Un incontro a suon di note – e che note! – quello vissuto giovedì 29 agosto nella Cattedrale di Santo Stefano a Concordia Sagittaria. Da una parte i Mottetti a doppio coro di Johann Sebastian Bach, dall’altra i Salmi a doppio coro di Felix Mendelssohn. Da una parte il Coro del Friuli Venezia Giulia diretto da Cristiano Dell’Oste – con i solisti Michele Bravin (organo), Anna Molaro (violoncello) e Paola Crema (soprano) – e dall’altra il folto e attento pubblico che ha riempito la Cattedrale nonostante il caldo soffocante. Fin dalle prime battute si è capito di non trovarsi ad un concerto qualunque: la qualità del programma, la bravura degli esecutori e il luogo ricco di storia hanno suscitato forti emozioni ed immediato riscontro del pubblico. L’appuntamento, collocato nell’ambito del Festival internazionale di musica di Portogruaro, giunto alla sua 37a edizione e avente per come tema il “Paradigma romantico”, ha segnato un gradito ritorno della musica corale al Festival, con uno sguardo sulla musica sacra, repertorio non semplice, ma di grande impatto musicale, emotivo e, perché no, spirituale.

Ad aprire la serata un ottimo Michele Bravin con la Toccata e fuga per organo solo in re minore BWV 538 “Dorica” di Bach, pezzo in cui solennità e precisione hanno fatto vibrare da subito le corde più profonde dell’ascoltatore. Il suono imponente e poliedrico dell’organo Zanin – ricostruito ed ampliato nel 2008 sul vecchio modello esistente dal 1940 – insieme ad un’interpretazione molto coinvolgente hanno fatto il resto: un Bach che, per Bravin, è sicuramente prima nel cuore che nelle dita.

Ecco quindi le voci del Coro del Friuli Venezia Giulia sostenute con precisione e sensibilità dall’organo in funzione di continuo – nuovamente di Michele Bravin – e dal violoncello di Anna Molaro. L’attacco di Singet dem Herrn ein neues Lied (BWV 225) trasporta immediatamente in una dimensione angelica: gioia e leggerezza permettono all’anima di librarsi in volo. Le voci – sempre precise, mai pesanti e cristalline nell’intonazione – volteggiano con estrema agilità nei virtuosismi di cui la partitura è infarcita: «… un giubilo continuo di estatica magniloquenza, l’imitazione di tutti gli strumenti, in mano ai Figli di Sion, che lodino con danze, timpani e cetre. Un’apoteosi del doppio coro barocco, vertice ineguagliabile che sconvolse anche un Mozart non giovane nel soggiorno a Lipsia del 1789, allorquando con le parti staccate in mano rimase allibito al cospetto di tanta sapienza compositiva» si legge nel foglio di sala, firmato da Cristiano Dell’Oste, eccellente direttore che – un tutt’uno con il suo coro – ottiene le più sottili e profonde sfumature sin dall’interpretazione di un programma Bachiano tanto impervio quanto meraviglioso.

Struggente l’implorazione del Komm, Jesu, komm , nel quale il dolore e la fatica del cammino – restituito nei versi zu schwer compulsivamente ripetuti- non sfociano mai nella disperazione, ma sono sempre accompagnati da sentimenti di fiducia ed abbandono weil Jesus ist und bleibt Der wahre Weg zum Leben.

Intensa e toccante l’interpretazione di Der Geist hilft unsrer Schwachheit auf (BWV 226). Pare di sentirlo, il vento sottile dello Spirito Santo che soffia mentre scorrono le parole della Lettera di San Paolo ai Romani, capitolo 8. Un susseguirsi di madrigalismi, un arrovellarsi geniale di temi che riescono a trasmettere con forza il senso concreto del testo.

Il secondo intervento organistico di Bravin, davvero superlativo, cambia decisamente registro alla serata. Con la Sonata in Si bemolle maggiore op. 65, Felix Mendelssohn fa il suo ingresso trionfale nell’aula della Cattedrale per accompagnare il pubblico in un percorso che parte dal suono brillante e fermo dell’Allegro con brio, passa al suono riflessivo che invita alla meditazione e alla preghiera dell’Andante religioso, giunge al suono moderno e quasi sussurrato dell’Allegretto che offre un dolce invito a proseguire il cammino, per arrivare, infine, all’esplosione finale dell’Allegro maestoso e vivace. Un trionfo che lascia subito spazio ai Drei Psalmen a doppio coro op. 78 nei quali il coro, stavolta senza accompagnamento, dà ulteriore prova di fluidità e precisione.

Notevole la pronuncia tedesca, senza sbavature e perfettamente fraseggiata, che riesce a non togliere ampiezza e continuità all’emissione vocale. Da sottolineare la perfezione di ogni finale di frase, segno di grande professionalità ed affiatamento del gruppo, oltre che di grande lavoro del direttore. Già in Warum toben die Heiden, sul testo del Salmo 2, la sonorità cambia grazie alla «scrittura antifonale che conferisce al mottetto un carattere solenne, richiama più volte le armonie e l’ethos armonico del celebre miserere di Gregorio Allegri». Ciò apre la strada al Richte Mich Gott, sul testo del Salmo 43, che «utilizza la policoralità nella divisione tra le voci maschili e femminili». Di particolare impatto la frase Sende dein Licht und deine Wahrheit – un cantato largo e spazioso che racconta di come il cuore dell’uomo può aprirsi alla luce e alla presenza di Dio – e il versetto in chiusura Harre auf Gott! che è un accorato invito alla speranza. L’atmosfera si fa sospesa nel Mein Gott, warum hast du mich verlassen?, eseguito con pathos dai quattro solisti: il canto, grazie alle pause, si fa silenzio e racconta tutta l’angoscia del Salmo 22.

Infine, l’inno Hőr mein Bitten per soprano solista, coro e organo. Un canto soave quello della soprano Paola Crema, uniforme in tutte le parti del registro vocale, penetrante e mai sopra le righe, che ha dialogato con equilibrio e linearità con il coro e con l’accompagnamento del sempre eccellente Michele Bravin. Il sigillo finale ad una serata di grande musica nel segno della qualità e dell’alta proposta culturale: segno distintivo di un Festival che, con i suoi programmi concertistici e di formazione, continua a volare sempre alto.

© Luisa Pozzar per instArt

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