Tra le tante succulente e sfiziose pietanze servite al pantagruelico banchetto cinematografico delle Giornate del Muto 2020 vi erano i video-messaggi e gli autentici brevi documentari che alcune prestigiose cineteche che collaborano con il festival avevano inviato insieme ai loro film. Primo fra tutti quello del museo nazionale giapponese che ha curato il restauro di Where Lights are Low (1921). Il video ci mostra l’avveniristico edificio del National Film Archive of Japan di Tokio con le sue sale ipertecnologiche e i suoi spazi asettici e minimali quasi zen, sembra quasi una di quelle basi spaziali dei B-movies con i Mecha o i Kaiju (Robot e mostri) degli anni ‘50. A farci da Cicerone con gli occhi a mandorla una sorridente, scatenata responsabile del laboratorio restauri che mostra orgogliosamente l’invenzione di cui vanno più fieri: un carrello semovente di metallo in grado di contenere molte “pizze” con le pellicole, una specie di caricatore multiplo per proiettori di sala. A guardarlo bene non sembra così innovativo e tutta la presentazione sembra un po’ fumettistica ma il tutto trasmette anche l’idea della precisione e della efficienza con la quale vengono conservate, restaurate e valorizzate le pellicole nipponiche della silent age.

Di tutt’altro tenore quello della Fondazione Cineteca Italiana di Milano. I toni sono come sempre paternalistici e pomposi fino a diventare trionfalistici quando ci si spertica in elogi a quei pionieri che hanno strappato, brano a brano, dai maceri le pellicole di celluloide che venivano trattate con alcuni acidi che ne separavano il nitrato d’argento dall’inutile scarto (Il museo dei sogni-La valigia dei sogni di Luigi Comencini, 1953). Il cinema italiano ha di certo una lunghissima, prestigiosa tradizione ma le lamentazioni e la protervia hanno ben poco a che vedere con la sostanza e la qualità delle pellicole proposte. Nessun Miracolo a Milano, purtroppo.

Tutt’altro stile quello del Münchner Filmuseum, meno trionfalistico e più concreto, quasi social democratico, tutto centrato sulla sostanza del restauro, della conservazione e divulgazione delle pellicole, sul ripristino della didascalie perdute dalle sceneggiature originali ed infine sulle retrospettive on line del cinema tedesco dalle origini ad oggi.

Tra le presentazioni delle cineteche di certo la migliore e più interessante è stata quella del Danske Filminstitut di Copenhagen per la salvaguardia del cinema muto nazionale (Stumfilm.dk) che illustrava la completa digitalizzazione e messa a disposizione on line di quella cinematografia a partire daFra piazza del popolo” di A.W. Sandberg (1925) tratto dall’omonimo celebre romanzo d’ambientazione italiana di Vilhelm Bergsoe. Non si può più essere d’accordo con il Bardo quando dice: “C’è del marcio in Danimarca”; almeno a livello cinematografico hanno maniacalmente ripulito e restaurato ogni minimo frammento riportando i film ad un abbacinante bellezza e pulizia.

  • Abwege (Crisi/The Devious Path) (DE 1928) 98’di Georg Wilhelm PabstAccompagnamento musicale di Mauro Colombis.“E’ il caso di riportare integralmente la recensione che ebbe questo pregevole lungometraggio sulla rivista italiana Kines (12/1929) subito dopo le prime proiezioni nel nostro paese: “Psicologia. Introspezione. Radiografia di un’anima assetata d’amore. Studio d’ambiente e di caratteri. Realistica pagina di vita vera. Il tutto portato sullo schermo con potenza miracolosa Crisi è un film interiore; ed è stato fatto vivere attraverso il cinematografo che è la forma più esteriore tra le manifestazioni d’arte. Il realizzatore, senza ricorrere alle forme di visualizzazione oggi in uso, ha creato un film dalla tecnica semplice, comprensibilissima, ha evitato visioni fotografiche di stati d’animo, ha lasciato che la commedia scorresse piana nella sua crudele drammaticità, senza affogarla di comiche cianfrusaglie, senza aggravarne l’essenza nella visione di moderni ritrovi, ed ha creato il capolavoro. Film dalla perfetta struttura, dal costante equilibrio, dalla prodigiosa atmosfera, dal sicuro ritmo. Crisi nel suo genere non teme confronti nella storia del cinematografo. Psicologico, ma non statico; sintetico, ma non incompleto; audace ma non pornografico (…) Qualcuno potrà dire che Crisi ha sofferto, più di quanto fosse necessario, dell’amorosa sorveglianza di Madonna Censura. D’accordo, ma il film è rimasto tuttavia di classe superiore”.iE’ un’analisi critica ancora in gran parte condivisibile anche se, a posteriori, possiamo dire che il film non è invecchiato benissimo, soprattutto se pensiamo ai lavori successivi di Pabst. A stonare è soprattutto il finale consolatorio con la riconciliazione tra i coniugi che sembra davvero posticcia e appiccicata solamente per compiacere il pubblico più moralista o i critici più retrogradi. Il cuore del film aveva espresso tutt’altro: una società decadente e marcia, dedita agli stravizi e completamente dimentica del benché minimo rispetto della morale. Memorabile l’interpretazione della Helm già quasi dura e algida come l’androide di Metropolis e la lunga sequenza nel locale da ballo durante la quale non si risparmia sulla rappresentazione degli umani bassi istinti; dall’adulterio, all’alcolismo, all’eroina fino alla promiscuità sessuale e al meretricio. Tutto questo senza il minimo accenno alla realtà sociale tedesca di quegli anni che vedeva la montante marea nera nazista approssimarsi, anche se le elezioni federali proprio di quell’anno sembravano dire il contrario che la catastrofe era alle porte.
  • A Romance of the Redwoods (US 1917, 92’) di Cecil B. DeMilleAccompagnamento musicale di Donald Sosin coon Joanna Seaton.Deliziosa commediola romantica western dallo Utath, morigerato e religioso fino alle millenarie sequoie della California tra i primi cercatori d’oro. La splendida voce di Joanna Seaton nella nuova colonna sonora voluta per le Giornate di Pordenone Canta: “In the days of ‘49 when we dag out the gold”.La giovane Jenny, interpretata dalla meravigliosa Mary Pickford, deve raggiungere lo zio John che è partito per la cittadina mineraria di Strowberry Fields in California; tutta sola scende dallo Utath s’imbarca in Luisiana, attraversa lo stretto di Panama e risale verso la California. Il viaggio viene solo raccontato ma da solo illustra quale fosse la situazione degli spostamenti in nord America prima dell’apertura delle grandi vie transcontinentali. La bella Jenny non può immaginare che lo zio John sia morto durante un assalto indiano e che la sua identità è stata presa dal malvagio bandito Black Brown che sotto falso nome ha fatto fortuna nel paesino minerario. Quando lei arriva a destinazione, scoperto l’inganno vorrebbe denunciarlo ma prima per le minacce e poi per il colpo di fulmine che la fa innamorare decide di redimerlo. Lui promette ma di nascosto, insieme ad altri briganti si convince a fare un’ ultima rapina per poi aver tutto l’agio e il malguadagnato denaro per sposare la sua bella. Per un caso del destino sulla diligenza che assaltano c’è anche Jenny che intrepida spara al suo amato travisato con il classico fazzolettone sul viso. Si costituisce un comitato di vigilanza tra i prodi onesti cittadini del paese con l’intento di catturare e impiccare seduta stante i famigerati banditi. Riescono a ghermire Black Brown proprio a casa di Jenny e lo vorrebbero impiccare immediatamente ad una trave della cucina dopo averlo fatto salire su un pentolone rovesciato come sostegno alla forca con il cappio al collo. Jenny mentendo dice di essere incinta e pronta a sposare il criminale garantendo sulla sua redenzione. Ed è proprio così che termina l’idillio. A parte alcune sequenze notevoli niente di indimenticabile ma, in ogni caso, si notano già i temi classici del mito western della frontiera che il cinema di De Mille contribuì a creare: crimine, amore, vendetta, redenzione.
  • Ballettens Datter (La figlia del balletto/Daughter of Ballet) (DK 1913, 5’) di Hoelger-MadsenAccompagnamento musicale di John Sweeney.Nel film, durante una matinée dal conte Croisset si vede il balletto della celebre ballerina italiana d’inizio secolo Rita Sacchetto mentre interpreta Pierrot. É lei la protagonista del film ed è una vera emozione scoprirla. Il film è molto ingenuo e romantico ma possiede una certa grazia e ha il pregio di riportarci a quell’epoca in un ambiente del tutto inconsueto: la Cophenaghen degli anni dieci del ‘900, una città in equilibrio tra Roma e Parigi ma anche profondamente nordica e originale. Il conte s’innamora della ballerina e dopo averla corteggiata, la sposa facendole promettere il ritiro dalle scene. Lei accetta felice ma poi vuole fare un’ultima rentrée senza che il marito lo sappia. Naturalmente lui scopre tutto e sfida a duello l’impresario che con astuzia risolve la situazione e ricompone il matrimonio. La sceneggiatura ricorda vagamente le novelle italiane medievali e potrebbe sembrare perfino una variante de La Mandragola di Machiavelli in salsa nordica o qualcosa di molto simile.

Laurel or Hardy (5 shorts, 104’)

Accompagnamento musicale di Neil Brand

L’interesse maggiore verso questi corti va attribuito al fatto che ci mostrano Stan Laurel e Oliver Hardy all’opera singolarmente prima di diventare la coppia più famosa del cinema comico di ogni tempo. C’è davvero da rimanere sorpresi per la loro bravura ma anche per l’evoluzione dei loro personaggi.

– The Serenade (US 1916) La scalcagnata Schmidt’s Wiener Band si guadagna da vivere facendo serenate ma già durante le prove ne succedono di tutti i colori. Oliver è un suonatore di bombardino che usa come piccolo cannone a fiato o come enorme recipiente per la birra che si scola. Il suo compagno è un clarinettista mangia macaroni che lancia in testa a chi gli vuole male.

– The Rent Collector (US 1921) Il maggior pregio di questa slapstick piuttosto sconclusionata e grezza, sporca e perfino violenta, è quella di mostrarci un Oliver Hardy nella parte del cattivone, per niente simpatico, Capobastone miserabile in un quartiere di tagliagole dove il più gentile e onesto è un assassino. Divertente ma anche straniante, i cattivi lo sono veramente e l’incaricato che riscuote gli affitti se la vede davvero nera. Botte da orbi, capitomboli, inseguimenti ma a volte si ride a denti stretti. Ollio (Babe Hardy nei titoli di testa) con una barba di una settimana sembra un Pietro Gamba-dilegno in acido.

– Detained (US 1924) Stanlio è un picchiatello che per uno scambio di persona finisce in galera. Lo vediamo impegnato in mille gags divertenti incatenate una dopo l’altra al solo scopo di far ridere il pubblico. Inquietanti le scene con la sedia elettrica (Edison non l’ha inventata per farti riposare) una scossa elettrica spedisce in cielo il secondino morto stecchito e un altra fa volare Stanlio che atterrando resta impiccato ad un cappio che gli allunga il collo come a mister Fantastic. Alla fine lo scarcerano ma lui piange a dirotto perché preferisce restare chiuso lì dentro piuttosto che tornare nel mondo crudele.

– Moonlight and Noses (US 1925) Laurel oltre che protagonista è anche sceneggiatore e regista di un corto bizzarro e vicino a tematiche horror parodistiche. Uno scienziato pazzo deve dimostrare operando a cervello aperto che la malattia mentale è dovuta a “rugiada nel cervello” e chi ha pensato questo corto ne doveva avere parecchia; esumazioni di cadaveri da profanare, pipistrelli, donzelle rapite, a Weird Tale con contorno di risate.

– When the Knights Were Cold (US 1923) Parodia della commedia romantica-fantastica When Knights were bold più volte portata sullo schermo a partire dal 1908 è quello che resta di un lungometraggio in gran parte perduto. Caricaturale e sconclusionato sa ancora divertire. Laurel è un cavaliere dormiglione che, per salvare la solita principessa da un matrimonio indesiderato, si rivela coraggioso e spericolato spadaccino. Sequenza finale con matrimonio in costume medievale ma con marcia nuziale ragtime suonata da band jazz con musicisti bamboozled.

Il colonnello Kilgore, dopo aver assaporato l’odore di vittoria che ha il napalm, la mattina, nella celeberrima sequenza di Apocalypse Now di Coppola, aggiunge forse un po’ rassegnato: “Un giorno o l’altro questa guerra finirà”.

Anche noi possiamo dire lo stesso, con un pizzico di vezzosa ipercinefilia, dopo aver superato i mesi di lockdown e le restrizioni di questa maledetta epidemia: “Prima o dopo finirà”. Per intanto si è conclusa nel migliore dei modi questa Limited Edition delle Giornate del cinema muto. Visto che siamo stati costretti a farci piacere questa nuova formula d’emergenza on line, speriamo che non ci sia piaciuta troppo e di tornare già dalla prossima edizione ad accomodarci sulle poltrone del teatro Verdi di Pordenone davanti al suo magnifico schermo. Un concetto del genere è espresso nel explicit del già citato “Viaggio intorno alla mia camera” di Xavier De Maistre:

Oggi dunque sarò libero o piuttosto tornerò in catene! Il giogo degli affari peserà di nuovo su di me; non farò più un passo che non sia misurato dal decoro e dal dovere.-Già fortunato se qualche dea capricciosa non mi farà dimenticare l’uno e l’altro, e se sfuggirò a questa nuova pericolosa prigionia! Ah! Perché non lasciarmi finire il viaggio! Era davvero per punirmi che mi avevano relegato nella mia stanza? – in questa contrada deliziosa, che racchiude tutti i beni e tutte le ricchezze del mondo? Tanto varrebbe esiliare un topo in un granaio. Eppure mai mi sono accorto più chiaramente ch’io sono doppio – Mentre rimpiango le mie gioie immaginarie mi sento consolato a forza; una potenza segreta mi trascina, – mi dice che ho bisogno dell’aria e del cielo, e che la solitudine somiglia alla morte. Eccomi agghindato; – la porta si apre; – vago sotto i portici spaziosi…mille fantasmi gradevoli volteggiano sotto i miei occhi”.

iVittorio Martinelli, Dal dott.Caligari a Lola-lola. Il cinema tedesco degli anni Venti e la critica italiana. Ed.La Cineteca del Friuli, Udine 2001, Pag.45.

© Flaviano Bosco per instArt

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