Chissà se qualcuno ha potuto raccontare all’incantevole Loreena McKennitt l’antica storia della bella e nobile donna chiamata madonna Dianora ambientata in Frioli, paese quantunque freddo, lieto di belle montagne, di più fiumi e di chiare fontane dove è una terra chiamata Udine. Di certo le sarebbe piaciuta, è molto simile a quelle che racconta nelle sue canzoni che forse sarebbero piaciute anche a Boccaccio che parla di Dianora, di suo marito Gilberto e di Ansaldo, il cavaliere che la insidia, nel suo Decameron (X,5).
Madonna Dianora, per concedersi, chiede al proprio spasimante la prova impossibile di far fiorire un giardino di gennaio bello come a maggio, nella neve e nel freddo invernale. Con l’aiuto di un negromante, Ansaldo riesce nell’impresa di far sbocciare i fiori dal ghiaccio ma nobilmente rinuncia ad ogni pretesa e spento del cuore il concupiscibile amore verso la donna, acceso di onesta carità, si rimase.
Secondo la tradizione il giardino fiorito in un bellissimo prato vicino alla città è quello di piazza Primo Maggio (Giardin Grande) ai piedi del piazzale del castello dal quale la trovatrice canadese ha incantato non solo il numerosissimo pubblico ma l’intera città.
Con dei presupposti così magici non poteva che aver luogo un concerto meraviglioso e fiabesco. E davvero lo è stato. Loreena McKennitt e i suoi musicisti si sono esibiti per circa due ore con una perfezione musicale assoluta; la voce della Soprano Siren è stata assolutamente chiara e cristallina dal primo attacco fino all’ultimo bis senza mai un incertezza, una sbavatura, seppur minima; così sono stati i suoi musicisti. La resa sonora è stata della qualità di un compact disc in un impianto iper professionale. Per un’esperienza live forse è un po’ esagerato, rischia di far perdere calore e colore all’esibizione.
Il pubblico, in ogni caso, è sembrato non accorgersene, tanto da tributare un’ovazione ad ogni brano. La McKennitt visibilmente compiaciuta ha lodato sia l’audience che il luogo che è di una bellezza da togliere il fiato. Ed anche in questo è difficile darle torto: l’arco delle montagne sullo sfondo, la città con le sue luci ai piedi del castello, l’antico gonfalone che sventola dalla torre e l’angelo dorato che, dall’alto del campanile, veglia su tutto e indica la direzione dei sogni.
Il tour europeo che promuove il suo primo album di inediti dopo ben dodici anni da An Ancient Muse (2006) sta per concludersi anche a questo probabilmente è dovuta la compattezza dell’esecuzione e la rodatissima scaletta. Lost Souls (2018) ha ricevuto, anche nel nostro paese ferocissime critiche, in realtà del tutto immeritate.
Gli strali vertevano soprattutto sul fatto che nel disco non ci sia niente di veramente nuovo e che tutto sembri datato come le sue composizioni del finire degli anni ‘80. Infatti, il titolo del lavoro è Lost Souls perchè recupera le anime perdute di brani dimenticati o non incisi a quei tempi per qualche motivo. Si badi bene, non scartati, ma lasciati riposare come molti simili che la cantante eseguiva solamente in pubblico in situazioni particolari, ma che non arrivavano in sala di incisione.
Se la musica di trent’anni fa fu salutata come eccelsa come il nuovo folk di fine millennio, è difficile capire come mai questa che è stata composta allora e che è esattamente nello stile celtico progressivo della McKennitt migliore non debba essere apprezzato. Il tempo saprà avere ragione delle critiche superficiali e avventate, come sempre.
Anche di questi argomenti di lana caprina e di bizantinismi da rotocalco il pubblico del Castello di Udine è sembrato non accorgersi gioendo felice ad ogni accordo e ad ogni gorgheggio. Non li si può certo biasimare per tanta celeste fanciullesca felicità; i presenti hanno potuto assistere a qualcosa di veramente raro, elegante, gentile. La McKennitt è una splendida signora che continua a raccontare le proprie antiche, fabulose storie d’amore e d’avventura con una voce sospesa nel tempo e sostenuta dalle melodie e dai ritmi di strumenti che evocano epoche fantastiche e lontane nelle quali le fronde degli gli alberi sussurravano di dame e cavalieri, di giardini e di danze al chiarore della Luna.
Il tema degli alberi come testimoni delle vite degli uomini e del trascorrere del tempo è tipico della sua poetica, tanto che in scaletta si è fatto notare Ages Past, Ages Hence che, come ha dichiarato, le è stata ispirata dalla contemplazione di alcuni alberi secolari e da tutto quello che ha immaginato essi siano stati testimoni E appaiono così antichi castelli su ripide scogliere sotto il quale si agitano furiose le onde dell’impetuoso mare.
Non c’è stato spazio invece per Pagan Trees o per Two Trees quest’ultima dedicata all’amore tra W.B.Yeates, poeta caro alla McKennitt, e la bella attrice rivoluzionaria Maud Gonne.
Il concerto è stato, invece, interamente dedicato a tracciare la rotta del viaggio nelle culture europee e oltre, compiuto in questi ultimi trent’anni, quello che chiama Music Travel Experience, nella ricerca delle radici comuni celtiche che ha potuto riconoscere a partire dall’avita Irlanda ma anche nelle isole inglesi e poi in Francia,Spagna, Italia e poi in Medio Oriente.
Molto efficaci sono le sue composizioni nelle quali queste tradizioni così diverse e così simili si uniscono e contaminano. Così l’arpa celtica pizzicata dalle dita della cantante e polistrumentista si sposano magnificamente con il liuto arabo Oud o con il Bouzouki di Brian Hughes; così come le tablas di Robert Brian si uniscono alle melodie del violoncello o del Pennywhistle di Caroline Lavelle o addirittura della fisarmonica, senza contare il contrabbasso di Dudley Phillips e il virtuosistico violino di Hugh Marsh (Marrakesh Night Market, The Gates of Istambul)
Speziate e sognanti le canzoni dai ritmi spagnoleggianti dall’incedere maestoso di un cavallo andaluso che ritma, con i suoi anteriori rampanti, il ritorno vittorioso dalla battaglia in una Cantiga sulla strada per Santiago de Compostela (Spanish Guitars and Night Plazas, Santiago)
Come dice il primo brano della serata (The Mystic’s Dream), quello della cantante canadese è stato un sogno nebuloso in una notte terrestre aggrappata ad una luna crescente Una canzone senza voce in una luce senza età. Questo non vuol dire che la sua arte sia solamente un peregrinare insensato e farneticante in una favola puerile e medievaleggiante, non c’è niente di troppo facile e zuccheroso nella sua musica e chi la scambia per uno dei tanti bamboleggiamenti new age si sbaglia di grosso.
Anche se la sua voce è sempre dolce e suadente non vuol dire che ciò che esprime sia solamente buono per la sala d’aspetto di un dentista o come musica d’ambiente di un negozio d’incensi e chincaglieria misticheggiante. Loreena McKennitt ha saputo emanciparsi da quello strazio già da decenni; la sua è una ricerca musicale e spirituale seria e meditata che non lascia troppo spazio alle fanfaluche dei tanti santoni e delle loro beghine.
Fatte le debite proporzioni il lavoro che in tutti questi anni ha portato avanti non è poi così diverso da quello intrapreso dal Maestro Jordi Savall con il suo ensemble Hespèrion XXI, con La Capella Reial de Catalunya e con la sua raffinatissima etichetta discografica Alia Vox. Certo, non è possibile un paragone diretto tra i due, gli ambiti sono diversi ma l’intento è il medesimo: riscoprire quell’antica unione che ha reso possibile il grande sviluppo delle culture del Mediterraneo e del Nord Europa soprattutto nella contaminazione tra i generi e le tradizioni.
Come scrive la McKennitt nel programma di sala: Nel corso della mia carriera, è stato un privilegio viaggiare in molti luoghi dove a quel tempo alcune delle “Antiche vie” erano ancora visibili ed era possibile ascoltarne gli echi. Viaggiare ha nutrito la mia mente, ispirato la mia anima e arricchito la mia comprensione della storia, delle culture e della generosità del nostro pianeta.
Tutt’altro che lezioso e scontato è apparso l’accorato appello a fare qualcosa di concreto per la salvezza del nostro ecosistema diventando più responsabili e attenti agli stili di vita, di produzione e di consumo; impegnandoci ad adottare i nuovi strumenti tecnologici con una morale ed un etica del progresso adeguate allo scopo di proteggere il nostro pianeta vivendo a chilometri zero, usando in modo selettivo la tecnologia, donando importanza reale alle comunicazioni faccia a faccia, consumando ciò che è davvero necessario e liberandoci del superfluo e via di seguito.
Potrà sembrare anche la solita retorica ecologista e snob ma la McKennitt su certi argomenti è sempre stata piuttosto seria e motivata. La sua stessa produzione discografica lo dimostra. A metà degli anni ‘80, mentre tutto il mondo occidentale si sborniava con gli ultimi tannini del turbo capitalismo, in Elemental (1985) lei cominciava a cantare di ritornare ad un mondo più pulito e verde nel quale gli uomini possano vivere in armonia e non schiavi delle proprie macchine e del dio denaro. Da allora non ha mai smesso, anche se con lunghe pause e assenze dovute ai casi della vita che con lei è stata piuttosto crudele e beffarda.
In conclusione, è il caso di ricordare due brani in scaletta che danno la dimensione e la direzione dell’arte della canadese che chi ascolta con poca attenzione non riesce a cogliere che in parte. E’ facile rimanere affascinati da questa musa celtica che pur avendo superato l’età dei primi ardori non smette di rapire lo sguardo e l’orecchio; più complicato è, invece, seguirla con il cuore e soprattutto con il cervello nel suo instancabile peregrinare negli abissi della coscienza e dell’umana virtude. Proprio su questo dovrebbero riflettere coloro che la definiscono: anestetizzata e assuefatta fata dell’arrangiamento fantasy, con la sua arte cartolinesca artificiosa, leziosa, new age pop, e perfino furbetta
Ecco allora The dark night of the soul, nella quale si medita in musica sulla Notte oscura di San Giovanni della Croce, uno dei testi più alti della mistica cristiana d’Occidente. Avventurandosi nella notte più oscura il desiderio della grazia e l’amore per Dio diventa ancora più stringente; è un fuoco che brucia dentro il cuore come quello dell’amato per l’amante. E’ una parte dello straordinario itinerario che porta l’anima all’unione con Dio e che teologicamente per il fondatore dell’Ordine dei Carmelitani scalzi trovava compimento nell’altra sua opera fondamentale, Salita del Monte Carmelo.
Quasi a voler sottolineare l’importanza del mistico peregrinare che è sacrificio e sofferenza ma anche libertà, condivisione e Amore, Loreena McKennitt ha voluto chiudere il concerto con un brano dal titolo Dante’s Prayer che, naturalmente, si rifà al viaggio ultramondano dell’Alighieri. I primi versi, tradotti in italiano, suonano pressapoco, così
Quando la selva oscura cadde davanti a me
e tutti i sentieri furono coperti
Quando i sacerdoti dell’orgoglio dicono che non c’è altra via
Ho spazzato via la sofferenza che mi pietrificava
Non credevo perché non riuscivo a vedere
eppure tu venisti da me nella notte quando l’alba sembrava persa per sempre
Mi hai mostrato il tuo amore nella luce delle stelle.
La canzone si conclude con i versi di un infinita preghiera che viene rivolta al cielo ma che Loreena McKennitt è sembrata rivolgere anche al proprio pubblico.
When the dark night seems endless
Please remember me
Please remember me
Please remember
Please
Tutti i presenti ricorderanno a lungo questo mistico sogno e le sue preghiere in forma di canzone.
© Flaviano Bosco per instArt