Il teatro Pasolini di Cervignano ha ospitato nei giorni scorsi, con grande successo, uno splendido spettacolo dedicato al grande musicista argentino Astor Piazzolla, nel centenario della sua nascita. L’attrice Laura Morante, con rara maestria, ha letto e interpretato, con la sua dizione perfetta e la sua voce setosa e morbida, brani dal libro intervista a cura di Natalio Gorin “Memorie” (Di Giacomo ed.1995), che poi prendevano vita nei suoni di Marco Fabbri (bandoneon), Massimo Repellini (violoncello), Stefano Giavazzi (Pianoforte) che proponevano, in ottimi arrangiamenti ed esecuzioni, i capolavori del musicista in una lunga teoria di brani da “Adiós Nonino” a “Libertango”, incantando, letteralmente il pubblico.
È stata un altra proposta vincente e di grande successo del cartellone che Euritmica ha confezionato per il Teatro Pasolini, come fa ormai da molti anni. È l’ennesima dimostrazione che è sempre possibile allestire spettacoli di qualità e significato, con ottimo riscontro di pubblico, senza per forza omologare le proprie proposte allo sciocchezzario televisivo nazional-popolare che non è più sopportabile.
Laura Morante non ha certo bisogno di presentazioni. Dire che è una delle migliori attrici del cinema italiano ed europeo è dire poco. Infatti, è anche una straordinaria performer teatrale, tanto che alcune sue interpretazioni sono assolutamente iconiche e memorabili. Il suo giovanissimo viso d’Ofelia adolescente nell’Amleto televisivo di Carmelo Bene e gli schiaffoni che si prese rimarranno per sempre nel ricordo di tutti gli appassionati e sia detto senza alcuna ironia.

Con la “macchina attoriale” per definizione collaborò anche per il Riccardo III e S.A.D.E. A quella iniziale esperienza ne sono seguite altre e continuano in una carriera davvero notevole. Tra le pièce più recenti quello dall’evocativo “Io Sarah, Io Tosca regia di Daniele Costantini (2021).
Della sua lunghissima esperienza cinematografica si ricordano di solito gli estremi: la celebre Bianca di Nanni Moretti, sogno e vagheggiamento di un amore nevrotico e quella altrettanto meravigliosa in Cœurs di quel genio del cinema che era Alain Resnais.
Decisamente si vorrebbe dimenticare l’interpretazione di Begonia in Lo Sguardo dell’Altro, catastrofico film “psycho-erotico” di Vincente Aranda (1997) che di certo avrà degli estimatori ma che a qualcuno, come il sottoscritto, è sembrata una imperdonabile caduta di gusto, certo non del tutto attribuibile all’attrice che si è prodigata letteralmente, anima e corpo, per la riuscita di quello che alla fine si rivelò un pasticcio.
A pensarci bene, forse nelle sue intenzioni c’era anche quella di uscire dal solito stereotipo del personaggio che si era cucita addosso, quello della donna sofisticata, dal fascino intellettuale che cominciava a starle stretto e nel quale non voleva fossilizzarsi o farsi imprigionare; a costo di farsi del male ha voluto mostrare letteralmente un’altra parte di se e ci è riuscita perfettamente. “Sette punti di sutura m’hanno dato” come recita in una purtroppo indimenticabile, celebre sequenza.
Questa minima défaillance non impedisce minimamente alla sua stella di brillare ancora splendida anche a distanza di tanti anni.
Si ricordi che Morante tra le altre cose è stata autrice di due lungometraggi piuttosto riusciti ed ha esordito nel 2018 come scrittrice di rara sensibilità (Brividi immorali, racconti e interludi, La Nave di Teseo ed.).
Per non farsi mancare niente, con la sua splendida, suadente voce è anche doppiatrice di pregio. Proprio a questo talento va ascritto lo spettacolo che ha portato in scena al teatro di Cervignano, qualche sera fa, come recupero della stagione passata, flagellata dalla maledetta epidemia.
Il teatro è molte cose ma una lettura scenica con intermezzi musicali o un concerto di tango con appropriate letture sono decisamente un’altra cosa. Certo l’affascinante voce della Morante sostiene da sola tutto il palcoscenico, e tutto il pubblico, dalla prima fila al loggione, fa la sua parte mentre i musicisti attendono frementi il loro turno. A tratti, complessivamente, sembrava una lettura radiofonica di RadioTre tipo “Ad Alta Voce”, senza dubbio piacevole e di grande interesse ma dall’impatto scenico minimo e davvero essenziale e scabro.
Astor Piazzolla dice, nella sua lunga autobiografia in forma di intervista di molti anni fa, di volere che la sua arte si ascolti ancora nel 2020 e perfino nel 3000. Ora, la prima data ce la siamo assicurata per la seconda c’è tempo…
Il musicista nacque con una malformazione ad un piede che lo fece zoppicare tutta la vita e anche se con i giusti tutori e cure non se ne faceva accorgere; il cosiddetto “Piede caprino” rappresentava una specie di marchio infernale, come nelle antiche superstizioni popolari. Un famoso romanzo dell’esoterista Dion Fortune s’intitola proprio “Il dio dal piede caprino” e naturalmente parla di Satana e delle sue seduzioni.
Il padre e la madre, che lui chiamava con un vezzeggiativo “Nonino” e “Nonina”, erano di origine italiana e si erano trasferiti in Argentina, rispettivamente dalla Puglia e dalla Toscana. Il piccolo Piazzolla scoprì la musica a 11 anni a New York dove si era trasferito con i genitori. Viveva in un quartiere povero di immigrati latini e di origine italiana nel quale per sopravvivere dovette “indurire” di parecchio il proprio cuore, anche per le discriminazioni e le difficoltà dovute alla sua zoppia, che compensava però con straordinaria determinazione e aggressività. Era proprio un “Ragazzo di strada”.
Un giorno in strada sentì una musica venire da una finestra e ne restò ammaliato. Uno sconosciuto stava suonando Bach al piano. Come folgorato da quelle note, chiese immediatamente al proprio padre di comprargli un pianoforte ma questi si presentò con un bandoneon scontentando tutti. La fisarmonica se ne stette in un angolo dimenticata a lungo. Per un puro caso d’un tratto cominciò a suonare il Bandoneon facendosi subito notare per la sua bravura e per il suo estro.

Quando seppe che il grandissimo Carlos Gardel, divo del tango argentino, era di passaggio a New York per alcuni concerti volle conoscerlo a tutti i costi tanto che s’introdusse dalla finestra della sua camera d’albergo mentre dormiva e, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, nacque una splendida amicizia e ne divenne l’accompagnatore. Gardel non conosceva la città e non parlava inglese, così il giovane Piazzolla gli faceva da Cicerone e incominciò anche a suonare nelle sue serate. Una fortuna davvero insperata che però si rovesciò in tragedia con la morte prematura del cantante,  che lasciò il giovane Piazzolla pietrificato dal dolore. Come diceva quel tale: “Ciò che non ci distrugge ci migliora” e noi possiamo godere di più di 3000 composizioni, tra le quali 500 brani registrati, e della memoria di migliaia di concerti tenuti in tutto il mondo. Piazzolla viene oggi considerato come uno dei più grandi e influenti compositori del XX sec., la sua musica è entrata profondamente nell’immaginario di tutti a qualunque latitudine. Quando poco più che un ragazzo suonava da orchestrale gli affibbiarono il soprannome di “El gatto” perché non se ne stava mai fermo e, sornione e impunito, faceva pesanti scherzi a chiunque, per poi restarsene a guardare l’esito senza tradire la minima emozione “sotto i baffi”. Da molti viene considerato “l’assassino del Tango”, nel senso che è stato talmente innovativo da rendere obsoleta e anacronistica tutta la tradizione precedente. Prima di Piazzolla c’è solo il magistero inarrivabile di Gardel, dopo non si vede ancora nessuno. Certo ha contribuito a trasformare una forma d’arte ormai desueta, e calcificata quasi in uno stereotipo da balera, in un genere di musica che si rivela colta e significativa, acclamata nelle più prestigiose sale da concerto di tutto il mondo ma ancora passatempo per anziani di casa di riposo, oppure moda romantica e decadente per tangueros radical chic che si ricaricano delle fatiche dell’ufficio, ancora immersi in un atmosfera da “barrio” sudamericano, con donne calorose dagli occhi bistrati nerissimi e uomini dal baffo corto, dai muscoli guizzanti sotto pelle e dalla maschia virilità e sordido crimine. Come una strega imperversava e insidiava le notti di Buenos Aires.
Piazzolla diceva che: “Il tango è la notte, ne è un sinonimo, è il cabaret, il ladro, la polizia, la prostituzione, lo gigolò, la droga, tutto quello che è degenerato nella vita. Il tango nacque nei postriboli e nei bassifondi di Buenos Aires e questo lo connoterà per sempre.”
Morante sul palcoscenico si è rivelata a tratti altera, superba nella sua concentrazione, senza concedere quasi nulla al pubblico se non la sua interpretazione insinuante e spesso nervosa, non un movimento del corpo, nessun gesticolare; è un’attrice che sa “muoversi” con la voce, che sa bene che cos’è un giro di tango e che sa farsi desiderare negandosi tanto da esasperare chi la ama, è una gran signora del teatro talmente elegante che sa farsi ammirare anche quando non si concede. Tutto il pubblico alla fine dell’esibizione si attendeva il bis di rito ma ha applaudito e vociato a lungo invano, a parte qualche inchino non ha ottenuto nient’altro, eppure non se l’è presa, non si è sentito offeso come capita in altre occasioni. È stato come il rifiuto di una ballerina al proprio cavaliere che le chiede un altro giro, anche quello fa parte del ballo, il tango è anche un no che incendia di desiderio, altro che frustrarlo.
Piazzolla collaborò anche con il grandissimo scrittore Jorge Luis Borges, tra i pochi che avrebbero davvero meritato il mancato Nobel per la letteratura nel XX° secolo, con il quale pubblicò un disco tra letture e musica. Gli scritti di Borges sul tango sono stati in parte raccolti in uno splendido testo pubblicato in Italia da Adelphi (Il Tango, Milano, 2019) ma ci sono anche numerose poesie che dedicò al celebre ballo della sua terra. “El Tango” termina con questi versi come la recensione:
Negli accordi ci sono antiche cose: l’altro cortile e la nascosta orditura. (Dietro le pareti sospettose, il sud custodisce un pugnale e una chitarra). Quella raffica il tango, quella diavoleria, gli anni affannati sfida; fatto di polvere e tempo, l’uomo dura meno della leggera melodia, che solo è tempo. Il tango crea un buio passato irreale che in qualche modo è certo un ricordo che non può essere distrutto lottando, in un cantone del suburbio.”

Flaviano Bosco © instArt 2022

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