Doveva essere un esperimento sociale, un po’ come quando mandarono David Foster Wallace in crociera e ne venne fuori quel capolavoro di reportage che è “Una cosa divertente che non farò mai più”.
State calmi. Non parlo di meriti artistici: parlo dell’effetto “pesce fuor d’acqua”, dell’essere fuori posto, fuori età e fuori luogo.
Sulla carta ero il soggetto perfetto: reduce dai concerti di Bon Iver ed Ex:Re, con la testa e l’ipod farcito di musica snob, chic, spleen, con i discorsi sulla partita IVA agevolata e la bustina delle medicine in borsa.
La mia collega, autrice delle foto di questo articolo, ascolta Radio3.
Come resistere alla tentazione di mandarci a vedere Achille Lauro in Castello a Udine?

Udine, 25/07/2019 – Castello di Udine – PRIESTESS – ACHILLE LAURO – concerto incluso nella rassegna musicale “Udine Vola 2019” – Foto © 2019 Alice BL Durigatto / Phocus Agency

In effetti sul pratone del castello noi “over” incrociamo gli sguardi a vicenda, cercando di capire se i nostri simili sono solo lì per accompagnare i figli o se sono della Digos.
C’è persino quello che sembra un “recinto dei genitori”, che poi è il dehors della Casa della Contadinanza. Sembra un po’ la zona divanetti di H&M, quella dove le anime in pena sostano in attesa delle infinite prove outfit delle fidanzate.
Ed è proprio mentre siamo sedute lì che arriva il furgone con i vetri oscurati che trasporta l’idolo. Si apre la porta, vediamo solo un bagliore di stivaletti glitterati. Spoiler.
Una ragazza con gli shorts e la maglietta corta mi chiede da accendere. Mi dà del “tu”. Non mi dice “signora”, come fanno i cassieri al supermercato. Ritrovo speranza, e dentro di me si accende un fuocherello, un affetto smisurato per questa ragazza e per tutta la sua generazione.

Udine, 25/07/2019 – Castello di Udine – PRIESTESS – ACHILLE LAURO – concerto incluso nella rassegna musicale “Udine Vola 2019” – Foto © 2019 Alice BL Durigatto / Phocus Agency

Intanto sul palco c’è Priestess, che sibila versi e cita Crudelia De Mon e parla di immagine, della sua forma fisica, dell’accettarsi. Ma anche della sua amica pusher.
Inizia a calare la sera, e – con meno stoicismo rispetto a chi si è sparato la salita al castello con i quarantamila gradi del pomeriggio -, iniziano ad arrivare anche gli over trenta e le loro Polo.

E arriva anche lui. Zebrato, glitterato, tatuato. Nudo. E da subito Achille Lauro ci frega. Perché siamo qui per scrivere un articolo che si chiama “Manda due trentenni a un concerto trap” e invece siamo a un concerto rock’n’roll. Poca samba trap, poca Thoiry, poca roba francese, tanta chitarra. Tanta, tanta chitarra. È evidente che adesso è questo quello che vuole fare: il rock. Parlare meno di cristalli blu e più di Dive del cinema morte di pillole.
Le camicie lamè, il cappello da cowboy. Gli strumenti a comandare. C’è persino posto per una cover di Battisti (e i ragazzini – che dio li benedica – non la conoscono). Achille è Slash, è Justin Hawkins dei Darkness, è Michael Starr. È una bestia da palco, è straordinario. Sembra fatto di gomma. Si butta, scompare, lancia acqua sul pubblico, si spoglia.
E soprattutto, ripetutamente e senza successo, chiede al pubblico di mettere in tasca i cellulari (“questa è una festa, la nostra festa”). Non c’è verso. Davanti al mio naso, un esercito di smartphone.

Udine, 25/07/2019 – Castello di Udine – PRIESTESS – ACHILLE LAURO – concerto incluso nella rassegna musicale “Udine Vola 2019” – Foto © 2019 Alice BL Durigatto / Phocus Agency

Ma il punto è che siamo in una specie di vortice spazio-temporale in cui dei ragazzi di quattordici, quindici, sedici anni, stanno ascoltando rock’n’roll e fanno cose rock’n’roll. Compreso tirare su gli accendini. E, a un certo punto, lanciare un reggiseno sul palco.
Come mi fa notare un mio amico alla fine del concerto: “ho visto lanciare il reggiseno solo a Vasco Rossi, Piero Pelù, e Achille Lauro”.

Dopo il bis di “Rolls Royce” (e io mi chiedo, uno che ha cinque album in discografia ha davvero bisogno di fare dei bis?), dopo essersi arrampicato sul pubblico, Achille Lauro saluta, rimonta sul suo furgone nero e se ne va.

E a noi resta il rap di MadMan, che è rap, e basta. Non è così spiazzante, non ci fa sentire dentro un paradosso spazio-temporale. Si muove come Fabri Fibra, e noi ci rilassiamo e ci sentiamo più rassicurate, perché è qualcosa che riconosciamo.

Siamo fuori dal wormhole spazio-temporale, siamo al sicuro.
Certo però, che noia essere al sicuro.

Fosca Colinassi © instArt – Fotogallery Alice BL Durigatto © Phocua Agency