Grado Jazz 2021 ha superato la boa di metà gara e sta virando di prua per dirigersi verso la dirittura d’arrivo. E’ il momento di porsi qualche interrogativo viste anche le nuove sfide che ci aspettano nei prossimi giorni. Possiamo farlo proprio a partire dai concerti della quinta giornata, mediana per definizione anche in ambito letterario.

Sulla carta poteva sembrare un momento interlocutorio al centro di una girandola di eventi l’uno più clamoroso dell’altro. In termini ciclistici, una tappa di pianura, dritta come una spada, in mezzo alla furia dei tapponi dolomitici. E, invece, si è rivelata uno scrigno di musica preziosa che ci permette di entrare in contatto con la materia stessa di cui è fatto il jazz, basta saper guardare bene gli eventi che ci si presentano ma soprattutto ascoltare e cercare di capire.

Da Grado si snoda un percorso ciclabile che corre lungo l’argine lagunare e che collega l’isola d’oro a quella della Cona e poi a Monfalcone e poi ancora, per chi ha buone gambe, a Trieste. Pedalando sull’argine nel silenzio di un pomeriggio estivo si ha quasi l’impressione di galleggiare sospesi. Da una parte le acque della laguna placide, immobili fino all’orizzonte verso il mare aperto e chiuse verso est dai declivi carsici, dall’altra coltivazioni agricole a perdita d’occhio e rare abitazioni. Ci si sente tra l’acqua e il cielo fino a perdere i riferimenti temporali e spaziali. Mutatis mutandis è la medesima sensazione di spaesamento che abbiamo, a volte, ascoltando il jazz. Ci pare improvvisamente di non essere da nessuna parte e nemmeno di volerci andare. Il tempo è sospeso, messo in parentesi, non sappiamo nemmeno più cosa stiamo ascoltando o perché.

Scrive Luca Cerchiari nel suo “Intorno al Jazz, dall’etnologia alla popular music” (Bompiani 2007).

Riflettendo sul fatto che il jazz è da alcuni decenni entrato nelle università e nei conservatori con molti livelli d’analisi accademica e scientifica: “C’era una volta il jazz, ma adesso non c’è più. C’è molto di più: proprio questa crescita esponenziale di prospettive, di interpretazioni, di analisi, di approfondimento, superando i limiti del suo oggetto e del suo tragitto, ne ha ampliato le implicazioni teorico-concettuali, allungato la cronologia, esteso la geografia.”

Il Jazz è ormai qualcos’altro da ciò che abbiamo sempre immaginato oppure ci siamo figurati. Il primo concerto all’imbrunire, di questa giornata di Grado Jazz 2021 lo ha ampiamente dimostrato.

Grado, 21/07/2021 – Grado Jazz 2021 – Arena Parco delle Rose
Ensemble Jazz del Conservatorio “G. Tartini” di Trieste – A cura dell’insegnante Giovanni Maier – Riccardo Pitacco, trombone / Gabriele De Leporini, guitar / Stilian Penev, piano / Primož Podobnik, drums – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021

ore 19,30 Ensemble del Conservatorio “G. Tartini” di Trieste. Riccardo Pitacco (trombone) Gabriele De Leporini (chitarra) Stilian Penev (piano) Primož Podobnik (batteria). Un quartetto di ragazzi che stanno approfondendo i loro studi sul jazz rappresentano, semplicemente con i loro territori di provenienza, il futuro del jazz centroeuropeo. De Leporini e Pitacco sono “semplicemente” l’uno triestino e l’altro giuliano. Ma il pianista è bulgaro e Podobnik è sloveno.

Solo venti anni fa un gruppo di jazzisti così giovani con la “cortina di ferro” in mezzo sarebbe stato praticamente impensabile in un’istituzione nazionale come un conservatorio. Sul palco di Grado Jazz 2021 sono stati presentati dal loro Maestro Giovanni Maier, compositore e musicista jazz di grande talento e carriera. I confini esistono solo nella testa di chi ne ha bisogno per celare le proprie mancanze creandosi l’alibi della differenza e per far sì che i pronomi di prima e terza persona plurale (noi e loro, us and them) continuino ad esprimere contrapposizione e non relazione (Us+Them).

Il jazz che propongono è perfettamente mainstream ma non scontato con arrangiamenti notevoli di brani del migliore repertorio contemporaneo di Charlie Haden, Paul Motian, Chick Corea, Lee Konitz, Gary Peacock, Charles Mingus ecc.

E’ un vero piacere ascoltarli; le parti sono perfette ed eseguite con la massima diligenza, nota per nota a spartito; avranno tempo tutta la vita per cercare un proprio suono e un proprio stile. Nelle loro dita e nelle loro labbra, la possibilità di quell’universo di emozioni e di note di continuare ad espandersi, squadernandosi davanti a noi che cerchiamo di capire che cos’è ma che ci troviamo sempre e di nuovo di fronte ad un delizioso enigma che cresce moltiplicandosi. Nelle parole di Cerchiari:

Dunque, non più il jazz, ma intorno al jazz. Jazz come crocevia e sintesi codicologica di oralità e scrittura, di musiche europee e africane, di culture transatlantiche e novità sociali e tecnologiche. Jazz come esito finale della storia della musica occidentale (e direi anche verticale, se ne consideriamo l’innovativa dimensione armonica, poliritmica e contrappuntistica) Jazz come genere non a se stante, ma che esiste in quanto esistono e sono esistite la musica colta europea, la musica etnica internazionale, la popular music contemporanea: delle quali è al contempo, a seconda dei casi, figlio, fratello, padre, convivente. Jazz come punta di un iceberg. Il jazz è la punta: celebre, densa, terminologicamente irrinunciabile. Ma l’iceberg, emerso grazie agli studi contemporanei, è la civiltà musicale afro-americana.”

Grado, 17/07/2021 – Grado Jazz 2021 – Arena Parco delle Rose – Danila Rea e Luciano Biondini – Danilo Rea, piano – Luciano Biondini, fisarmonica – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency © 2021

ore 21,30 Danilo Rea e Luciano Biondini.

Torna lo Steinway and Sons sul palcoscenico di Grado Jazz ed è sempre un bel vedere e un bel sentire. La defezione all’ultimo momento di Enrico Rava per problemi di salute non ha affatto pregiudicato la serata anche se un brivido di preoccupazione permane per quella che è stata considerata “un’autentica risorsa nazionale” con i suoi oltre sessant’anni di carriera.

Il trombettista è stato sostituito degnamente dalla fisarmonica di Biondini. Non si è trattato però di un ripiego o di una “pezza”cucita in fretta e furia su uno strappo al fondo dei pantaloni. Rea e Biondini collaborano da anni e hanno condiviso lo stesso palcoscenico centinaia di volte. Tra gli altri hanno in comune il progetto musicale “Che cosa sono le nuvole” nel quale possiamo inserire anche l’esibizione di Grado Jazz. Lo scopo delle loro fatiche è rivisitare in jazz la tradizione melodica delle canzoni pop italiane.

Quello con Biondini è un connubio perfetto e di vecchia data, tanto che la fisarmonica, in questo contesto, è quasi un completamento del piano e il contrario. Rea è un pianista elegante, posato, dal tocco gentile e brillante, sorgivo; al contrario Biondini è estroso, melanconico, zingaro e a tratti istrionico. Fin dal primo brano i due musicisti sono sembrati specchiarsi l’uno nell’altro con interpretazioni trascinanti, appassionate, vibranti e liriche. La fisarmonica ha contribuito a creare un’atmosfera sognante con i propri accordi commossi e palpitanti e in un certo senso imprecisi. E’ stato sempre martellante, matematico, ingiuntivo il pianoforte anche se Rea sdrammatizza con grande ironia e un tono sempre allegro e perfino spensierato.

I due hanno eseguito, giocando felici a rincorrersi lungo le tastiere dei loro strumenti, incantevoli e trascinanti versioni jazz dei brani di Luigi Tenco (Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare), Lucio Battisti (Il tempo di Morire), Sergio Endrigo (Io che amo solo te), Paolo Conte (Azzurro), Fabrizio De Andrè (Bocca di rosa), Pino Daniele (Napule è).

E’ facile comprendere che queste composizioni non possono più essere comprese sotto l’arida definizione di “musica leggera”, sono ormai standard classici della storia della musica che travalicano i confini dei generi e che conservano la loro primaria forza ed energia anche mutando forma e struttura; sono diventati icone e linguaggio musicale universale che attraversano le epoche e le barriere culturali. Il jazz è diventato qualcosa di diverso da quello che sino a qui siamo stati abituati a considerare. Sempre le parole di Cerchiari ci aiutano a fare un po’ di chiarezza, a partire dalle origini:

Un’area vastissima sia in termini temporali (non più l’inizio del Novecento, ma quello del Cinquecento, con l’arrivo a Cuba dei primi schiavi africani, principio di una lunga storia di conflitti e sintesi interculturali fra mondo “nero” e “bianco”), sia in termini geospaziali, compresa com’è stata fra il Golfo di Guinea e il Mediterraneo, l’Europa atlantica e i Caraibi, il Nord e il Sudamerica. Entro questa griglia semimillenaria e semiplanetaria ha preso forma una varietà di musiche (molte sino a ieri sconosciute) di cui il jazz può vantare, forse accanto al blues e al samba brasiliano, la palma della maggiore notorietà, ascrivibile all’esposizione mediatica al disco e alla radio, ma anche e soprattutto alla sua felice combinazione di individualismo romantico e corporeità, ritualità partecipativa e dimensione collettiva, vitalità espressiva e originalità di organizzazione formale”.

© Flaviano Bosco per instArt