Da Siracusa a Udine, l’Italia l’ha attraversata giovanissima Nicoletta Taricani, che nei viaggi e nella musica cerca e trova il senso del suo sentire e del suo dire. Spostarsi vuole dire andare incontro a nuove esperienze, vedere, sentire e conoscere l’altro, ciò che è diverso da noi, e la musica è per sua natura il luogo invisibile e al tempo stesso aderente e tangibile di timbri, suoni, atmosfere e persone che vivono e raccontano il mondo.

Il viaggio, e che viaggio, è il tema conduttore del suo album d’esordio, “In un mare di voci” (Artesuono, 2021), che verrà presentato mercoledì 8 dicembre al Teatro Palamostre di Udine all’interno del festival Udine Jazz Winter. Con lei alle ore 18.00 sul palcoscenico ci sarà la band strumentale e vocale (lo ricordiamo voci: Nicoletta Taricani, Miriam Foresti, Cristina Del Negro, Michela Franceschina, Caterina De Biaggio / voci narranti: Fabrizio Gatti, Letizia Buchini / Alfonso Deidda, sax contralto / Giulio Scaramella, pianoforte / Alessio Zoratto, contrabbasso /  Emanuel Donadelli, batteria Giulia Pontarolo, violino I / Laura Furlan, violino II / Arianna Ciommiento, viola / Carla Scandura, violoncello) con cui ha registrato questo primo e riuscito, progetto che ha trovato il favore, tra i tanti, anche del giornalista d’inchiesta Fabrizio Gatti che a Udine interverrà con letture scelte dal suo libro “Bilal. Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi”.

Il concerto sarà preceduto alle 17.00 da un incontro fra la stessa Nicoletta Taricani e Fabrizio Gatti.

Cosa ti ha ispirato alla scrittura di questo progetto di cui sei autrice dei testi, delle musiche, degli arrangiamenti e della direzione?
«Sono le storie ad avermi ispirata alla creazione di questo progetto che è insieme culturale, artistico e sociale, interessato ad affrontare temi importanti come quello della libertà, dell’inclusione, e per contro della schiavitù, dell’emigrazione, dell’emarginazione. “In un mare di voci” è nato da storie che ho “catturato”, attraverso studi, ricerche, interviste a persone in difficoltà, disperse in un continuo viaggiare, estremo, provenienti dall’Africa, dalla Colombia, dal Perù…, dai centri di accoglienza. Ho riversato sui pentagrammi i loro vissuti, con centro nevralgico il Mediterraneo, memore di vite e di morti, di voci, sonorità, storie che ritengo essere importanti da conoscere, capire, da condividere ed affrontare per poter insieme migliorarle, magari risolverle».

Un’iniziativa che ha subito suscitato l’interesse di Fabrizio Gatti, eccezionale giornalista d’inchiesta che affronta come non altri e in prima persona queste tematiche, rischiando spesso la vita per dare memoria di quanto accade. Come vi siete conosciuti?
«Fabrizio Gatti è una persona straordinaria ed umilissima. Per me è un mentore. Da molto tempo sono sua appassionata lettrice e tra i tanti suoi libri, ad illuminarmi di più è stato “Bilal”, il personaggio attraverso cui affronta le inchieste estreme su vicende che fortunatamente grazie a lui conosciamo. Sono riuscita a contattarlo e si è dimostrato immediatamente sensibile alla causa, accettando, con mia sorpresa, entusiasta l’invito. Mi ha dato subito fiducia, senza neanche conoscermi, ci siamo incontrati ed abbiamo realizzato insieme un concerto con sue letture in Veneto a fine ottobre. Un ottimo debutto, con larga partecipazione di pubblico di varia estrazione, giovani e meno giovani. Abbiamo insieme raggiunto un primo obiettivo di sensibilizzazione alla causa, attraverso l’arte musicale, l’arte della scrittura e l’arte della vita».

La tua musica vive di melting pot di varia estrazione, dal jazz che è già per sua natura contaminazione, a musiche di estrazione folklorica di sapore africano con incursioni anche nelle dimensioni del pop, il tutto in lingua italiana per questo album che contempla anche la recitazione. Come hai scelto la formazione dei quindici musicisti che con te hanno registrato l’album?
«Sono tutti artisti e amici di grande talento con cui da anni condivido l’esperienza del fare musica. Con alcuni di loro ho compiuto gli studi musicali, con altri esperienze musicali extra, in studio o dal vivo. È una grande compagnia cui sono molto affezionata, una solida squadra fatta di persone che stimo e ammiro umanamente e artisticamente. Alcuni di loro sono professionisti affermati, che molto mi hanno supportato nelle fasi creative ed in particolare negli arrangiamenti con consigli preziosissimi. Altri come me stanno completando gli studi in conservatorio nei bienni specialistici e questi incontri si sono realizzati in un logo che da sempre ho avuto il desiderio di frequentare, ovvero lo studio Artesuono di Stefano Amerio. Un ambiente dove umanità e professionalità si armonizzano al massimo grado. Il luogo perfetto per dare forma e suono a “In un mare di voci”».

Alessio Screm © instArt

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