Foto Roberto Marega ©

Nell’ambito delle iniziative del Premio Amidei per il 2020 è stato consegnato ieri sera (14 ottobre ndr) al Kinemax di Gorizia il Premio alla cultura cinematografica a Walter Veltroni in qualità di regista, cinefilo e critico. Nella motivazione si evidenzia il contributo dato alla diffusione della cultura cinematografica in quanto patrimonio collettivo

L’incontro al Kinemax è stato soprattutto l’occasione per parlare di cinema non in quanto arte a se stante, ma in quanto parte del sistema culturale odierno, complesso e necessario sotto il profilo etico, morale e non da ultimo economico. Un sistema culturale che non può e non deve allontanarsi dal pubblico. Veltroni, ricevendo il premio, ha voluto sottolineare nel cinema di Sergio Amidei come in quello di Emmer, Risi e Scola, l’equilibrio fra qualità e desiderio di attrarre il vasto pubblico, di non allontanarsene, un delicato punto di armonia .
Nell’incontro a tre voci con Francesco Ranieri Martinotti, presidente dell’Anac, e Alberto Bollis, vicedirettore de’ Il Piccolo di Trieste, interrogato sui legami fra il suo cinema e quello di Ettore Scola, a cui lo ha legato un vincolo di profonda amicizia, ha tracciato la rotta di un certo tipo di cinema che rifiuta l’idea di “ricerca” fine a se stessa per scegliere, spinti da un certo grado di umiltà e di passione civile, di sovrapporre una costruzione “popolare” ad una serie di significati stratificati che possono sfuggire ad una visione superficiale.
L’amicizia che legò i registi delle commedie di quella generazione, pur di fatto concorrenti, rappresenta un modello di relazione che accetta anche le verità degli altri, pur non facendole necessariamente proprie.

Foto Roberto Marega ©

E qui, prendendo spunto dal nuovo libro di Walter Veltroni “Odiare l’odio”, il discorso prettamente cinematografico si è visto inglobare in una riflessione articolata sul momento storico che stiamo attraversando. Una crisi diversa da quelle precedenti se non altro per la sua portata globale, ma che potrebbe provocare e sta provocando, come innumerevoli altre volte è accaduto, la trasformazione della paura in odio e potenzialmente dell’avversario in nemico da annientare. In un contesto di questo genere, ha sottolineato l’autore, diviene profondamente critica la polarizzazione fra ricchi e poveri e preoccupante l’instabilità legata all’esito delle imminenti elezioni americane.
Centrale il ruolo poi dei Social media, ormai potenti come piccole nazioni e con volumi d’affari degni di un G8 (si è citata a tal proposito l’analisi fatta dal documentario The Social Dilemma, rilasciato su Netflix in settembre). Due le riflessioni centrali che sono emerse: in primo luogo il linguaggio dell’odio è uno di quelli più utilizzati nel web che giocoforza, almeno in parte, lo alimenta. In seconda istanza è necessario tener conto del fatto che i social funzionano proponendo contenuti affini all’utente che li sta utilizzando creando quella bolla di cui da anni leggiamo. Questa bolla di fatto va a costituire un recinto, un muro che ci separa dagli altri. Il rischio è quello di vedere l’opinione pubblica relegata al ruolo di spettatore incapace di prendere parte agli eventi reali.
Walter Veltroni pare essere molto realista a riguardo, ma fiducioso che si possa entrare in conflitto con chi si fa portatore di odio senza utilizzarne il linguaggio, combattendolo su un altro piano.
Un altro piano che sembra passare attraverso la cultura, il ponte in grado di creare comunicazioni più profonde. Una missione etica di cui deve incaricarsi anche il cinema.

Katia Bonaventura © instArt

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