alfredo D’Ecclesiis (Voce, armonica) Michelangelo Bencivenga (Voce e Banjo).
Nella colonna sonora del fantastico film dei fratelli Coen: “Fratello dove sei?” (O Brother, Where art Thou?) il brano più significativo è di certo I’m a Man of constant Sorrow, un traditional rifatto migliaia di volte tra gli altri anche dall’immenso Bob Dylan.
E’ un brano che da solo riassume tutta la storia del folk americano dal Myflower dei Padri pellegrini alle Tesla di Elion Musk.
Davvero ottimo con l’armonica a bocca D’Ecclesiis, napoletano verace sulle strade del Tennessee che sa accompagnare perfettamente i ritmi scatenati degli altri musicisti aggiungendo come ingrediente quel tanto di allegre-nostalgia che fa tanto “hobo on the railroad” sferragliando nella prateria.
Non manca un rimando alle danze dei nativi americani in Federed Indians (indiani piumati). Un brano gioioso tra nostalgie e sorrisi del West Virginia nel quale il veloce banjo di Bencivenga la fa da padrone.
“This good man” è un brano originale della band, con annesso video che gira sulle principali piattaforme, che racconta di un periodo difficile della vita del Masterchef, sia dal punto di vista personale sia professionale, nel quale sentiva il bisogno di rinascere e cambiare vita, forse anche per questo ha deciso di lasciare il fortunato programma televisivo tra padelle e ricette dopo ben otto stagioni. Il pezzo è di certo molto orecchiabile ed energetico.
Bastianich forse non ha una voce indimenticabile ma sa divertire e non si dimostra per niente arrogante. E’ molto distante dal personaggio televisivo che interpreta, la sua è una musica onesta fatta con il cuore insieme ad una band solida e ben rodata. Cosa volere di più?
In “The girl I love don’t pay me no mind”, (la ragazza che mi interessa non pensa a me) si parla della solita storia di tutti con quella del primo banco, la più carina la più cretina, cretino tu…che filava tutti meno che te. Certo i contadini americani degli Appalachi sono un po’ più rudi del buon Venditti ma il concetto è il medesimo: stemperare il romanticismo e la delusione d’amore in un bel po’ di buona musica e alla salute con un buon bicchierone in mano.
Tanto sappiamo bene che è impossibile fermare le cose, quando tutto sembra rovesciarcisi addosso come una cascata non possiamo arginare la sfortuna avversa, a volte dobbiamo semplicemente accettarla e lasciarla scorrere, proprio come si dice in Stopping Water Falls, nuovissimo pezzo scritto pochi mesi fa che ci insegna ad uscire dai momenti brutti a ritmo di musica.
Davvero coinvolgente “Whisky in the jar” tipica del North Carolina dove scaturì dalla musica degli irlandesi che lavoravano nelle miniere, è anche questo un brano che ha avuto mille versioni, comprese quelle celeberrime dei Thin Lizzy e dei Metallica. Nell’interpretazione di Bastianich funziona alla grande riportata all’originaria mescolanza di musica irlandese e folk americano. Gli argomenti sono quelli classici: banditi, donne, pistole e grandi sbornie, il meglio della vita almeno nella fantasia, tanta roba.
Nel bluegrass sono importanti le complesse armonie strumentali, le dolci melodie sognanti ma anche la velocità fa la sua parte. “Just in the way” è il pezzo più veloce dell’esibizione che di sera in sera, la band cerca di rendere sempre più parossistico ed è proprio vero, ci riescono sempre, viaggiando come missili, in un galoppo sfrenato verso le praterie del divertimento.
E’ dedicata al grandissimo Muddy Waters l’immortale “Got My mojo working” che i musicisti celebrano degnamente bevendosi prima un calice di bianco di quello buono o meglio un tajut, tanto per darsi la carica. Canta l’armonicista che sfodera una voce profonda e ruvida, fantastica da perfetto bluesman dimostrando ancora una volta che Napoli è la vera terra del blues e che la baia e il Delta sono solo le due sponde dello stesso mare e che siamo tutti “neri a metà”.
Con “You got to Move” è di nuovo bluegrass dell’America bianca. Il banjo di Bencivenga ha un suono unico che potremmo definire “Madre” che, in realtà, non ha niente di bianco e anglosassone ma, come dicono gli etnomusicologi, quelli bravi, è una derivazione diretta della Kora africana che inizialmente tra gli schiavi afroamericani era una semplice scatola con inserito un manico di scopa e corde di spago. Così possiamo star certi che anche nel cuore della musica più Redneck che ci sia, batte un cuore africano, forse non vuol dire niente ma forse moltissimo.
L’apoteosi della bella serata si è raggiunta con “Will the circle be unbroken” cantato a cappella da tutti i musicisti. Uno dei grandi classici della musica americana portato alla gloria tra gli altri dalla Nitty Gritty Dirt band con Willie Nelson, Johnny Cash e tanti altri negli anni ‘70. Bastianich e i suoi la riprendono anche con gli strumenti ed è altrettanto evocativo. Quando si dice un brano immortale.
Il viaggio dai monti Appalachi, passando per le dolomiti friulane, al Vesuvio ci ha fatto finire a New Orleans con “When the saints go marcing in” che è diventata alla Roberto Murolo: “Oje Marì, Oje Marì, Quanta suonno ca perdo pe’ te! Oje Marì Oje Marì come con l’orchestra di Renzo Arbore, banale e strapaesana, però funziona sempre. “Scurdammoce ‘o passato, Simmo ‘e Napule paisà!”
La band scende dal palco tra gli applausi e urla di bis, subito risale il contrabbassista che intrattiene brevemente il pubblico quel tanto che basta per far riprendere fiato agli altri. Dice che sono andati in tour come se ci fosse la terza guerra mondiale con tutte le trappole del covid, gli annullamenti e le norme di precauzione che cambiano continuamente, c’è proprio da “uscire pazzi”, per uno che fa il musicista ogni giorno potrebbe essere l’ultimo.
Si chiude ancora con un paio di pezzi travolgenti tra cui un inaspettata cover di Purple Rain di Prince suonata in acustico e completamente disarticolata tanto che nelle prime battute poteva sembrare perfino Knoking on Heaven’s Door di Bob Dylan che forse sarebbe stata perfino più a tono con il repertorio della serata ma si sa che un colpo di testa ci vuole sempre. E’ una gran canzone che con il banjo risulta abbastanza folle da riuscire gradevolissima. Questa band a stelle e strisce con l’anima istro partenopea dimostra che la musica non ha padroni e non è serva di nessuno
Buona notte guagliò
Good night and good luck
che poi fa lo stesso.
Flaviano Bosco © instArt