Con le repliche della deliziosa Mozartiade (ovvero Bastiano e Bastiana), intelligente rielaborazione di un Singspiel giovanile di W.A. Mozart (K.50), continua la stagione lirica del teatro Verdi di Trieste che l’epidemia è riuscita solamente a rallentare.

Non potevano che essere le note di Mozart a segnare questo nuovo inizio; la magia della sua musica è in grado di farci superare qualunque “abisso tenebroso”, come dice nel Die Zauberflöte: “Con la potenza del suono passiamo lieti attraverso la tetra notte della morte”.

Nessuna città meglio di Trieste, almeno in Italia, può recepire meglio questo salvifico messaggio, sia per la sua incredibile storia musicale, sia per essere un caleidoscopio di culture assolutamente unico e peculiare.

Sono rare le città dove praticamente nello stesso momento, sulla meravigliosa piazza principale affacciata sul mare, è possibile vedere quasi contemporaneamente l’attracco di due enormi navi da crociera con migliaia di turisti, un matrimonio di due splendide spose, la processione con il Santissimo per la benedizione del mare con la banda in testa e le previche dietro, una manifestazione di solidarietà ai profughi afghani, il sindaco in pompa magna con consorte alla presentazione della stagione della pallamano, centinaia di avventori vocianti dei vari caffè, le forze di pubblica sicurezza a sirene spiegate, le enormi petroliere in rada e poi infilare la galleria Tergesteo da Piazza della Borsa ed accorgersi che collima perfettamente con l’entrata del teatro lirico e il suo palcoscenico, come fosse la metafora di una meravigliosa città che continuamente sa mettersi in scena con uno sfavillante gusto per il paradosso che nemmeno la fantasia di Fellini avrebbe saputo architettare.

Molti di noi, compreso lo scrivente, a dodici anni non distinguevano la destra dalla sinistra e a stento riuscivano a rivolgere più di un saluto ad un pari età del sesso opposto.

Mozart, invece, girava le corti d’Europa già da qualche anno esibendosi al clavicembalo davanti a vescovi, principi, imperatori e perfino papi. Era un musicista fatto e finito che si apprestava a diventare uno dei compositori più geniali della storia della musica. Già allora capitava che tra la buona nobiltà viennese ci fosse qualcuno che gli commissionasse un’opera.

Tra i primi vi fu Franz Anton Mesmer (1734-1815), bizzarro studioso che per alcuni è l’inventore dell’ipnotismo moderno e che altri considerano un assoluto ciarlatano. Veniva ferocemente criticato anche ai suoi tempi ma aveva una grandissima celebrità e il suo salotto era molto ambito e frequentato, tanto che il primo ottobre 1768, il piccolo Mozart presentò la propria opera giocosa “Bastien und Bastienne”.

Anche se non tutti gli studiosi sono concordi su queste date è certo che la famiglia Mozart continuò a frequentare a lungo casa Mesmer tanto che si ricordano alcuni aneddoti che li riguardano. Il primo fu l’aiuto per un dolore cervicale che Wolfgang chiese all’ipnotista di risolvergli. Questi gli impose le mani e lo curò con la forza di quello che lui chiamava il magnetismo animale. Era, secondo le sue teorie, un fluido che permeava e teneva insieme tutte le cose del cosmo dagli uomini agli astri, cielo e terra uniti; le cosiddette pietre mesmeriche (calamite) ne erano un chiaro esempio e prova.

I disturbi e le malattie sarebbero generati da una cattiva modulazione di questa particolare energia. Mozart se ne ricorderà molti anni dopo inserendo nel finale del primo atto del suo Così fan tutte un divertente siparietto nel quale Despina cura due finti infermi: Despina: “Questo è quel pezzo, di calamita, pietra mesmerica. Ch’ebbe l’origine nell’Alemagna che poi si celebre là in Francia fu…In poch’ore, lo vedrete, per virtù del magnetismo, finirà quel parossismo, torneranno al primo umor.”

Un altro metodo terapeutico di Mesmer, molto più piacevole, era quello di incantare i propri pazienti con il suono dell’armonica a bicchieri nel modello modificato da Benjamin Franklin (Glassarmonica) convinto che gli scompensi del loro naturale magnetismo potessero essere riequilibrati attraverso le vibrazioni emesse da quello strumento. Così scrisse alla moglie Leopold Mozart (12/08/1773) dopo una serata a casa Mesmer: “Sai dunque tu che il sig. Mesmer suona molto bene l’armonica…Egli è l’unico a Vienna ad aver imparato a suonarla…ne ha una molto bella. Il Wolfg l’ha anche già suonata, se solo noi ne avessimo una!” Anche di questo si ricordò Mozart che dedicò delle composizioni proprio a quello strumento (K.356, adagio in do maggiore K. 617 adagio e rondò in do minore per glassarmonica).

Una controversa teoria scientifica definisce “Effetto Mozart” l’aumento delle capacità cognitive provocato dall’ascolto delle musiche del compositore austriaco. Certo siamo a cavallo tra la scienza e la ciarlataneria come nel caso di Mesmer ma non fa alcun male crederlo e non costa fatica.

Sono pochi coloro che si ostinano a ritenere questo primo singspiel del genio di Salisburgo solo un’operina giovanile senza grande rilevanza nella sua produzione. In realtà è un’opera che anticipa temi che ritorneranno puntualmente nel Mozart più maturo e non solo dal punto di vista stilistico ma soprattutto per quanto riguarda i contenuti.

Bene hanno fatto perciò, a vario titolo, Marco Taralli, Andrea Binetti, Paolo Rodda e Paola Magnanini a ripensare il lavoro mozartiano espandendolo in modo da collegarlo, con opportuni interventi sulla partitura e sul libretto, ai capolavori successivi. E così la semplice vicenda di due ingenui amanti illusi e ingannati da intrighi d’amore che non riguardano il loro amore puro ed innocente ci permette di gettare uno sguardo ai misteri favolosi de “Il Flauto Magico”, ai contorti, torbidi desideri di “Don Giovanni”, alla gioiosa spensieratezza di “Così fan tutte” e, infine alle precise misure dei preparativi per “Le nozze di Figaro”.

Al Teatro Verdi si è cominciato fin da subito a far capire al pubblico le motivazioni di questa scelta; uno dei quattro personaggi sulla scena, l’ambiguo mago Cola, interpretato dall’istrionico Andrea Binetti, autentico deus ex machina di tutta l’operazione, si è ritagliato il compito di informare il pubblico “invigilandolo” sui vari passaggi modificati e sulle motivazioni delle varie scelte.

Ancora a sipario chiuso, dopo aver conquistato il proscenio, il mago “cicerone” ha illustrato con gran competenza e affabilità il primo dei misteri dell’opera. Il tema della breve ouverture in sol maggiore è straordinariamente simile a quello della Terza sinfonia di Ludwig Van Beethoven composta ben trentasei anni dopo. Non c’è concordia nemmeno qui tra gli esegeti e per alcuni non sembra possibile che Beethoven conoscesse così tanto le avventure di Bastiano e Bastiana tanto da omaggiarle nella sua imponente Eroica; altri, invece, sostengono che proprio questa citazione segnerebbe il momento di un deciso passaggio da un’epoca della musica all’altro. Val sempre la pena di citare la celeberrima lettera che il conte Von Waldestein scrisse a Beethoven il 13 ottobre 1792:

Caro Beethoven, ella parte finalmente per Vienna per soddisfare un desiderio a lungo vagheggiato. Il genio di Mozart è ancora in lutto e piange la morte del suo pupillo. Presso il fecondissimo Haydn ha trovato rifugio, ma non occupazione; e per mezzo suo desidererebbe incarnarsi di nuovo in qualcuno. Sia lei a ricevere, in grazia di un lavoro ininterrotto, lo spirito di Mozart dalle mani di Haydn”.

Al Verdi, dopo che l’orchestra aveva accennato alle prime battute del tema dell’Eroica diretta dal maestro concertatore Roberto Gianola, si sono potute apprezzare le note liete, spensierate e gioiose della breve ouverture mozartiana all’opera che evoca immediatamente un mondo fiabesco e senza tempo nel quale si trovano come sospese le vicende di quattro personaggi. Bastiana la giovane pastorella amorosa che brama gli sguardi di Bastiano, un contadinello farfallone e vanesio ma, in fondo, del tutto ingenuo; il mago Cola che conosce le arti occulte ma le usa a fin di bene e la Dama del castello solo evocata nel Singspiel originale che in questa rilettura è stata trasformata ne La regina della notte de Il flauto magico. In realtà vi è anche un quinto personaggio che fa da assistente al mago ed è l’arpa magica che con i propri incantamenti può risolvere ogni male. Sempre come nel Flauto Magico: “Or vieni e suona il flauto! Esso ci guidi sull’orrido cammino!”

Nella prima scena vediamo Bastiana, interpretata dalla divertente e capace soprano Rinaka Hara, lamentarsi perché l’amato Bastiano non le dedica sufficienti attenzioni: “Ad altri non penso che a lui. Infedele! Per amore di un visetto carino mi volge le spalle? O dolore! Povero amore”

Il maliardo e ambiguo Cola la sente e corre in suo aiuto. Prima forse vorrebbe approfittare della situazione, non vuole denaro o gioielli in cambio dei suoi servigi “Con una fanciulla graziosa come te mi bastano un paio di carezze” ma poi quasi si commuove di fronte alla bontà e alla fedeltà della pastorella: “No, no, signor Cola! Tutte le mie carezze le serbo per Bastiano. Sii buono e permettimi ch’io ti parli delle mie nozze. Che mi consigli? Devo morire?”

Già in questo primo scambio è possibile scorgere il senso dell’opera che intende maliziosamente indicare i guasti del denaro e della corruzione sugli animi più innocenti. Può sembrare un tema banale ma nella seconda metà del Settecento non lo era affatto. In questo senso si rendeva in parodia il conflitto tra le classi dominanti e il Terzo Stato che da lì a pochi decenni sarebbe sfociato nella Rivoluzione francese della quale Mozart è stato in qualche modo uno degli araldi.

A questo proposito, uno dei suoi “amoretti” giovanili solo l’anno prima della composizione di Bastiano e Bastiana fu niente meno che la piccola Maria Antonietta d’Austria, futura regina di Francia che avrebbe visto rotolare la propria testa. Nel 1762 Mozart si esibì alla corte imperiale di Vienna davanti all’imperatrice Maria Teresa; un aneddoto racconta che alla fine in uno slancio d’entusiasmo abbracciò la sovrana e le chiese la mano dell’arciduchessa sua coetanea. Chissà se se ne ricordava ancora l’anno successivo pensando non tanto a Bastiana ma alla Dama del castello.

Il mago Cola consiglia a Bastiana di farsi desiderare negandosi e facendo la smorfiosa come fanno le ragazze di città, se lui vuol fare il farfallone amoroso, lei sarà una farfallina vaga e leggera. Le scene e i costumi affidate alle sapienti mani di Paolo Vitale, risolvono con semplici ma efficaci artifici gli effetti di scena. Così a questo punto la stoffa del vestito rivela due semplici ali da farfalla monarca e Bastiana se ne “vola” via dietro le quinte.

Nello svolgimento del breve atto compare la Regina della notte che con la sua magia ha incantato Bastiano. Come abbiamo detto, è un personaggio aggiunto di donna fatale che permette agli autori di evocare le opere maggiori del compositore. La soprano Nina Dominko l’ha interpretata senza sfigurare, affascinando con i suoi gorgheggi nella celeberrima “Aria della Regina della Notte” ma rendendo evidente a volte il suo carattere posticcio e fuori registro. Nell’intreccio pastorale e farsesco la sua presenza appare perfino eccessiva anche se musicalmente godibile. Naturalmente è perfettamente calata nel personaggio quando la rappresentazione si piega completamente all’omaggio al Flauto Magico con il Mago Cola trasformato in Pappagheno che canta la fantasiosa aria a lui dedicata.

Altri momenti indovinati della rappresentazione anche a livello scenico sono di certo quelli in cui il mago prepara il suo filtro d’amore per lo spaventato Bastiano sciorinando una divertente formula magica: “Digghi, dogghi, sciurri, murri/ Horum, Harum, lirum, larum/Raudi, maudi, ghiri, gari, posito, Besti, basti, Saron, froh/Fatto, matto, quid pro quo”.

Ancora di grandissimo effetto le due entrate del coro al gran completo, la prima in particolare sull’aria Bella vita Militar! dal Così fan tutte che il mago Cola utilizza per mettere Bastiano sulla retta via minacciandolo di arruolamento.

Com’è naturale le avventure dei due pastorelli amanti giungono presto ad una fausta conclusione dopo tanto penare. Un ottimo allestimento che ha nella semplicità il suo punto di forza, si esce dal teatro felici e divertiti lasciando che inizi lo spettacolo affascinante della città sotto la luce della luna.

Flaviano Bosco © instArt

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