San Vito al Tagliamento (PN) è una deliziosa cittadina che dentro le proprie mura contiene una bellezza architettonica notevole che, negli ultimi anni, mirate ristrutturazioni stanno valorizzando e restituendo alla fruizione della cittadinanza e dei turisti. E’ un vero piacere passeggiare per i suoi vicoli medievali, attraverso la piazza principale con i suoi antichi palazzi affrescati e sulla quale si affaccia l’Antico Teatro Sociale “Gian Giacomo Arrigoni”, un gioiello del XVIII sec. Per la cultura e la musica in generale la città della destra Tagliamento ha sempre avuto un occhio di riguardo.

Da quindici anni, a questo riguardo, si tiene una piccola ma prestigiosa rassegna di musica Jazz con proposte sempre di grande interesse che ha come direttore artistico l’ottimo Flavio Massarutto, una vera e propria “Scimmia del Jazz” come canta Paolo Conte, tra le altre cose, autore di Il Jazz dentro. Storia e cultura nel fumetto a ritmo di Jazz (Stampa alternativa 2020).

L’ultima edizione si è chiusa con un ospite davvero eccezionale: David Murray con il suo Brave New World trio, composto dal fantastico percussionista Hamid Drake e dal contrabbassista Brad Jones. Il sassofonista si è esibito nello splendido auditorium comunale centro civico, uno dei luoghi migliori per l’ascolto della musica dal vivo in Regione che sconta gravi mancanze in questo settore nonostante i tanti rinomati festival musicali.

Il primo brano (Necktar) gioca con ritmi afro-latini e caraibici serratissimi. Un divertente refrain sul quale il sax costruisce i propri virtuosismi vertiginosi con repentini cambi di tonalità, suoni gravi e spesso vibrati e sfiatati fino ai sovracuti striduli e penetranti.

Gran lavoro sulle pelli di Hamid Drake che inciderà il brano per il suo prossimo album, segue ritmi lineari e all’apparenza semplici ma che hanno tutta l’immediatezza dei ritmi tribali. Impagabile Jones al contrabasso con un accordatura rigida che da al suono un timbro metallico ancestrale.

Il secondo brano è stato dedicato alla moglie Francesca presente in sala, come la famiglia del contrabbassista “direttamente da New York” moglie e incantevole piccolina tutta occhioni spalancati e ricciolini.

Anche questo brano ha regalato parecchio d’Africa e di continente sud americano. Sembrava quasi una musica da locale da ballo raffinatissima e divertente. Murray nelle sue esibizioni non fa mancare i brani eseguiti integralmente in respirazione circolare con frasi musicali di particolare estensione e suggestione.

Il suo fraseggio pur sostenuto ed inaudito non è mai irruento e aggressivo ma, al contrario, sempre accogliente e gioioso, di grande complessità senza mai essere astratto e autoreferenziale. Drake s’impegna in assolo verticali di grandissima difficoltà senza mai apparire stereotipato o convenzionale pur nella sovrabbondanza di battute e dell’uso continuo dei piatti.

Spazio al contrabbasso nel terzo lungo brano, quasi una suite, un’interminabile piacevole esplorazione della tastiera che introduce gli assolo arrembanti di Murray che finisce per scivolare verso un avvolgente e suadente abbraccio agli spettatori estasiati. Tra un brano e l’altro, il sassofonista si rivolge gigione al pubblico, molto rilassato e perfettamente a suo agio. Negli anni ‘60 (ma anche oggi) ha raccontato, per tutti i tenor sassofonisti era un obbligo confrontarsi con Giant Steps di Coltrane, tanto che gli era venuto a noia. Così decise di comporre il suo Murray’s Steps pubblicato nel 1982 con il suo ottetto. Il risultato è una fantastica ricalibrazione non tanto della musica di Coltrane ma di una temperie culturale che prosegue ancora oggi. Il sassofonista ebbe la sua illuminazione musicale molti anni fa ascoltando i dischi di Sonny Rollins e poi più tardi fu molto vicino alla creatività dei fratelli Ayler. Proprio al sax di Albert è in parte ascrivibile un suo atteggiamento scanzonato e ironico di approcciarsi alla musica anche se Murray fa “parte a se stesso” e il suo stile è assolutamente personale e riconoscibile.

Murray sa apparire anche felpato, notturno e divertito soprattutto quando si esibisce al clarinetto basso e restituisce un’atmosfera da piccolo club o da locale notturno nel quale si riuniscono i soliti nighthawks che non ne hanno mai abbastanza e che nessuno riesce a mandare a dormire se non l’alba. Lo conferma un omaggio a Thelonious Monk da far girare la testa. Uno dei momenti più emozionanti dell’esibizione è stato decisamente quando Murray ha intonato la canzone di Albert Ayler “Music is the Healing Force of the Universe” la musica è la forza che cura l’universo; ad ascoltare le prodezze del trio non c’è il minimo dubbio, altro che Astra Zeneca.

Il sassofonista di New York è la prova che si può essere super virtuosi senza alcuna spocchia o presunzione e nemmeno atteggiamenti sopra le righe. E’ davvero un grande piacere ascoltare professionisti di questa caratura in grado di dare lezioni di classe ed eleganza a chiunque.

Medesimo discorso vale per Hamid Drake considerato, a ragione, uno dei migliori percussionisti del mondo almeno da tre decenni, in grado di contaminare continuamente il proprio linguaggio musicale e culturale con ritmi afro cubani, indiani e africani spaziando dalla world music al reggae, dal free jazz alla musica main stream con una versatilità fluida e un’instancabile curiosità.

Il sassofono di Murray sa incantare anche quando vuole stupire il pubblico esibendosi muscolarmente in una tempesta di sovracuti con un effetto meraviglioso ma francamente a volte fine a se stessi. Sa divertirsi e divertire facendo un po’ il fenomeno. Non c’è niente di male, lo è davvero.

Alla fine del concerto il bis viene richiesto a gran voce anche da Flavio Massarutto, estasiato e scatenato negli applausi veramente meritati. Per salutare il proprio pubblico il trio propone un hard bop forsennato e velocissimo basato su una sheets of sounds in acuto nervosa e fulminante a tratti tribale e modernamente jungle.

Nel 1994, la prestigiosa rivista Musica jazz dedicava un approfondimento speciale all’artista Newyorkese a cura di Claudio Sessa che dopo una lunga analisi dei suoi lavori concludeva: “In una prima fase, dunque, la maturità del sassofonista pareva esplicarsi soprattutto nella libera ma al tempo stesso coerente logica dei suoi assoli: a essa ha fatto seguito una seconda, in cui una più consapevole elaborazione stilistica si affiancava a un calibrato uso dell’arrangiamento, per l’ottetto con cinque fiati come per il quartetto con il pianoforte. Ora sembra esserne subentrata una terza, di eccellente padronanza dei vari livelli espressivi, in cui Murray si mostra pronto a confrontarsi in modo originale e continuativo con l’esempio maggiore dei suoi modelli compositivi. Ellington e Mingus: le forme estese. Qualunque sia il risultato di questa sfida con se stesso e con la tradizione jazz, certo il non ancora quarantenne musicista ha già impresso il proprio nome nella storia musicale americana degli anni Settanta e Ottanta.”

I tanti fortunati spettatori del concerto di San Vito Jazz hanno potuto verificare che quello che diceva quasi trent’anni fa il giornalista sulle straordinarie capacità espressive di Murray non solo era vero allora ma negli ultimi decenni è divenuto la base di una meravigliosa carriera musicale che ha ancora un grande futuro davanti a se. Il sassofonista continua ad esplorare e ad estendere il suo orizzonte musicale, i suoi interessi e le sue sperimentazioni, affiancato da straordinari musicisti che sinergicamente gli permettono di traguadare future meraviglie sonore. Come diceva Ayler: “Oh, let it come in. Oh let it come in. The music of the universe. The music of love. Be Healed. Music is the healing force of the universe.”

© Flaviano Bosco per instArt

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