Viviamo tempi in cui la quotidianità è segnata da ritmi sempre più intensi e da rapporti umani sempre più virtuali cui, senza dubbio, ha contribuito l’iper-connessione tecnologica che da anni affascina gli umani e che l’avvento della pandemia sanitaria, esplosa anche in Italia nel 2020, ha ulteriormente accentuato. Sempre più difficile perciò trovare uno spazio temporale da dedicare al confronto, per parlare ma soprattutto ascoltare e condividere con gli altri i problemi e le gioie della vita, i sentimenti e le emozioni.
Fortunatamente ci rimane il teatro, un luogo magico, in cui mettere alla prova la propria capacità di ascolto e di condivisione. E’ un potere straordinario quello del teatro, in particolare quello del teatro di narrazione, cui spesso basta solo una storia immaginaria, una voce e pochi gesti per catturare l’attenzione e coinvolgere gli spettatori nelle vicende narrate, rendendoli naturalmente parteci della storia.
Una storia come quella raccontata con straordinaria spontaneità e precisione da Roberto Anglisani nello spettacolo “Giobbe – Storia di un uomo semplice”, testo teatrale ispirato dall’omonimo romanzo, potente ed epico, scritto nel 1930 da Joseph Roth, messo in scena con l’adattamento e la regia di Francesco Niccolini, la consulenza letteraria e storica Jacopo Manna, i costumi di Mirella Salvischiani, la produzione Teatro Franco Parenti / CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, approdato sul palcoscenico del teatro San Giorgio per la stagione 2022/2023 di Teatro Contatto (griffata CSS Teatro Stabile di Innovazione del Friuli).

In poco più di un’ora Anglisani narra la vicenda umana di Mendel Singer, uomo semplice, mite e senza grandi ambizioni, “uno stupido maestro di stupidi bambini” come pensava la moglie Deborah, devoto al Signore ma che dallo stesso Signore lui crede essere stato abbandonato quando la vita lo mette duramente alla prova.
Mendel è un uomo umile, un ebreo che insegna la Bibbia ai bambini come faceva suo padre. Ha una moglie e quattro figli, l’ultimo dei quali, Menuchim, venuto al mondo con gravi problemi di salute e perciò motivo di angoscia e disperazione. E non sarà il solo a segnare la vita complicata e, in certi momenti, drammatica di Mendel e della sua famiglia.
Anglisani, con una prova magistrale, seduto al centro della scena, fa rivivere momenti e situazioni narrate attraverso le voci dei tanti personaggi della storia che riesce a caratterizzare con la semplice modulazione della voce e degli accenti.
A volte si alza, accarezza e stropiccia un cappello nero, regala suggestioni emotive e immagini cinematografiche che rendono gli spettatori partecipi delle poche gioie e dei tanti dolori della famiglia. Si attraversano trent’anni di storia personale e collettiva segnata dai grandi eventi compresi tra la prima guerra mondiale che vede combattere sul fronte zarista uno dei suoi figli e la scelta necessaria di attraversare l’oceano emigrando nel Nuovo Mondo alla ricerca di pace e serenità.
Dopo tanti dolori e mille tragedie finalmente, anche per Mendel Singer, come per Giobbe, cui Dio tutto aveva tolto e poi restituito, ci sarà un epilogo inaspettato e miracoloso.
Un monologo intenso, un racconto tragicomico (percorso da una sottile vena di umorismo yiddish) proprio come la vita, una vicenda nella quale ciascuno può riconoscersi (dal tema della paternità a quello della fede e della malattia) che ha affascinato e travolto emotivamente il pubblico del teatro San Giorgio.
Prolungati, calorosi e commossi gli applausi per Anglisani e uno spettacolo di rara intensità.

Rita Bragagnolo / instArt 2023 ©

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