Il festival che tradizionalmente l’Associazione Gaggia tiene in autunno, quest’anno è dedicato al settantennale della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, quindi, accanto alla mostra organizzata da Amnesty Interrnational contro la tortura, si è organizzato un cartellone di manifestazioni che stimolino alla riflessione sulle passioni che condizionano i comportamenti e le azioni dell’uomo, capaci di trasformarlo in torturatore, oppure di elevarlo alle vette del sublime. Tale cartellone, che comprende circa nove incontri, non poteva che essere aperto, grazie alla cultura e lungimiranza del Presidente Andrea Rucli, che dalla lezione – concerto “L’uomo contro l’uomo – Quando la musica condanna la violenza” di Giovanni Bietti, pianista, critico e storico musicale e nota voce di RAI 3, con le sue numerose collaborazioni con la trsmissione “Lezioni di musica”.

Bietti parte dall’assunto che il concetto di dolore, strettamente connesso alla tortura, nella musica colta occidentale cominci ad essere affrontato solo a partire dalla fine del ‘400 e nella fattispecie del dolore provocato da questioni amorose e religiose, prendendo immediatamente le fattezze, tecnicamente parlando, della dissonanza e del moto discendente. In altre parole, il dolore viene rappresentato in musica dalla dissonanza e dal moto discendente. Tale simbologia viene assunta in pieno da Claudio Monteverdi, che ne dà un’efficacissima rappresentazione in alcuni dei suoi madrigali, oppure nella celebre aria di Didone abbandonata dell’ottavo libro dei Madrigali. Gli artifici tecnici monteverdiani divengono così canonici e vengono ripresi dai musicisti successivi come Henry Purcell, il più celebre dei compositori del periodo elisabettiano. Dal punto di vista religioso, il musicista che più rappresenta il dolore è, invece, Johann Sebastian Bach, che nella sua Messa in in si minore, nelle sue passioni e nelle sue cantate – Bietti cita nello specifico la Cantata n.13 – lo rappresenta con un’efficacia mai prima di allora raggiunta grazie anche all’uso dell’intervallo di quarta eccedente, il cosiddetto diabolus in musica, e del cromatismo discendente.

Con Mozart, Bietti cita l’opera “Il ratto dal serraglio”, il tema del dolore e della tortura si apre ad istanze molto attuali come il ruolo della donna nei confronti dell’uomo, quando la protagonista dell’opera sfida il sultano che la tiene prigioniera dicendogli che lui potrà anche torturarla ma non avrà mai il suo amore, per poi arrivare con il Fidelio di Beethoven ad una riflessione sull’ingiustizia, sulla redenzione e la libertà.

Per questioni di tempo la riflessione di Bietti trova l’approdo in Tosca di Puccini, descrive la scena in cui Scarpia tortura Cavaradossi per costringere Tosca a concedersi alle sue turpi voglie, in cui evidenzia come l’afflato illuministico di fratellanza e redenzione universale presenti in Mozart e Beethoven, qui siano completamente assenti e abbiano ceduto il passo ad un cupo pessimismo, in linea, siamo nel 1901, con lo spirito di quei tempi.

Bietti conclude, spiritosamente provocatorio, la sua riflessione sulla rappresentazione del dolore in musica con Vexations di Eric Satie, una composizione per pianoforte brevissima ma che, secondo le indicazioni dell’autore, doveva essere suonata per 834 volte di seguito. Se non è tortura questa….

Ottimi i consensi del pubblico alla fine.

Sergio Zolli © instArt

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