Mentre sul grande schermo passavano le splendide immagini di Luca A. d’Agostino che documentano i momenti più intensi del festival, la sala del teatro comunale di Cormòns si andava velocemente riempiendo nell’attesa dell’esibizione di una vera giovane stella del panorama jazz internazionale, la contrabbassista Linda May Han Ho, nata in Malesia, cresciuta in Australia, residente a New York, cittadina del mondo e “cosmonauta” degli universi musicali.

Non c’è quasi niente di più affascinante del brusio e del chiacchiericcio del pubblico prima di uno spettacolo. Per quanto riguarda il jazz è piacevole ascoltare, magari a occhi chiusi seduti nelle sempre scomode poltroncine, le fanfaronate di questo o di quello che vanta d’aver assistito a concerti memorabili di cui però a volte non ricorda né dove né quando né chi.

Oppure i super esperti, brutta gente come giornalisti, critici e musicisti che conoscono già la scaletta, le precedenti date del tour e perfino la casa produttrice delle ance o delle corde che verranno utilizzate per gli strumenti. Ci sono poi gli sprovveduti che sono lì per caso e che si annoieranno a morte rimpiangendo il divano di casa, la solita frittata di cipolle e il birrone gelato. Le più annoiate di tutti sono di solito e si perdoni il maschilismo di questa considerazione le compagne degli appassionati che li accompagnano sempre ma che non hanno alcun interesse per quel tipo di spettacolo. Come dice il poeta: “Le donne odiavano il Jazz, non si capisce il motivo…troppe cravatte sbagliate”.

A smentire giustamente questo gretto pregiudizio, luogo comune appena espresso in modo provocatorio, l’ottima concerto della contrabbassista malese.

Linda May Han Oh 4et. Linda May Han Oh (contrabbasso) Greg Wara (Sax Alto) Fabian Almazan (Tastiere) Ziv Ravitz (Batteria).

La contrabbassista con il suo quartetto esprime musica in movimento, energica e urbana, sembra di vedere una metropolitana che s’insinua nelle viscere della città. Suscita immagini di treni che sfrecciano ad un passaggio a livello, trainspotting, traffico urbano tra clacson e semafori.

Quelle di Wara, il suo sax alto, sono lunghe frasi musicali, un convoglio di suoni incatenati in un interminabile e quasi per definizione ininterrotto piano sequenza di ritmi e sonorità cui gli altri s’accodano mettendo in perfetta evidenza il gran lavoro del contrabbasso; non c’è proprio da sbagliarsi su chi sia la leader del gruppo.

Il primo brano appare come una lunga suite che non è un azzardo definire progressiva con le tastiere in bella evidenza. Molto più languido il secondo pezzo anche se dai ritmi sostenuti e incalzanti. E’ un brano di lungo respiro, esteso, espanso, riflessivo come gli altri ma che non rinuncia ad una sottile verve di divertimento e gaiezza.

La musicista malese è ottima e coinvolgente anche al basso elettrico; ossessiva quanto basta, accompagna i suoi poliritmi con splendidi vocalizzi che sembrano raddoppiare i beat. Ha molto feeling con il pubblico che le sorride di cuore attraverso gli applausi.

Lo stile, brano dopo brano, è quello del Jazz Rock con inevitabili virate verso la fusion, cose già sentite ma non stucchevoli e nemmeno anacronistiche perché sostenute da una verve e da una freschezza nelle interpretazioni davvero piacevoli.

In scaletta Blue of a gold, Seconds, Deep Sea Dances, Speeches, quest’ultima parla di un balbuziente che non riesce a dichiarare il proprio amore, quasi il soggetto per una gag d’avanspettacolo ma sappiamo bene quanta carica dirompente abbia garantito alla musica quel difetto di pronuncia almeno dalla G-g-g-generation degli Who ai Ch-ch-ch-changes di Bowie.

La Ho, giustamente, non perde l’occasione di presentare “fisicamente” al pubblico il proprio ultimo lavoro e val la pena di sottolinearlo perché non si tratta del solito Cd e nemmeno di un prezioso vinile. In realtà è solo un packaging ingegnoso stile origami che nasconde tra le sue pieghe un banale Qr code attraverso il quale è possibile ottenere il link per scaricare l’album in Mp3.

Per un vecchio collezionista come chi scrive è l’ultimo colpo della maligna smaterializzazione della musica che negli ultimi decenni ha necrotizzato il mercato musicale. In buona sostanza bisogna pagare per ottenere un “aggeggio” di cartone attraverso il quale “bersi” la musica liquida. Mala tempora currunt.

A parte la nostalgia malata per il mondo dei microsolchi, quello che davvero importa è che Linda May Han Oh sa esprimere tanta, tanta energia senza semplificazioni elementari o “clubbing” ma con un gran gusto e good vibes che finiscono per ricordare il miglior Zawinul, con e senza Pastorious e Herbie Hancock “Tagliatore di teste”. Dichiaratamente, i modelli cui s’ispira la contrabbassista sono inevitabilmente Charles Mingus (a questo proposito val la pena di ricordare sempre la splendida Graphic Novel dedicatagli recentemente da Flavio Massarutto), Meshell Ndegeocello e la mirabolante Gail Ann Dorsey, bassista di Bowie dal 1995 al 2016, autentica icona della musica contemporanea. Si vede tutto e soprattutto si sente.

La contrabbassista è stata molto generosa anche nei bis, non si riusciva a smettere d’ascoltarla. Con la sua arte priva di divismi e protagonismi ha dimostrato e ricordato a tutti che il jazz è soprattutto gioia e condivisione in un mondo che, nonostante tutto, può essere meraviglioso: “When the dog bites, when the bee stings, when I’m feeling sad, I simply remember my favorite things, and then I don’t feel so bad.”

La magia del Jazz, per quanto affascinante, non è una sbornia di emozioni che rende incoscienti, di tanto in tanto in quel mondo di sogno fa irruzione l’incubo della realtà e bisogna pur dirlo quando è necessario. La giornata del festival è stata funestata dalla morte di un grande appassionato di jazz: Paolo Burato da Venezia. Un vero operatore culturale, ex proprietario di un negozio di dischi che nella città lagunare ha cresciuto una generazione di appassionati con le sue raffinatissime proposte musicali e che è venuto a mancare per un malore mentre si prodigava nella sua grandissima passione di documentare in audio e video le performance dei musicisti proprio alla rassegna di Cormòns.

Naturalmente gli organizzatori hanno deciso di dedicargli la giornata di concerti e bene hanno fatto. La storia del jazz è molto legata a personaggi come lui che in molti casi hanno registrato quasi clandestinamente e spesso con mezzi di fortuna, esibizioni di musicisti che non saremmo nemmeno in grado di immaginare. Gran parte delle jam sessions del Be Bop, per esempio, sarebbero solo una nostalgica mancata occasione.

E poi la magia è lentamente sfumata verso il silenzio di una notte d’ottobre piena di luna.

Flaviano Bosco © instArt

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