Sacile, 27/11/2021 – Teatro Zancanaro – Circolo Controtempo – Il Volo del Jazz 2021 – WOLFGANG HAFFNER TRIO – Wolfgang Haffner: batteria; – Simon Oslender: tastiere; – Thomas Stieger: basso: – Foto Luca A. d’Agostino / Phocus Agency © 2021

In Germania Wolfgang Haffner, classe 1965, è definito molto generosamente il più grande batterista della sua generazione dalla Suddeutsche Zeitung e noi ci guardiamo bene dal contestare tanta scienza o dall’essere polemici. Quello che ci resta in questi tempi bui d’epidemia e di imminenti lockdown è un pizzico di ironia del tutto innocua.

Certo Haffner è musicalmente dotato di una gran forza dinamica, il suo drumming è davvero molto versatile, creativo, spumeggiante tanto da renderlo in grado di esprimersi sia a fianco delle grandi superstar del jazz, sia con quelle del rock e del pop più commerciale e mainstream, non si fa mancare proprio niente.

Notevole anche la sua attività solistica o in piccole formazioni come il suo trio che si è potuto ammirare nel concerto di Sacile. Il suo approccio alle bacchette nel corso degli anni gli ha permesso di affinare uno stile talmente proprio e personale immediatamente riconoscibile che la critica non esita a parlare di “Haffner sound” e gli spettatori dello Zancanaro se ne sono davvero accorti.

Haffner è ritornato al Volo del Jazz dopo il non entusiasmante concerto del 2019 di Bill Evans in cui forniva la ritmica all’ex sassofonista di Miles Davis. Dopo un intro pressochè tribale da Jungle drums, l’attacco si è rivelato molto classico con l’entrata del basso e delle tastiere morbido e quasi d’accompagnamento sul formidabile tappeto ritmico del leader.

In grande evidenza le tastiere psichedeliche di Simon Oslender, la band sa creare una piacevole atmosfera di rilassato divertimento e anche se a tratti esprime concitazione e gran velocità, l’intento non è mai quello di turbare o inquietare il pubblico ma quello di blandirlo, irretirlo e farlo divertire.

Da quando il batterista, più di dieci anni fa, si è trasferito armi e bagagli a Ibiza dopo una vita pressochè nomade al ritmo di duecento concerti all’anno, la sua musica ha trovato una nuova solarità. Lo dimostra l’ultimo lavoro “Kind of Tango” che, giocando sul titolo di un capolavoro della sua indiscutibile e dichiarata fonte d’ispirazione (Kind of Blue di Miles Davis) porta tutto il calore dell’arcipelago dentro una musica che si lascia ascoltare senza alcuno sforzo.

Quelle che il trio presenta sono melodie dolci-dolci quasi di zucchero, una musica d’ambiente e d’intrattenimento senza alcun accademismo o leziosità. Quelle in repertorio sono state tutte composizioni solide e piacevoli con le tastiere a fare da soffice tappeto sonoro sul quale galleggiare, i due musicisti che affiancano Haffner, a dire il vero, sono poco più che comparse di nero vestite, ottimi entrambi ma spenti e al completo servizio del loro band leader. Niente di nuovo e nemmeno di “peccaminoso”; L’Haffner trio è una gioiosa macchina da concerti concepiti con l’intento esclusivo di intrattenere e deliziare il pubblico con suoni morbidi e colorati. Tutto è levigato, perfetto senza sbavature, la sequenza dei pezzi e lo spettacolo dei musicisti, i movimenti, i sorrisi, le battute sono rodati da centinaia di esibizioni senza alcuna incertezza.

Il batterista quasi dopo ogni brano conquista il proscenio e si racconta al pubblico con battute salaci, sa incantare, illudere e strappare applausi da vero istrione; è un uomo di spettacolo che calibra perfettamente le proprie forze senza mai lasciarsi davvero andare, dirige il gioco con fare bonario e sornione, il suo è cabaret, anzi avanspettacolo condito sapientemente con della buona musica. Al grande pubblico piace ed è inutile discutere.

Le aspettative per il concerto di Haffner erano decisamente alte e anche se non tutto è andato per il verso giusto in quanto a qualità e sperimentazione, la grande maggioranza dei presenti ha decisamente apprezzato ed ha dimostrato di essersi divertito. Lo scrosciare degli applausi è stato assolutamente generoso, continuo e convinto.

Fa bene al cuore di questi tempi vedere tanto genuino, ingenuo entusiasmo e altrettanto calore.

Il Volo del Jazz, anche nelle situazioni più complicate, si dimostra in grado di vincere le proprie sfide mettendo in campo la propria passione e tutta la propria dedizione mietendo un successo dopo l’altro. Evviva!

Si sa però che i critici musicali hanno per definizione una coscienza maligna e rancorosa, non si capisce proprio perché, ma sembra non gli vada mai bene niente. Malmostosi e tignosi fin da piccoli, a forza di cercare il pelo nell’uovo sono diventati quasi tutti ciechi o incapaci di vedere la gioia autentica scaturire dalla musica anche più semplice; purtroppo non sono muti anzi di solito sono verbosi, logorroici e egoriferiti come lo scrivente. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa!

Non è possibile quindi esimersi dal muovere qualche sostanziosa critica all’esibizione di Haffner per coerenza, onestà e amor di patria.

E’ sempre stato difficile definire che cos’è il jazz e lo è ancora adesso ma di certo quello che suona il trio del batterista tedesco non ha più niente a che fare con la tellurica creatività musicale che fece scaturire il genere dai pianoforti sgangherati di Storyville più di cento anni fa, tutto quello che c’è stato da allora sembra passato invano, nella prospettiva di Haffner quello che conta è il “sano intrattenimento” nell’accezione tutta filosofica del coreano Byung-Chul Han. Nella sua ultima fatica pubblicata nel nostro paese l’intellettuale riflette mettendo in opera quella che chiama “Una decostruzione della passione al cuore d’Occidente”. Nella nostra parte di mondo il termine intrattenimento ha sempre avuto un significato prevalentemente negativo mentre nel suo non senso soprattutto nella contemporaneità costituisce un ostacolo rilevante ad ogni tentativo di logica razionale del piacere. In sintesi e con qualche licenza poetica, l’intrattenimento puro nella sua insensatezza di gioco gratuito e leggero, sovverte ogni volontà di chiusura e di razionalizzazione. Nel caso di specie, sprecare la propria intelligenza e talento in una scaletta auto-celebrativa, Haffner plays Haffner, può essere interpretato come un gesto rivoluzionario di chi ha capito per bene il gioco tra il musicista e gli spettatori e furbescamente ne sa approfittare.

A tratti il concerto è stato talmente piacevole e leggero da rasentare il fastidio fisico, sembrava di trovarsi in uno dei teatri sul ponte di una nave da crociera transatlantica. Haffner con il suo completino bianco e la sua fisicità da Adone ha regalato al pubblico sorrisi languidi e una versione edulcorata del divertimento in musica tutta sull’orizzontale e senza asperità di sorta.

Niente di male, ogni tanto è piacevole gioire delle cose semplici con una musica tenera e rarefatta che in alcuni momenti ha preso la forma dell’Acid jazz alla Incognito o quella dello smooth jazz degli anni ‘90 alla Donald Fagen (Steely Dan) proprio negli anni nei quali la musica afroamericana sembrava aver perso ogni punto di riferimento con la morte dei grandi maestri. E allora senza tanto riflettere basta il disincanto, la velocità e picchiar duro sulle pelli quando è necessario. Tutti i riferimenti durante il concerto, a Joe Zawinul, ai suoi Weather Report e perfino a Miles Davis sono sembrati pretestuosi e molto lontani dalla realtà di un easy listening senza troppe pretese.

Che cosa dovrebbe essere la musica ce lo ricorda un’affermazione di John Coltrane:

“Il Jazz, se si vuole chiamarlo così, è un’espressione musicale; e questa musica è per me espressione degli ideali più alti. C’è dunque bisogno di fratellanza, e credo che con la fratellanza non ci sarebbe povertà e nemmeno la guerra”.

Tutto il resto sono solo chiacchiere.

Flaviano Bosco © instArt

Flaviano Bosco © instArt

Share This