Anche a marzo prosegue il percorso di ACM – Chamber Music nella storia del “Premio Trio di Trieste”, celebrazione per il ventennale della prestigiosa competizione.
Dopo il Trio Mondrian (vincitore 2007) e il Duo Sitkovetsky (vincitore 2011), nella serata di ieri è stata la volta del Josef Suk Piano Quartet, che dopo sei anni ha potuto riempire nuovamente delle sue vibranti note la stessa Sala del Ridotto del Teatro Verdi che nel 2013 li ha visti vincitori.
Lo ha fatto con un repertorio decisamente appassionato, perfetto per un ensemble generoso come lo Josef Suk che già sei anni fa aveva colpito per trasporto e passione trasmessa nell’esecuzione. Non è un caso che una delle caratteristiche maggiormente citate in merito al Quartetto sia il suo delicato “fraseggio lirico sentimentale”: “suonano con un suono enorme, dettagli amorevoli e danno musica con un’autorità elettrizzante”. (MusicWeb International, The Guardian)
Ad aprire la serata Robert Schumann, con il Quartetto per pianoforte e archi in mi bemolle maggiore op.47. Scritto nel 1842 (anno che egli dedicò in maniera quasi ossessiva alla musica da camera), è un ottimo esempio della drammatica poliedricità del compositore di Zwickau. Drammatica in quanto derivante dalla grave instabilità mentale di cui Schumann soffrì: quella che oggi chiameremmo disturbo bipolare o psicosi maniaco-depressiva e che probabilmente portò all’esistenza di diversi “alter ego”, molteplici personalità che andarono a determinare carattere e impostazione delle opere schumanniane.
Ciò è evidente anche nel Quartetto op.47, composizione generalmente molto sostenuta e con interessanti “sfuriate” musicali ma che sa passare con rapidità ed efficacia ad atmosfere più lente e suadenti. Come il Sostenuto Assai che introduce l’opera e che porta ad un approccio corale dell’ensemble, prima di lasciare maggiori spazi ai singoli musicisti nelle sezioni seguenti.
E’ evidente da subito come lo Josef Suk Piano Quartet si senta a perfetto agio nel muoversi tra queste variazioni, sapendo dare un’impronta molto personale. Già nella citata introduzione del Sostenuto Assai, ad esempio, pur mantenendo la nobile lentezza della composizione generale si sente la forza del Quartetto, una sorta di sottile “elettricità” latente che fa presagire la potenza che di lì a poco verrà liberata. Già nell’Allegro ma non troppo (dove riverberano gli studi di Schumann sui quartetti beethoveniani) tale potenza si fa più palese ma è nei successivi Scherzo e Andante cantabile -dove il carattere corale viene lievemente meno e i singoli strumenti sono liberi di assumere maggiore identità- che il Quartetto mostra appieno le sue qualità.
Lo Josef Suk sembra quasi la personificazione del dualismo interiore di Schumann: da un alto il fortissimo trasporto di Radim Kresta al violino e Eva Krestová alla viola (applauditissima alla pausa della performance), dall’altro il tocco più intimo di Václav Petr al violoncello e Václav Mácha al pianoforte. Due fronti che sanno dialogare fluidamente, integrarsi e ispirarsi a vicenda: come nell’Andante Cantabile, dopo il violoncello di Petr è abile ad ammaliare gli altri musicisti con una tenera melodia e a farsi seguire in questa tenerezza -a turno- dagli altri strumenti. Perfetta “summa” di questa doppia personalità sia del compositore che dell’ensemble, il gioioso Finale risulta davvero fresco e vivace nei suoi continui contrappunti e porta l’esecuzione a una pausa salutata da applausi convinti.
Per la seconda parte del concerto il Piano Quartet guarda ai pilastri del proprio modo di fare musica, con quel Antonín Dvořák a cui il nome stesso del Quartetto fa indiretto omaggio: esso si rifà infatti a Josef Suk (1929-2011), uno dei più grandi violinisti del XX secolo, pronipote proprio di Antonín Dvořák.
L’opera scelta è un quintetto (per pianoforte e archi in la maggiore op.81) e per l’occasione a dividere il palco con il Quartetto è stata Kristina Fialová, talentuosa violista più volte elogiata dalla critica internazionale per la sua tecnica e il suo sofisticato sentimento musicale. La scelta si è rivelata estremamente convincente, in quanto garbo e pacatezza (senza perdere però intensità) della Fialovà hanno saputo fare da perfetto contraltare all’irruenza dell’altra viola di Eva Krestová (vera “leonessa” della serata). Un’ulteriore saporita aggiunta al già ottimo mix del Piano Quartet, soprattutto per una composizione che in quasi tutti i movimenti propone belle occasioni di passaggio anche molto rapido tra diverse atmosfere, stili, velocità. Come nell’Allegro ma non tanto, che oltre ai passaggi tra tonalità maggiori e minori propone continue alternanze tra sonorità orchestrali e sezioni di natura solistica. Ed è qui che si può apprezzare al meglio la solidità raggiunta dallo Josef Suk, che sa dare spazio alla sensibilità interpretativa di ognuno (anche molto diversa da un musicista all’altro, come già detto prima) senza però “sfilacciare” l’esibizione e anzi dando un forte senso di unità ogni qual volta il componimento riporta tutti gli strumenti a una sezione corale.
Questo gustosissimo “respiro” fatto di coralità e sensibilità individuale (contrari eppure parte di un unicum come inspirazione ed espirazione) ha riempito la Sala del Ridotto anche per i successivi movimenti, dalla Dumka (forma di danza tradizionale slava molto usata da Dvořák) allo Scherzo-Furiant, altra danza slava dove la performance del Piano Quartet sa farsi travolgente. Emozionante la chiusura, con un lento corale che sembra alfine spegnere l’interruttore di quella sotterranea “elettricità” precedentemente citata ma che in realtà lascia riposare lo spettatore solo per il tempo di un respiro, per tornare veemente e travolgente con l’esuberante Coda finale.
Una prova dunque maiuscola per tutti i musicisti, che hanno saputo trasportare il pubblico in un viaggio rocambolesco, quasi un ottovolante di emozioni che alla fine ha saputo lasciare un’appagante sensazione di stordimento. Stordimento che non ha comunque impedito alla platea di omaggiare l’ensemble con lunghi e convinti applausi.
Il prossimo appuntamento con ACM – Chamber Music Trieste è tra due settimane, a iniziare il mese più intenso del Festival Cameristico 2019. Ad Aprile sarà infatti possibile ammirare il Trio Debussy (il giorno 1), il Trio Gaon (il 15) e il Duo Lavrynenko – Guliei (il 29). Come sempre nell’elegante cornice della Sala del Ridotto del Teatro Verdi.
E nell’attesa del prossimo appuntamento, vi lasciamo con una galleria fotografica della serata passata in compagnia dello Josef Suk Piano Qartet.
Luca Valenta / ©Instart